Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 luglio 2017, n. 18901

Prestazioni assistenziali - Assegno di invalidità - Domanda - Riduzione della capacità lavorativa

 

Rilevato che

 

1. la Corte d'appello di Reggio Calabria , in riforma della sentenza del Tribunale di Locri, rigettava la domanda proposta da G.A. per ottenere l'assegno di invalidità di cui all'art. 1 della legge n. 222 del 1984. La Corte recepiva le conclusioni del consulente tecnico nominato in secondo grado, secondo il quale l'infermità da cui l'appellata è affetta non determina la riduzione a meno di un terzo della capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle sue attitudini di bracciante agricola, ritenendole non contrastate dalle controdeduzioni formulate nella memoria autorizzata all'esito del deposito della c.t.u.

2. Per la cassazione della sentenza G.A. ha proposto ricorso. A sostegno dei primi due motivi deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia e violazione o falsa applicazione degli articoli 342, 163 n. 3 e 164 c.p.c. e sostiene che l'appello dell' Inps fosse inammissibile, in quanto formulava censure generiche e indeterminate, faceva riferimento ad una consulenza tecnica richiamata nell'atto di appello ma che non ne costituiva parte integrante, neppure indicando la prestazione richiesta in causa. Con gli ulteriori motivi deduce vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione di norme di diritto: sostiene che la richiesta di rinnovazione della c.t.u. formulata dall'Inps per la prima volta nel giudizio d'appello fosse tardiva ed inammissibile, che il c.t.u. nominato nel giudizio d’appello avrebbe espresso un giudizio errato disattendendo documentazione medica importante, mentre sarebbe stato corretto quello espresso dal primo c.t.u., che aveva concluso per l'invalidità, affermando che le patologie dell'Aiello impediscono lo svolgimento dell'attività lavorativa di bracciante agricola.

3. l’Inps ha resistito con controricorso.

4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

 

Considerato che

 

1. la Corte territoriale ha ritenuto che le censure alla sentenza di primo grado fossero state formulate dall’Inps appellante "in modo preciso e dettagliato".

Tale soluzione appare confortata dai passaggi del ricorso in appello dell’Inps riportati nel a pg. 2 del ricorso, dai quali si ricava che l’Inps aveva contestato puntualmente la consulenza di primo grado recepita dal Tribunale, anche richiamando le osservazioni del proprio c.t.p., sicché il perimetro dell’indagine devoluto al giudice dell’appello era puntualmente individuato e circoscritto, così assolvendosi l’onere, imposto dall’art. 434, primo comma, cod. proc. civ., nel testo introdotto dall'art. 54, comma 1, lettera c) bis del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell'art. 342 cod. proc. civ., di individuare in modo chiaro ed esauriente il "quantum appellatum", circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata (v. in proposito Cass. S.U. 27/05/2015 n. 10878, Cass. 05/02/2015 n. 2143). Né era necessario a tal fine che l’Inps trascrivesse nel ricorso in appello la consulenza tecnica di parte, essendo sufficiente che individuasse i passaggi fondamentali dell’analisi del proprio ausiliare, idonei a confutare le dissonanti affermazioni recepite nella sentenza impugnata.

2. Quanto agli ulteriori motivi, essi sono inammissibili, in quanto il vizio, denunciatale in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice (v. ex plurimis da ultimo Cass. ord. 23/12/2014 n. 27378, Cass. 16/02/2017 n. 4124).

2.1. Il giudice di merito ha nel caso condiviso l'accertamento peritale, ripercorrendone sul piano medico-legale tutti i passaggi ed esaminando anche l’incidenza invalidante delle singole patologie. Con il ricorso non vengono dedotti vizi logico - formali che si concretino in devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni illogiche o scientificamente errate, ma, con riferimento ad affezioni valutate sul piano medico-legale dal giudice di merito, sono effettuate critiche osservazioni su aspetti già presi in esame dal consulente tecnico officiato dalla Corte d’appello, così sollecitandosi in sostanza un nuovo esame dei medesimi, inammissibile in questa sede.

2.2. Infine, si ribadisce che rientra nel potere del giudice di merito, rinnovare in toto o in parte le attività peritali, disporre la sostituzione del consulente o richiedere a quest'ultimo chiarimenti sulla relazione già depositata, disporre un supplemento ovvero un'integrazione delle indagini, rinnovare in toto o in parte le attività peritali e l'esercizio di tale potere (come il mancato esercizio di esso) è ampiamente discrezionale (v., ex multis, Cass. 6 maggio 2002, n. 6469; id. 2 marzo 2006, n. 4660).

2.3. Risulta infine solo riferito e non documentato che la c.t.u. del primo ausiliare non fosse stata contestata dall’Inps nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale, in violazione degli oneri di specificità imposti, anche nella denuncia di errores in procedendo, delle disposizioni contenute nell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (ex plurimis, Cass. Sez. U.. n. 8077 del 2012, Cass. n. 2143 del 2015, cit.).

3. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ..

4. Le spese del presente giudizio vanno dichiarate non ripetibili, in virtù della dichiarazione resa dalla ricorrente ai sensi dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ.

5. Sussistono invece i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, considerato che l’insorgenza di detto obbligo non è collegata alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, del gravame (v. da ultimo ex multis Cass. ord. 16/02/2017 n. 4159).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Non assoggetta la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.