Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 giugno 2017, n. 13940

Lavoratori socialmente - Assunzione a tempo indeterminato - Diritto alla riserva dei posti - Partecipazione ad un avviamento a selezione

 

Fatti di causa

 

1. M.B., P.V.B., A.C., R.C., P.F., C.G., A.M., P.N., C.S., conveniva in giudizio il MIUR e il C.S.A. di Brindisi dinanzi al Tribunale di Brindisi esponendo di aver ricoperto l'incarico di LSU e di essere, pertanto, destinatari, ex art. 45, comma 8, della legge n. 144 del 1999, di una quota di riserva del 30 per cento per l'assunzione a tempo indeterminato.

Detta assunzione era stata disposta dall'Amministrazione solo a seguito di sentenza del Consiglio di Stato n. 6803/02 (nota del 27 gennaio 2003 con cui invitavano il Ministero e il provveditorato agli studi a procedere all'assunzione, nonché ricorso ex art. 700 cod. proc. civ.), con decorrenza giuridica dal 1° settembre 2000 ed economica a partire dal 1° settembre 2003, così risultando disatteso il loro diritto alla corresponsione delle retribuzioni fin dal settembre 2000.

Pertanto i lavoratori avevano chiesto dichiararsi l'illegittimità del provvedimento che aveva differito gli effetti economici, con condanna al pagamento della retribuzione maturata dal 1° settembre 2000 al 1° settembre 2003 (pari ad euro 15.202,73 ciascuno), o a causa di inadempimento contrattuale o, in subordine, a titolo di risarcimento danno da illecito.

2. Il Tribunale aveva rigettato la domanda contrattuale in quanto in detto periodo non avevano svolto attività lavorativa, e aveva accolto la domanda subordinata riconoscendo la responsabilità extracontrattuale dell'Amministrazione che condannava, detratto l’aliunde perceptum e in via equitativa, al risarcimento della somma di euro 5.000,00 ciascuno.

Assumevano, quindi, di aver subito un danno patrimoniale e chiedevano dichiararsi l'illegittimità del provvedimento inerente il differimento degli effetti economici della loro assunzione, con conseguente condanna dei convenuti al pagamento della somma predetta, pari alle retribuzioni conseguite nel periodo Io settembre 2000-31 agosto 2003, o a causa di inadempimento contrattuale ovvero a titolo di risarcimento danni da fatto illecito.

3. Il Tribunale con sentenza del 2 febbraio 2007, riconosceva la sussistenza di responsabilità extracontrattuale dell'Amministrazione che condannava detratto l’aliunde perceptum ed in via equitativa, al pagamento della somma di euro 5.000,00 in favore di ciascuno.

4. La Corte d'Appello di Lecce, con la sentenza n. 1403/10, accoglieva in parte l'appello principale in ordine alla doglianza relativa alla compensazione delle spese di lite e CTU; rigettava l'appello principale dei lavoratori con riguardo alla censura rivolta alla liquidazione equitativa del danno, e l'appello incidentale dell'Amministrazione volto al rigetto in toto della domanda dei lavoratori.

5. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorrono M.B., P.V.B., A.C., R.C., P.F., C.G., A.M., P.N., C.S., prospettando due motivi di ricorso.

6. Il MIUR e l'U.S.P. di Brindisi (già C.S.A. di Brindisi) sono rimasti intimati.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 1206, 1256, 1258 cod. civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, n. 2 e n. 4, cod. proc. civ.

2. Assumono i ricorrenti che erroneamente la Corte d'Appello aveva applicato la regola della effettività e della corrispettività della retribuzione, non riconoscendo il diritto all'integrale retribuzione e agli oneri accessori, atteso che dal 1° settembre 2009 si era instaurato un sinallagma contrattuale e anche se essi ricorrenti non avevano lavorato ciò non poteva essere addebitato agli stessi, atteso, altresì che avevano diffidato con messa in mora notificata il 10 maggio 2001, l'Amministrazione ad assumerli, né sussisteva impossibilità assoluta dell'Amministrazione di ricevere la prestazione.

3. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

3.1. Questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. 23928 del 2010), che in materia di lavoratori socialmente utili, il diritto, spettante, ai sensi dell'art. 45, comma 8, della legge n. 144 del 1999, in favore dei lavoratori, alla riserva dei posti nelle assunzioni del personale dell'amministrazione, ha ad oggetto non già direttamente I' assunzione, bensì la partecipazione ad un avviamento a selezione, con chiamata nominativa in vista di un inquadramento nei livelli retributivi funzionali per i quali non è richiesto il titolo di studio superiore a quello della scuola dell'obbligo, non garantendo la norma una automatica stabilizzazione ma solo un percorso riservato per l'accesso al pubblico impiego, e ciò anche quando il numero degli LSU iscritti sia inferiore a quello dei posti loro riservati. Ne consegue che, ove l'amministrazione ometta la chiamata a selezione mettendo tutti i posti a concorso, non sorge il diritto dei lavoratori alla costituzione del rapporto restando necessario l'accertamento del possesso dei requisiti per l'accesso al pubblico impiego.

3.2. Tanto premesso, va rilevato che in presenza di tardiva assunzione con retrodatazione giuridica, per il periodo intercorrente tra l'iniziale retrodatazione e l'effettiva assunzione, non sussiste il diritto del lavoratore all'attribuzione delle retribuzioni, in mancanza della prestazione lavorativa, ma il lavoratore può agire, a titolo extracontrattuale per il risarcimento del danno, oppure ex art. 2126 cod. civ. in presenza delle relative condizioni.

3.3. L'eventuale messa in mora, antecedente alla costituzione del rapporto di lavoro, volta a sollecitare lo stesso - peraltro, nella specie dedotta ma priva di relativa riproduzione e allegazione (neanche attraverso il richiamo circostanziato del luogo di produzione in atti) e dunque inammissibile - non può costituire fonte della obbligazione datoriale del versamento delle retribuzioni, atteso che detta obbligazione sorge dalla costituzione del rapporto di lavoro ed ha natura contrattuale.

3.4. A ciò consegue che in tema di risarcimento da tardiva assunzione dovuta a provvedimento illegittimo della P.A., l'allegazione del danno ingiusto da parte del lavoratore, in relazione al quale può assumere rilievo anche l'eventuale messa in mora, non può consistere nella mera richiesta di accertamento dell’ammontare delle retribuzioni e dei versamenti contributivi relativi al periodo di mancato impiego in quanto tali voci presuppongono l'avvenuto perfezionamento del rapporto di lavoro e rilevano sotto il profilo della responsabilità contrattuale, ma deve riguardare tutti i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali conseguenti alla violazione del diritto all' assunzione tempestiva, quali le spese sostenute in vista del futuro lavoro, le conseguenze psicologiche dipese dall'ingiusta condizione transitoria di assenza di occupazione e gli esborsi effettuati per intraprendere altre attività lavorative (Cass. n. 26282 del 2007).

3.5. Pertanto, in sede di quantificazione per equivalente del danno nel caso di omessa o ritardata assunzione, lo stesso non si identifica in astratto nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione.

3.6. La retrodatazione giuridica dell'assunzione non determina un diritto alle retribuzioni (retrodatazione economica), in quanto nessuna prestazione lavorativa è stata svolta, mentre l'illegittima tardiva assunzione può dar luogo a risarcimento del danno, salvo la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 2126 cod. civ., qualora sia stata svolta l'attività lavorativa, in presenza della relativa distinta domanda.

4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 2043, 1226 cod. civ. e del principio sulla necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; omessa, insufficiente contraddittoria motivazione sulla sentenza circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ.

I ricorrenti censurano l'intervenuta liquidazione equitativa del danno, non ricorrendone i presupposti e cioè: l'impossibilità di provare il danno nel preciso ammontare, atteso che lo stesso sussisteva: in relazione all'an debeatur come risultava dalla retrodatazione giuridica al 1° settembre 2000 con la conseguente evidenza del danno economico per la mancata percezione delle retribuzioni per il periodo 2000-2003; in relazione al quantum come si evinceva dalla quantificazione della CTU svolta in primo grado.

Inoltre la sentenza del Tribunale, confermata per tale profilo in appello, affermava che essi ricorrenti, nel suddetto periodo, avevano percepito retribuzione da altro datore di lavoro, senza considerare che di ciò la CTU, che veniva travisata dal giudice di merito, aveva già tenuto conto, e operando una ingiusta liquidazione equitativa.

La Corte d'Appello confermava la liquidazione equitativa perché non vi sarebbe stata la prova del reale periodo da porre a base della valutazione rigorosa del danno, non bastando la decorrenza giuridica, dovendosi provare da quando gli altri concorrenti erano stati effettivamente retribuiti, atteso che questi ultimi risultavano assunti con D.M. 262 del 23 novembre 2000.

Espongono i ricorrenti che tale comparazione è erronea e che il proprio diritto sorgeva dall'O.M. 30 maggio 2000 che all'art. 2 riservava agli LSU il 30 per cento dei posti messi a concorso con la medesima ordinanza.

5. Il motivo non è fondato.

La Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione delle disposizioni richiamate dal ricorrente, in ragione dei principi già enunciati nella trattazione del primo motivo di ricorso, e che, nel precisare il sorgere del diritto all'assunzione, distinguono il danno risarcibile dalle retribuzioni relative al periodo in contestazione.

Va premesso che per stessa ammissione dei ricorrenti, la CTU accertava una creditoria complessiva per differenze retributive e ferie non godute di euro 12.116,68 per ciascuno, oltre rivalutazione ed interessi dal 31 marzo 2006 (pag. 3 e pag. 7 del ricorso), in modo coerente con la domanda principale, rigettata, con cui si chiedeva il danno contrattuale per mancata corresponsione delle retribuzioni, ma non con la distinta domanda extracontrattuale accolta.

Pertanto la determinazione del danno extracontrattuale, effettuata in via equitativa, non è censurabile attraverso la dedotta mancata valorizzazione della CTU, attesa la mancanza di rilevanza della stessa rispetto alla domanda accolta.

Tenuto conto che la liquidazione in via equitativa del danno postula, in primo luogo, il concreto accertamento dell'ontologica esistenza di un pregiudizio risarcibile, il cui onere probatorio ricade sul danneggiato e che l'impossibilità o l'estrema difficoltà di una stima esatta del danno stesso dipenda da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l'entità (Cass., n. 4534 del 2017), la Corte d'Appello correttamente ha confermato la liquidazione del danno extracontrattuale effettuata dal Tribunale in via equitativa, in ragione dei principi sopra riportati, tra cui quelli enunciati dalla citata Cass. n. 26282 del 2007, rilevando che: la decorrenza giuridica dell'assunzione alla data del 1° settembre 2000 non comportava la contemporanea determinazione del dies a quo della causazione del danno; non sussisteva la prova del reale periodo da porre a base della valutazione rigorosa del danno; l'entità del danno risarcibile non poteva prescindere dall'aliunde perceptum e dalla mancata messa a disposizione delle energie lavorative (come si è già affermato, la deduzione dell'intervenuta messa in mora è inammissibile in quanto non veniva prodotta agli atti, né veniva indicata in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovasse il documento in questione, né veniva trascritto o riassunto il contenuto nel ricorso); la retrodatazione giuridica costituiva un vantaggio per la carriera dei ricorrenti meritevole di valutazione al fine del contenimento della somma.

Quanto al dedotto vizio di motivazione lo stesso non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ.

In caso contrario, come nella specie, questo motivo di ricorso si risolve in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass., sentenza n. 9233 del 2006).

6. Il ricorso deve essere rigettato.

7. Nulla spese, essendo rimaste intimate le controparti.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla spese.