Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 dicembre 2016, n. 27218

Episodi vessatori - Mobbing - Risarcimento del danno

Svolgimento del processo

 

La Corte di Appello d Milano, con la sentenza depositata in data 4/2/2014, pronunziando quale giudice di rinvio designato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 18942/11, in parziale riforma della sentenza n. 1383/06 del Tribunale di Milano, ha condannato la S.C. S.r.l. e D.M., in solido, al risarcimento del danno non patrimoniale permanente nella misura di € 25.935,00 e del danno non patrimoniale temporaneo nella misura di € 2.995,00, oltre interessi e rivalutazione dalla data della pronunzia della sentenza, confermando nel resto la sentenza.

Per la cassazione della sentenza ricorrono la S.C. S.r.l. e D.M. sulla base di due motivi.

C.L. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2049 c.c. anche in relazione agli artt. 2110 e 2118 c.c. e si lamenta che la Corte di Appello di Milano abbia ritenuto che, in sostanza, i vari episodi asseritamente qualificati come vessatori, secondo la prospettazione della C., seppure non connotati atomisticamente da offensività intrinseca, acquisissero però una asserita valenza pregiudizievole se valutati nel loro insieme, nell’ambito di una pretesa strategia unitaria di ritenuto mobbing.

1.1. Il motivo non è fondato.

Del tutto ineccepibile risulta, infatti, l 'iter motivazionale della Corte di Appello di Napoli, laddove, richiamandosi al consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, ha valutato che la considerazione dei comportamenti di cui è stata destinataria la C., da parte del datore di lavoro, comporti la violazione innanzitutto dell’art. 2087 c.c., essendo il datore venuto meno all’adempimento degli obblighi di protezione che da tale norma discendono. (v. tra le molte, Cass. n. 15749/02).

2. Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

2.2. Il motivo è inammissibile.

Invero, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata il 4 febbraio 2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica con precisione il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza "cosi radicale da comportare" in linea con "quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per mancanza di motivazione".

E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229 del 2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue.

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2012 (ndr art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi professionali ed in Euro 100,00 per spese vive, oltre accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.