Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 aprile 2017, n. 9401

Obbligazione contributiva - Sportellisti - Accertamenti ispettivi - Indici di subordinazione

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza depositata in data 22/6/2010, la Corte d'appello di Firenze, in accoglimento dell'appello proposto dall'Inps contro la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede, ha rigettato la domanda di accertamento negativo, proposta dalla s.n.c. G.S.F.C.G. & C. nei confronti dell'istituto previdenziale, e avente ad oggetto l'obbligazione contributiva di cui al verbale ispettivo del 28/11/2002; ha altresì rigettato l'opposizione contro la cartella esattoriale per il pagamento dei contributi e somme aggiuntive omessi, riguardanti alcuni lavoratori addetti alla ricezione delle scommesse ippiche (cosiddetti sportellisti) nel periodo gennaio 2000-marzo 2002.

2. A fondamento del decisum la Corte territoriale ha ritenuto che, in base agli accertamenti ispettivi e alle testimonianze assunte, i lavoratori indicati nel verbale prestavano la loro attività in favore della società quali lavoratori subordinati.

3. Contro la sentenza, la G.S.F. a S.r.l. (già G.S.F.C.G. & C. s.n.c.) propone ricorso per cassazione sostenuto da due motivi, al quale l'Inps resiste con controricorso. La ricorrente deposita memoria ai sensi dell'art. 378 cod.proc.civ.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo la società censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2222 e ss. cod.civ., in relazione all'art. 2697 dello stesso codice, nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Al riguardo, rileva come la sentenza abbia dato rilievo a indici sussidiari della subordinazione, senza invece accertare l'elemento tipico della subordinazione, ossia l'assoggettamento dei singoli lavoratori al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro. Inoltre, la Corte aveva del tutto ignorato la qualificazione giuridica data dalle parti ai rapporti di lavoro.

2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 cod.civ. e 409, n. 3 cod.proc.civ. e osserva che le parti avevano stipulato contratti di collaborazione coordinata e continuativa ante legem n. 276 del 2003; che la Corte di Appello avrebbe dovuto considerare che istruzioni e direttive sono presenti anche nel lavoro autonomo; che l'indagine avrebbe dovuto essere incentrata sulla libertà o meno del lavoratore di svolgere la prestazione.

3. Le questioni sottoposte a questa Corte con i motivi di ricorso su sintetizzati sono state già decise da questa Corte in controversie analoghe, riguardanti proprio i cosiddetti sportellisti di agenzie di scommesse (da ultimo, Cass. 27/5/2016, n. 11015; Cass. 10/10/2014, n. 21497; Cass. 5/5/2005, n. 9343; Cass. 1/3/2001, n. 2970). A tale orientamento il Collegio intende dare continuità, non essendo emersi elementi che inducano ad un ripensamento.

4. Nei precedenti citati (da ultimo, Cass. n. 11015/2016) si sono messi in luce i principi affermati da questa Corte nell'individuazione degli elementi tipici del rapporto di lavoro subordinato. Essi possono essere così riassunti.

5. Premesso che la norma fondamentale rimane l'art. 2094 cod.civ., l'elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato da quello di lavoro autonomo riposa nell'assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore; la subordinazione deve essere intesa come quel vincolo di natura personale che assoggetta il prestatore ad un potere datoriale che si manifesta nella etero-direzione, con conseguente limitazione della libertà del dipendente.

6. Si afferma che qualsiasi attività umana economicamente rilevante può essere astrattamente oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che autonomo (cfr. Cass. n. 326 del 1996; Cass. n. 5710 del 1998; Cass. n. 26896 del 2009; con le precisazioni di Cass. n. 18692 del 2007 e Cass. n. 6570 del 2000) e si aggiunge che, qualora l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa del concreto atteggiarsi del rapporto, può farsi ricorso ad elementi dal carattere sussidiario e funzione indiziaria (per tutte: Cass. SS.UU, n. 379 del 1999, con la risalente giurisprudenza ivi richiamata).

7. Ancora le Sezioni unite di questa Corte (n. 379/99 cit.) insegnano come «ciò che deve negarsi è soltanto l'autonoma idoneità di ciascuno di questi elementi, considerato singolarmente, a fondare la riconduzione del rapporto in contestazione all'uno o all'altro tipo contrattuale (id est, a costituire il criterio, generale ed astratto, preordinato a siffatto risultato specifico), non anche la possibilità che, in una valutazione globale dei medesimi, funzionale alla suddetta indagine prioritaria e decisiva sulla sussistenza del requisito della subordinazione, essi vengano assunti, come concordanti, gravi e precisi indici rivelatori dell’effettività di tale sussistenza».

8. In questa prospettiva allorquando i soggetti, nel regolare reciproci interessi, abbiano dichiarato di voler escludere l’elemento della subordinazione, configurando, esplicitamente, rapporti di collaborazione autonoma, non sarebbe possibile pervenire ad una diversa qualificazione se non si dimostra che l’essenziale elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nel concreto svolgimento del rapporto medesimo.

9. D'altro canto, è altrettanto pacifico il principio secondo cui la formale qualificazione delle parti in sede di conclusione del contratto individuale non impedisce di accertare il comportamento tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto di lavoro, al fine della conseguente qualificazione giuridica dello stesso come lavoro autonomo ovvero lavoro subordinato (tra le molte: Cass. n. 7024 del 2015; Cass. n. 22289 del 2014; Cass. n. 19568 del 2013; Cass. n. 19114 del 2013; Cass. n. 13858 del 2009; Cass. n. 20361 del 2005; Cass. SS.UU. n. 61 del 1999).

In tal senso evidentemente la Corte Costituzionale ha di recente espresso l’avviso che "il nomen juris adoperato dai contraenti, sfornito di un valore assoluto e dirimente, non può essere del tutto pretermesso e rileva come elemento sussidiario, quando si riveli difficile tracciare il discrimine tra l’autonomia e la subordinazione" (Corte Cost. n. 76 del 2015).

Altro principio fondamentale nella materia in esame è quello secondo cui, fermo il rispetto dei criteri su indicati che delineano il concetto di subordinazione e lo distinguono da figure affini, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nello schema contrattuale del rapporto di lavoro subordinato o autonomo costituisce accertamento di fatto, per cui è censurabile in Cassazione solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto (adde Cass. n. 14434 del 2015; Cass. n. 4346 del 2015; Cass. n. 9808 del 2011; Cass. n. 23455 del 2009; Cass. n. 26896 del 2009).

Al giudice di merito spetta anche la valutazione dei fatti che concretano gli indici sintomatici della subordinazione, al fine di esprimere un giudizio complessivo dei medesimi che sintetizzi le ragioni per cui da essi si sia tratto il convincimento circa la sussistenza o meno della subordinazione.

10. La presente controversia va risolta alla stregua dei criteri di giudizio appena richiamati. Invero nei motivi di ricorso si critica la valutazione effettuata dalla Corte fiorentina in ordine alla riconduzione dei rapporti in controversia all'area della subordinazione; si contesta la significatività attribuita a taluni indici sintomatici piuttosto che ad altri; si lamenta, in particolare, che sia stata trascurata la circostanza dell'esistenza di contratti formalmente qualificati come di collaborazione coordinata e continuativa.

Orbene si tratta di censure che chiaramente attingono gli accertamenti fattuali condotti dal giudice del merito, il quale, con adeguata motivazione, ha valorizzato taluni indici comunemente ritenuti sintomatici della subordinazione, quali l'espletamento del lavoro in turni, la fissità della postazione lavorativa, la natura esecutiva ed elementare delle mansioni svolte, l'utilizzo di macchine e programmi aziendali, il controllo a la sorveglianza costanti di un dipendente della società, la retribuzione commisurata alla durata del turno, etc., e, valutando i medesimi nel loro insieme, in una visione sintetica e non atomistica relazionata alla specificità del caso concreto, la Corte territoriale ha ricavato il convincimento che si tratta di subordinazione.

11. Rispetto a tale convincimento la società non può ricorrere per cassazione al fine di opporre un diverso convincimento, criticando la sentenza impugnata per aver dato credito a talune circostanze, che si assumono ciascuna priva di valore significativo, piuttosto che ad altre, ritenute al contrario più rilevanti, con ciò assumendo erroneamente di avere individuato vizi di motivazione idonei a determinare l'annullamento della sentenza impugnata.

Come noto, infatti, il vizio di motivazione non conferisce affatto al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all'ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l'autonoma disamina delle emergenze probatorie. Per conseguenza, secondo una pacifica affermazione, il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima a mente della formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. pro tempore vigente, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibili tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; al contempo deve osservarsi che il compito di valutare le prove e di controllarne l'attendibilità e la concludenza - nonché di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti - spetta in via esclusiva al giudice del merito; dunque le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata.

Infine va considerato che, affinché la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.

In particolare, tanto più in giudizi nei quali la decisione è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, tutti concorrenti a supportare la prova del fatto principale, il ricorrente non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poiché è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l'unica possibile (da ultimo, Cass. n. 25927 del 2015).

12. Ne consegue che, non avendo autonomo valore decisivo (inteso nel senso che l'elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità) né l'omessa considerazione della qualificazione giuridica offerta dalle parti per quanto innanzi ricordato, né tanto meno che il singolo lavoratore fosse libero di accettare o non accettare l'offerta di prestazione ovvero di farsi o meno sostituire da altri (circostanze già ritenute "irrilevanti" da Cass. n. 9343 del 2005), le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni della Corte fiorentina configurano un'opzione interpretativa del materiale di causa del tutto ragionevole che, pur non escludendo la possibilità di altre scelte interpretative anch'esse ragionevoli, è espressione di una potestà propria del giudice del merito che non può essere sindacata nel suo esercizio (cfr., ex plurimis, Cass. n. 7123 del 2014).

13. Infine si palesa infondato il secondo motivo di ricorso anche nella parte in cui si lamenta che la Corte territoriale non avrebbe constatato che l'INPS non aveva provato, per ciascun sportellista, la natura subordinata del singolo rapporto, in quanto i giudici d'appello hanno evidentemente ritenuto che detta prova era stata fornita, con giudizio che ha resistito al vaglio di legittimità; circa la doglianza che non sarebbe stata disposta d'ufficio una CTU è sufficiente rilevare che l'esercizio discrezionale del potere di avvalersi dell'opera di un consulente tecnico non è sindacabile da questa Corte con censure di carattere così generico.

Altrettanto privo di pregio l'assunto secondo cui la durata temporanea di ciascun rapporto avrebbe dovuto far "presupporre", ai sensi dell'art. 23 della L. n. 56 del 1987, una clausola della contrattazione collettiva da cui risultasse prevista quella specifica ipotesi di assunzione a termine, atteso che la prova dell'esistenza di una clausola che stabilisce il termine di durata al rapporto di lavoro subordinato grava su chi la deduce. Al riguardo, inoltre, non può non rilevarsi l'inammissibilità della questione, la quale non risulta affrontata nella sentenza impugnata, sicché era onere della ricorrente specificare in che termini, con quale atto in quale sede processuale la questione sarebbe stata sottoposta al giudice di merito.

14. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in applicazione del principio della soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre al 15% di spese generali e altri accessori di legge.