Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 ottobre 2017, n. 24212

Illegittimità del recesso - Maturazione del diritto alla pensione di anzianità - Art. 24, co. 3, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 - Nessun obbligo di cessazione del rapporto di lavoro

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di Appello di Napoli, adita dalla s.p.a. Alto Calore Servizi con reclamo proposto ai sensi dell'art. 1 della legge n. 92 del 2012, ha confermato la sentenza del Tribunale di Avellino che, all'esito del giudizio di opposizione, aveva dichiarato l'illegittimità del recesso intimato dalla società ad A. A. in quanto quest'ultimo alla data del 31.12.2011 aveva maturato il diritto alla pensione di anzianità ai sensi dell'art. 24 del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201.

2. La Corte territoriale ha evidenziato che la norma sopra richiamata, interpretata autenticamente dall'art. 2, comma 4, del d.l. 101 del 2013, mira a garantire il diritto di accesso al trattamento pensionistico, sulla base della normativa previgente, ai lavoratori che entro l'anno 2011 avessero maturato i requisiti necessari per la pensione di anzianità, ma non sancisce e lascia inalterata la distinzione fra pensione di anzianità e pensione di vecchiaia, con la conseguenza che, ove il lavoratore non chieda di essere collocato a riposo, continua ad operare l'età limite ordinamentale prevista per la permanenza in servizio dall'art. 4 del d.p.r. n. 1092 del 1973.

3. Nella fattispecie, pertanto, il recesso non poteva essere esercitato in quanto l'A., nato il 9 settembre 1950, avrebbe maturato il diritto alla pensione di vecchiaia solo il 1° settembre 2015.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la s.p.a. A. C. S. sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ., al quale ha opposto difese con tempestivo controricorso A. A..

 

Ragioni della decisione

 

1. Il ricorso denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell'art. 24, commi 3 e 4, del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214. Premesso che l'A. alla data del 31 dicembre 2011 aveva maturato la cosiddetta "quota 96", sostiene la società ricorrente che la facoltà di recesso era stata legittimamente esercitata ai sensi dell'art. 72, comma 11, del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, nel testo applicabile ratione temporis, perché il legislatore, nel prevedere la applicabilità del regime pensionistico previgente, non aveva consentito al lavoratore di optare per la prosecuzione del rapporto. Aggiunge, inoltre, che il dipendente, al quale la volontà della società era stata anticipata con una prima nota del 19.11.2013, nulla aveva obiettato al riguardo.

2. Il ricorso è infondato.

Il d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011 n. 214, al fine di "rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico in termini di incidenza della spesa previdenziale sul prodotto interno lordo" e, quindi, di realizzare il contenimento dei costi richiesto dalle Istituzioni Europee ( il capo IV intitolato "Riduzioni di spesa. Pensioni" si inserisce nel titolo terzo che detta disposizioni per il "Consolidamento dei conti pubblici"), oltre ad estendere il cosiddetto regime contributivo, ha previsto nuovi e diversi requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia ed a quella anticipata, tenendo conto, da un lato, delle "variazioni della speranza di vita", dall'altro della necessità di armonizzare e semplificare i regimi delle diverse gestioni previdenziali.

In questo contesto si inserisce la disposizione dettata dal comma 3 dell'art. 24 secondo cui "il lavoratore che maturi entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età e di anzianità contributiva, previsti dalla normativa vigente, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, ai fini del diritto all'accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità, consegue il diritto alla prestazione pensionistica secondo tale normativa e può chiedere all'ente di appartenenza la certificazione di tale diritto.".

La norma, di carattere transitorio, ha la chiara finalità di mantenere fermo il previgente regime previdenziale per coloro che alla data indicata, immediatamente successiva a quella di pubblicazione del decreto legge, avrebbero potuto accedere alle prestazioni pensionistiche e detta finalità, già desumibile dal testo del d.l., è stata meglio esplicitata dall’art. 2 del d.l. 101 del 2013 che al comma 4, per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ha interpretato autenticamente l'art. 24, comma 3, nel senso che "il conseguimento... di un qualsiasi diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011 comporta obbligatoriamente l'applicazione del regime di accesso e delle decorrenze previgenti rispetto all'entrata in vigore del predetto articolo 24". Il successivo comma 5, ha, poi, interpretato, sempre limitatamente ai dipendenti della P.A., il secondo periodo del comma 4 del richiamato art. 24 ( secondo cui: "Il proseguimento dell'attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall'operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all'età di settant'anni, fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita, come previsti dall'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni e integrazioni.") precisando che "il limite ordinamentale, previsto dai singoli settori di appartenenza per il collocamento a riposo d'ufficio e vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso, non è modificato dall'elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia e costituisce il limite non superabile, se non per il trattenimento in servizio o per consentire all'interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione ove essa non sia immediata, al raggiungimento del quale l'amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego se il lavoratore ha conseguito, a qualsiasi titolo, i requisiti per il diritto a pensione.".

2.1. La disciplina previdenziale, quindi, per i dipendenti pubblici, solo in relazione alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia, conseguibile al raggiungimento del limite di età ordinamentale, prevede l'obbligo di cessazione del rapporto, obbligo che, invece, non è previsto con riferimento alla pensione di anzianità, per la quale la disciplina transitoria ha la sola finalità di garantire l'accesso alla prestazione secondo il regime previgente.

L'obbligatorietà imposta dal legislatore in sede di interpretazione autentica va, infatti, riferita alla individuazione della disciplina previdenziale applicabile ed è finalizzata ad escludere la necessità di una opzione da parte del dipendente interessato. La stessa, invece, non può essere collegata alla cessazione del rapporto, non menzionata dall'art. 24, comma 3, ed imposta dalla legge di interpretazione autentica nei soli casi di raggiungimento dell'età anagrafica prevista per la maturazione della pensione di vecchiaia, secondo il previgente regime.

Prima di detta data, pertanto, il recesso dal rapporto in tanto può essere ritenuto legittimo in quanto previsto da altre fonti normative che lo consentano.

2.2. Rileva, quindi, per le pubbliche amministrazioni l'art. 72, comma 11, del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, convertito in legge 6 agosto n. 133, che nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis ( il recesso è stato nella specie esercitato il 21 marzo 2014 in data antecedente l'entrata in vigore del d.l. 24.6.2014 n. 90) consentiva agli enti menzionati dall'art. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001 di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale " a decorrere dal compimento dell'anzianità massima contributiva di quaranta anni del personale dipendente, nell'esercizio dei poteri di cui all'articolo 5 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001 .... fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici".

Rispetto all'esercizio della facoltà di recesso disciplinata dalla norma richiamata la sopravvenuta normativa dettata in tema di trattamenti previdenziali ha un'incidenza solo indiretta perché la norma richiama sia "la massima anzianità contributiva di quaranta anni" sia la decorrenza dei trattamenti pensionistici, sui quali ha inciso il d.l. n. 201 del 2011.

Le due normative vanno, quindi, armonizzate ed a tal fine rilevano la disposizione transitoria e la legge di interpretazione autentica perché il raggiungimento della massima anzianità contributiva, che è requisito imprescindibile per l'esercizio della facoltà, è condizionato dalla normativa previdenziale applicabile, in quanto quella successiva ha innalzato il limite minimo previsto per l'accesso alla pensione anticipata ( non a caso lo stesso d.l. n. 201 del 2011 al comma 20 dell'art. 24 stabilisce che "resta fermo che l'attuazione delle disposizioni di cui al d.l. 25 giugno 2008 n. 112, art. 72, ...con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento a decorrere dal 1° gennaio 2012, tiene conto della rideterminazione dei requisiti di accesso al pensionamento come disciplinata dal presente articolo").

Il requisito resta quello di quarantanni previsto dall'art. 72, nel testo vigente alla data di entrata in vigore del d.l. 201 del 2011 ( e non quello di 42 anni e 1 mese stabilito dal richiamato art. 24, comma 10), per coloro che alla data del 31.12.2011 avrebbero maturato, a qualsiasi titolo, il diritto alla pensione di anzianità, perché detta maturazione ha, come si è visto, consolidato nei loro confronti la disciplina previgente.

Solo a detti limitati fini rileva il raggiungimento della cosiddetta quota '96 prevista dalla legge n. 243 del 2004, art. 1, comma 6, lett. C), come modificato dalla legge n. 247 del 2007, che consentiva l'accesso a domanda dell'interessato al trattamento pensionistico a prescindere, oltre che dal limite di età, anche dalla massima anzianità contributiva fissata dalla normativa vigente all'epoca.

In tal senso le disposizioni che qui vengono in rilievo sono già state interpretate da questa Corte con la sentenza n. 12488 del 2015, con la quale, appunto, si è attribuito rilievo alla maturazione del requisito previsto dalla legge n. 243 del 2004, non per sostenere che detta maturazione fosse sufficiente a fondare il diritto di recesso, bensì per individuare il regime previdenziale applicabile e, quindi, la massima anzianità contributiva, in un'ipotesi in cui l'amministrazione, preso atto del raggiungimento della quota '96 alla data del 31.12.2011, aveva poi atteso il compimento di quarant'anni di contribuzione per esercitare il potere previsto dall'art. 72.

2.3. Nel caso di specie, al contrario, è incontestato che la ricorrente abbia preteso di esercitare il diritto di recesso dal rapporto solo perché l'A. aveva maturato il requisito di accesso alla pensione di anzianità ai sensi della legge n. 243 del 2004, e successive modificazioni, senza attendere il compimento della "massima anzianità contributiva" né il raggiungimento dell'età limite ordinamentale.

Nel ricorso, infatti, si fa esclusivo riferimento alla "quota '96" non alla massima anzianità contributiva che, tra l'altro, era stata espressamente esclusa dal giudice di primo grado il quale aveva ritenuto illegittimo il recesso, oltre che per le medesime considerazioni poi espresse dalla Corte territoriale sulla interpretazione del d.l. 201 del 2011, anche per la insussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 72.

Il potere è stato, quindi, esercitato in difetto delle condizioni richieste dalla legge perché, lo si ripete, solo l'art. 72 del d.l. n. 112 del 2008 (non già il d.l. 201 del 2011) consente il recesso anticipato, ma lo subordina non alla maturazione di un qualsiasi diritto alla prestazione pensionistica bensì al raggiungimento della anzianità contributiva massima.

Poiché il richiamato art. 72 è stato invocato non a ragione dalla società ricorrente, il ricorso deve essere per ciò solo rigettato a prescindere dalla questione, non affrontata dai giudici del merito e sulla quale le parti nulla hanno dedotto, della applicabilità della normativa alle sole amministrazioni previste dal d.lgs. n. 165 del 2001.

3. In ragione della soccombenza le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a carico della s.p.a. Alto Calore nella misura indicata in dispositivo, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dalla società ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000,00 per competenze professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.