Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 giugno 2017, n. 15501

Rapporto di lavoro - Dipendente Enel - Enfisema polmonare - Prolungata esposizione all'amianto - Danni patrimoniali - Risarcimento

Fatti di causa

Con sentenza 26 gennaio 2012, la Corte d'appello di Torino rigettava l'appello proposto da R.R., dipendente dal 1972 di I. (già I.) Energia s.p.a. addetto alla centrale idroelettrica di Moncalieri con mansioni di esercizio e manutenzioni di impianti, avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto la domanda di condanna risarcitoria della datrice per danni patrimoniali e non, dipendenti da enfisema polmonare conseguito a broncopneumopatia cronica ostruttiva con ispessimenti pleurici diagnosticatagli nel 2004 asseritamente causata da una prolungata esposizione all'amianto.

A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva, come già il Tribunale, la dipendenza della patologia respiratoria denunciata dalle lavorazioni svolte: avendo accertato la C.t.u. medico-legale esperita e il supplemento, con argomentazioni condivisibili per l'accuratezza dell'esame obiettivo del paziente e della documentazione y medica, il collegamento eziologico della broncopneumopatia con il pregresso protratto consumo di tabacco e degli ispessimenti pleurici con l'attività lavorativa antecedente a quella prestata alle dipendenze di I., ossia negli anni dal 1965 al 1971 come macchinista della Marina Militare, comportante una certa esposizione ad amianto.

Con atto notificato il 2 aprile 2012, R.R. ricorre per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c., cui resiste la società con controricorso.

Il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo, quale la data di presumibile inizio del processo patogenetico e l'omessa valutazione dell'esposizione ad amianto, nonostante le risultanze delle prove orali, neppure considerate.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo, quale la possibile abbreviazione del periodo di latenza della malattia per effetto della prosecuzione dell'esposizione ad amianto e l'omesso esame, una volta escluso il danno biologico, di altri tipi di danno per compromissione dell'integrità psicologica del lavoratore e dell'evoluzione del quadro clinico.

3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 2050 e 2087 c.c., per erronea applicazione del regime probatorio, a carico datoriale per l'esercizio di un'attività pericolosa in quanto generatrice di energia elettrica e termica, comportante l'onere dell'adozione di ogni possibile misura di protezione dei dipendenti: anche alla luce delle risultanze istruttorie in ordine all'ambiente di lavoro e alle mansioni di manutenzione proprie.

4. I primi due motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili.

4.1. Entrambi sono essenzialmente concentrati su un dissenso diagnostico, che integra una critica inammissibile del convincimento del giudice: per la denunciabilità in sede di legittimità del vizio motivo della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica e la cui fonte va indicata, ovvero di omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi (Cass. 29 aprile 2009, n. 9988; Cass. 8 novembre 2010, n. 22707; Cass. 3 febbraio 2012, n. 1652).

Ma tali lacune della C.t.u. medico-legale non sono state prospettate: come anche puntualmente argomentato dalla Corte territoriale nella propria condivisione delle conclusioni peritali (al primo capoverso di pg. 6 della sentenza), senza alcuna specifica smentita né confutazione.

4.2. Parimenti inammissibili sono le censure alla sentenza di primo grado (atteso che oggetto del suddetto ricorso è, al di fuori dei casi eccezionali previsti dalla legge, normalmente la sentenza di secondo grado: Cass. 21 marzo 2014, n. 6733; Cass. 15 marzo 2006, n. 563), sia in via diretta (come a pg. 17 del ricorso), sia in via derivata da precedenti provvedimenti istruttori (come a pgg. 14 e 15 del ricorso) e così pure le personali valutazioni (come a pgg. 20 e 21 del ricorso) astratte da obiettivi fatti di causa o che comunque in essa non abbiano trovato motivato ingresso, come in particolare le istanze di ampliamento del quesito a danni diversi dal biologico o alla data di esposizione all'amianto, oggetto di puntuale argomentazione dalla Corte territoriale (all'ultimo capoverso di pg. 5 della sentenza), neppure oggetto di specifica confutazione.

4.3. Ed infine essi contengono anche una generica doglianza di omessa considerazione di prove orali (al secondo capoverso di pg. 16 del ricorso), neppure debitamente trascritte integralmente: con evidente difetto di specificità del motivo, in parte qua, in violazione della prescrizione dell'art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c., sotto il profilo dell'autosufficienza (Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 30 luglio 2010, n. 17915).

5. Il terzo motivo, relativo a violazione degli artt. 2050 e 2087 c.c. per erronea applicazione del regime probatorio a carico di chi eserciti un'attività generatrice di energia elettrica e termica e quindi pericolosa, è pure inammissibile.

5.1. Esso è assolutamente generico, in quanto privo di ogni collegamento con le questioni trattate dalla sentenza: sicchè viola il requisito di specificità prescritto dall'art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che esige l'illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l'analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).

5.2. Inoltre, neppure si configura la violazione di norme di diritto, in difetto dei requisiti propri di verifica di correttezza dell'attività ermeneutica diretta a ricostruirne la portata precettiva, né di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell'ipotesi normativa, né tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

6. Dalle superiori argomentazioni discende coerente l'inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna R.R. alla rifusione, in favore della Controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.