Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 settembre 2016, n. 38752

Professionisti - Avvocati - Esercizio abusivo della professione forense

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 24/3/2015 la Corte d'Appello di Firenze in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Firenze il 19/3/2013, che aveva condannato (...) per i delitti di esercizio abusivo della professione forense e tentata truffa, rideterminava la pena irrogata in primo grado, escludendo la circostanza aggravante della recidiva.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione (...) personalmente il quale deduce la violazione di legge (art. 348 c.p.) e la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, per travisamento della prova, poiché l'attività da lui posta in essere non integrava il reato di esercizio arbitrario della professione di avvocato, come ritenuto dai giudici di merito, di cui mancherebbero atti tipici (giudiziali o stragiudiziali), essendosi essa sostanziata in una forma di pubblicità delle competenze di altri professionisti, tanto più che la principale fonte di prova, rappresentata dalle dichiarazioni del teste (...) non è stata adeguatamente vagliata, tenuto conto del suo persistente interesse economico, come ricavabile dalla costituzione di parte civile, mentre le dichiarazioni e la dazione del denaro (euro 1.500,00) da parte del teste (...) all'imputato, si collocavano al di fuori della prospettata prestazione forense.

3. Quanto al delitto di truffa tentata (così derubricata l'originaria imputazione), il ricorrente contesta la sentenza per violazione di legge ed illogicità e contraddittorietà della motivazione essendo stata travisata la prova della dazione materiale della somma di denaro destinata a dirimere la vertenza del (...) con (...), non indicativa del pericolo per la libertà patrimoniale della p.o., avendo l'atto un significato del tutto equivoco e non essendo certa la direzione finalistica dello stesso.

4. Infine il ricorrente contesta la violazione di legge e l'illogicità e contraddittorietà della motivazione relativamente alle circostanze attenuanti generiche che, a suo avviso, immotivatamente sarebbero state negate ed erroneamente ritenute oggetto di motivi nuovi non ammissibili.

5. In ultimo il ricorrente contesta l'eccessività della pena in quanto non parametrata ai criteri di cui all'art. 133 c.p. tenuto conto della resipiscenza del ricorrente e della necessità di attenuare il giudizio sulla pena già inflitta.

6. Con separato ulteriore ricorso del 9/5/2015 il (...) deduce la violazione di legge e la contraddittorietà ed illogicità della motivazione non essendosi la Corte avveduta, che il (...) era difeso da un avvocato sospeso dall'albo (avv. (...) ), sicché non sarebbe stata apprestata la dovuta difesa, né sarebbero state correttamente eseguite le notifiche presso la sorella convivente del ricorrente, il quale deduce di non essere stato giudicato incompatibile con lo svolgimento dell'attività forense poiché era ancora in corso il relativo procedimento amministrativo e anzi in un caso analogo il Giudice monocratico del Tribunale di Santa Maria Vetere lo aveva assolto.

7. Il difensore avv. (...) a sua volta, proponeva ricorso per cassazione ripercorrendo le censure sollevate dal ricorrente (...) personalmente, ai punti 2 e 4.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso proposto dal difensore avv. (...) è inammissibile trattandosi di ricorso proposto da soggetto non legittimato non potendosi ritenere valida la procura speciale conferita al difensore e pervenuta via fax in cui non si comprende a chi sia riferibile la sottoscrizione, peraltro non autenticata ai sensi dell'art. 122. c.p.p.

2. Quanto al ricorso proposto da (...) sonalmente, vanno preliminarmente esaminate le censure riportate nel ricorso del 4/5/2015, afferenti alla nullità del giudizio di secondo grado. Esse sono infondate riscontrandosi la compiuta assistenza del ricorrente, in grado di appello, da parte di due difensori dei quali l’avv. (...) rimaneva assente mentre l'avv. (...) (...), asseritamente sospeso, era sostituto da altro avvocato, con il che può ritenersi che non si sia concretizzata alcuna lesione del diritto di difesa dell' imputato, né nella pianificazione della strategia difensiva essendo l'imputato, assistito (anche) da professionista abilitato ( avv. (...), né nell'assistenza apprestata in udienza ove il predetto avv. (...), era assente e veniva sostituito.

3. Quanto alla correlata eccezione relativa alla irregolarità della notifica, del decreto di citazione in appello in quanto effettuata a mani della sorella dell'imputato con lui non convivente, l'eccezione è infondata atteso che la notifica venne eseguita a mani proprie dell'imputato, ovvero nella forma più sicura per portare l'atto a conoscenza del destinatario (Sez. 2, 6910/2011, rv. 249360).

Il ricorso proposto è invece parzialmente fondato avuto riguardo alla configurabilità del delitto di cui all'art. 348 c.p.

4. Oggetto della tutela predisposta dall'art. 348 c.p., è costituito dall'interesse generale, riferito alla pubblica amministrazione, che determinate professioni, richiedenti particolari requisiti di probità e competenza tecnica, vengano esercitate soltanto da chi, avendo conseguito una speciale abilitazione amministrativa, risulti in possesso delle qualità morali e culturali richieste dalla legge. Ne deriva che la tutela in esame si estende soltanto agli atti "propri" o "tipici" delle suddette professioni in quanto alle stesse riservati in via esclusiva e non anche agli atti che, pur essendo in qualche modo connessi all'esercizio professionale difettano di tipicità nel senso sopra indicato, perché suscettibili di essere posti in essere da qualsiasi interessato (Sez. 6, n. 1207/1982 rv. 167698; Sez. 6, 42790/2007, rv. 238088).

5. Nel caso di specie (...) poneva in essere, tanto nel rapporto con (...) quanto con (...), atti carenti del detto requisito di tipicità, non potendo lo stesso ravvisarsi nella manifestazione di volontà di assumere la (...) quale collaboratrice di studio, ovvero nella firma di una delega per acquisire documenti contabili presso (...), (rilasciata dal (...) al (...) trattandosi in entrambi i casi, di attività praticabile da chiunque.

6. Quanto ai motivi di ricorso afferenti al tentativo di truffa (come derubricato in sentenza) non v'è dubbio, invece, che la prospettazione della propria qualità di avvocato, invero inesistente, abbia costituito il motivo per cui il (...) decideva di affidare gli accertamenti, da eseguirsi presso (...), al ricorrente, trattandosi di una qualità rassicurante circa il buon esito delle verifiche, che lo induceva a consegnargli l'assegno di € 1.500,00 quale acconto della maggior somma finale, corrisposta a titolo onorario, sicché correttamente la Corte di merito ha ravvisato, nel caso in esame, il reato di truffa tentata (cfr. per casi analoghi: Sez. 6 4682/2005, 232534; Sez. 3645/1989, rv. 183704).

5. Quanto infine alle residuali doglianze circa la errata o omessa motivazione in punto di determinazione della pena e al diniego della circostanze generiche, deve osservarsi che trattasi di censure in fatto posto che la Corte di merito ha dato adeguatamente conto degli argomenti utilizzati per determinazione della sanzione, richiamando i parametri di cui all'art. 133 c.p. e non essendo consentito sindacare l'esercizio del potere discrezionale del giudice quando non affetto da arbitrii o manifeste illogicità. Deve richiamarsi, in proposito, il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'art. 62 bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (Sez. 6, n. 7707 del 4/12/2003, rv. 229768; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, rv. 249163). Nel caso di specie il giudice di merito ha dato conto di tale giudizio, della sussistenza di un precedente penale specifico che dimostrava la pervicacia del (...) nel continuare a qualificarsi come avvocato, ritenendolo immeritevole di un trattamento sanzionatorio di minor rigore.

8. Alla luce di quanto complessivamente detto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio con riferimento ai capi b) e c) ed eliminato il relativo quantum di pena che va rideterminata, per la sola tentata truffa, ex art. 620 lett. I) c.p.p., in mesi tre di reclusione ed € 100,00 di multa.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai capi b) e c) dell' imputazione perché i fatti non sussistono ed elimina le relative pene in continuazione.

Rigetta nel resto il ricorso e ridetermina la pena per il residuo reato di tentata truffa in mesi tre di reclusione ed euro 100,00 di multa.