Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 dicembre 2016, n. 25263

Licenziamento - Servizio pubblico di raccolta dei rifiuti - Utilizzo dell’automezzo aziendale per fini personali - Danno all’azienda

 

Svolgimento del processo

 

1. - La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 6 dicembre 2013, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto la domanda di impugnativa di licenziamento proposta da G. F. nei confronti della AMA Spa.

La Corte territoriale ha accertato che il lavoratore, nel pomeriggio del giorno 1.7.2009, alla guida dell'automezzo aziendale, anziché andare a raccogliere la nettezza urbana presso i luoghi comandati, si recò arbitrariamente in tutt'altro quartiere di Roma, ciò facendo in modo intenzionale e distogliendo l'automezzo stesso dal pubblico servizio di raccolta dei rifiuti, così procurando anche danno all'azienda. Anche considerando l'assenza di precedenti disciplinari, la Corte di Appello ha valutato la speciale gravità della condotta tale da minare in modo irreparabile la fiducia datoriale, integrante la nozione legale di giusta causa, anche in relazione alle previsioni della disciplina collettiva. Ha ritenuto infine il licenziamento adeguatamente motivato con riferimento alla lettera di contestazione, integralmente trascritta nell'atto di recesso.

2. - Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso G. F. con tre motivi. Ha resistito con controricorso AMA - Azienda Municipale Ambiente Spa, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

3. - Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

4. - Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 65, comma 9, CCNL Federambiente e degli artt. 1362, 1363 e 1369 c.c. e 12 I. n. 604 del 1966 nonché omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Secondo parte ricorrente i giudici di primo e secondo grado avrebbero errato ad interpretare la norma collettiva che "non impone un semplice obbligo di motivare il provvedimento (di licenziamento), ma aggiunge un elemento in più ovvero l'obbligo di motivare comparativamente perché il datore di lavoro ha deciso di irrogare una specifica sanzione tra quelle astrattamente ipotizzabili".

Il motivo è infondato perché dalla disposizione contrattuale richiamata non si evince affatto la necessità di una tale valutazione comparativa a pena di illegittimità della sanzione espulsiva e correttamente i giudici di merito, interpretando l'atto di recesso con riferimento alla lettera di contestazione in esso integralmente trascritta, hanno concordemente ritenuto, con giudizio loro interamente devoluto, che dalla lettera di licenziamento si evincessero "i profili di gravità tali da aver indotto l'Azienda all'irrogazione della sanzione disciplinare massima prevista dalla contrattazione collettiva".

Con il secondo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116, 2697, 2106 e 2119 c.c. nonché omesso esame circa un fatto decisivo. Si lamenta che la Corte territoriale abbia dato per pacifiche circostanze "smentite dalle risultanze processuali".

La censura non può trovare accoglimento in quanto con essa nella sostanza si tende a sollecitare una rivalutazione del fatto preclusa a questa Corte dall'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., nel testo novellato dalla I. n. 134 del 2012 prò tempore vigente, così come rigorosamente interpretato dalla condivisa sentenza n. 8053 del 2014 di questa Corte a Sezioni unite.

Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c. per non avere i giudici del merito tenuto adeguatamente conto, ai fini della proporzionalità della sanzione, dell'assenza di precedenti disciplinari, dell'episodicità del fatto commesso, della breve durata dell'interruzione della prestazione lavorativa, delle mansioni operaie del F.

Anche tale motivo non può essere accolto perché questa Corte insegna che il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria (ex pluribus: Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003).

Trattandosi di una decisione che è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma deve piuttosto denunciare l'omesso esame di un fatto, ai fini del giudizio di proporzionalità, avente valore decisivo, nel senso che l'elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (Cass. n. 20817 del 2016); invece il F. si limita a valorizzare taluni elementi che non sarebbero stati correttamente valutati dai giudici territoriali in luogo di altri, ma alcuno di detti fatti può ritenersi autonomamente decisivo nel senso sopra specificato, sicché le doglianze in proposito nella sostanza prospettano una generica rivisitazione del merito, evidentemente non consentita in questa sede, perché questa Corte può sindacare ma non sostituire il giudizio di fatto correttamente espresso dai giudici al cui dominio è istituzionalmente riservato.

5. - Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Poiché il ricorso per cassazione risulta nella specie proposto in data 6 giugno 2014 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 3.600,00, di cui euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.