Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 maggio 2017, n. 10831

Licenziamento - Negazione di un rapporto di parentela - Sottoscrizione documento aziendale - Divieto di contrattualizzazione di parenti - Proporzionalità della sanzione espulsiva - Accertamento

 

Fatto

 

Con sentenza 6 luglio 2015, la Corte d’appello di Roma rigettava il reclamo proposto da R. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto l'opposizione all'ordinanza dello stesso Tribunale di accertamento dell'illegittimità del licenziamento intimato con lettera 5 novembre 2013 al caporedattore L.L. e di reintegrazione nel posto di lavoro, con la condanna della società datrice al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, delle mensilità retributive maturate fino alla data di riammissione entro il limite massimo di dodici.

A motivo della decisione, la Corte territoriale ribadiva l'insussistenza del fatto contestato al lavoratore con lettera 17 ottobre 2013, "consistente nell'aver sottoscritto un documento aziendale in cui ha negato il rapporto di parentela oltretutto con una persona di cui ha richiesto l'impegno in azienda", per essere questa (Ingaggiata, con contratto di lavoro autonomo, come invitata intervistata al programma "Paese che vai" nel periodo dal 20 settembre al 31 ottobre 2013) sua coniuge dal 28 luglio 2007 (ed avendo L.L. formalmente comunicato all'azienda il matrimonio): e pertanto a lui legata da un rapporto diverso da quello di parentela o affinità, giuridicamente distinto anche dalla modulistica aziendale utilizzata da R. s.p.a.

Ma quand'anche ritenuto il contrario, la Corte capitolina escludeva comunque la legittimità del licenziamento intimato per l'ascrivibilità della condotta all'ipotesi di "utilizzazione, al fine di trarre comunque profitto a proprio vantaggio o di terzi, di quanto forma oggetto del disimpegno delle proprie mansioni", sanzionata dal regolamento di disciplina R. con la sanzione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione da sette a dieci giorni: e pertanto in ogni caso rientrante nella previsione del novellato testo dell'art. 18, quarto comma I. 300/1970.

Con atto notificato il 4 (8) settembre 2015, R. s.p.a. s.p.a. ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste L.L. con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 - 1371, 2104, 2106 c.c. e 7 I. 300/1970, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per non corretta interpretazione della lettera di contestazione di addebito, non soltanto di sottoscrizione di un modulo aziendale nella negazione di un rapporto di parentela con la persona di cui è stato richiesto l'impegno in azienda, ma anche di reticenza sulla sua qualità di coniuge all'atto della richiesta di un contratto di lavoro autonomo in suo favore e di compilazione del predetto modulo senza la barratura della casella "condizioni ostative" (tra le quali anche quella di coniugio), in violazione dei canoni interpretativi in materia contrattuale (e segnatamente dell'art. 1362 c.c., di esatta verifica dell'intenzione delle parti, dell'art. 1363 c.c., di lettura delle varie parti le une per mezzo delle altre, dell'art. 1367 c.c., di conservazione di un loro effetto, dell'art. 1371 c.c., di equo contemperamento degli interessi delle parti): senza alcuna immutazione di una specifica contestazione contenente tutti i suddetti elementi, erroneamente ritenuti (il secondo e il terzo) irrilevanti dalla Corte territoriale, in quanto non contestati.

Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 74, 78, 82 c.c., 12 prel., 1362 ss. c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per la formalistica distinzione dei rapporti di parentela, di affinità e di coniugio, contraria al senso comune, anche secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata e di buona fede, tenuto conto della qualità di giornalista e non di "fine giurista" del lavoratore, perfettamente edotto delle numerose disposizioni interne (Circolare DG/0334 del 27 ottobre 1988, Comunicazione n. 2386 del 2 agosto 1999, Nota di chiarimenti RU/RSn. 3510 del 17 luglio 2002) di divieto di contrattualizzazione di parenti, affini e coniugi, se non previa autorizzazione e in taluni casi eccettuati.

Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2104, 2106, 2119, 2697 c.c., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea esclusione della gravità della condotta del lavoratore nel non segnalare il rapporto di coniugio con la professionista esterna ingaggiata per il suo programma con contratto di lavoro autonomo, comprovante il suo intento fraudolento, in realtà neppure necessario, per la sufficienza a fini disciplinari dell'allegazione del solo inadempimento contrattuale suddetto (in presenza di fonti aziendali, a lui note, prescrittive di adeguata segnalazione) e in effetti non contestato.

Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della legge 92/2012, degli artt. 2119 c.c., 1, 3 I. 604/1966, 30, terzo comma I. 183/2010, delle Disposizioni interne R. sul divieto di contrattualizzazione di coniugi, parenti e affini, del Regolamento di disciplina R., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per la ricorrenza nella condotta contestata al lavoratore della giusta causa di licenziamento, siccome irrimediabilmente lesiva del vincolo fiduciario tra le parti, tenuto conto della natura direttiva della sua mansione di responsabile apicale di struttura, titolare di potere decisionale sugli incarichi a collaboratori esterni; nell'insussistenza della sanzione conservativa erroneamente ritenuta dalla Corte territoriale.

Il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 - 1371, 2104, 2106 c.c. e 7 I. 300/1970, per non corretta interpretazione della lettera di contestazione di addebito) può essere congiuntamente esaminato, per ragioni di stretta connessione, con il secondo (violazione e falsa applicazione degli artt. 74, 78, 82 c.c., 12 prel., 1362 ss. c.c., per la formalistica distinzione dei rapporti di parentela, affinità e coniugio, contraria al senso comune, anche secondo interpretazione costituzionalmente orientata e di buona fede).

Essi sono infondati.

Non sussiste la denunciata violazione delle norme di legge riguardanti l'esatta definizione delle nozioni di parentela, di affinità e di coniugio.

Esse sono state individuate secondo un'accezione non già formalistica, ma giuridicamente corretta (e pertanto valevole per tutti i cittadini e non soltanto per i giurisperiti), sicché non può essere adottato il canone, invocato a norma dell'art. 12 disp. prel. c.c., piuttosto che in senso costituzionalmente orientato, di accoglienza di un atecnico "comune sentire".

Ed infatti, nell'ipotesi in cui l'interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuarne in modo chiaro ed univoco il relativo significato e la connessa portata precettiva, l'interprete non può ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario della ricerca della mens legis, specialmente se, attraverso siffatto procedimento, si possa pervenire al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore (Cass. 6 aprile 2001, n. 5128).

Le scrutinate locuzioni normative sono state pure correttamente interpretate, sotto lo specifico profilo della negata possibile inclusione nelle nozioni di parentela e affinità di quella di coniugio, in più specifico riferimento al rigoroso rispetto della volontà delle parti, in applicazione del richiamato canone ermeneutico dell'art. 1362, primo e secondo comma c.c.

Come noto, nella gerarchia dei criteri interpretativi, esso è il principale e deve pertanto prevalere, quando riveli con chiarezza ed univocità la comune volontà delle parti, sicché non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l'intento effettivo dei contraenti (Cass. 15 luglio 2016, n. 14432; Cass. 21 agosto 2013, n. 19357; Cass. 28 agosto 2007, n. 18180), anche alla luce della stessa modulistica adottata, quale parte unilateralmente predisponente, da R. s.p.a.

E ciò in particolare riferimento, nello stesso documento sottoscritto esattamente dal coniuge separato del lavoratore, alla distinzione tra rapporti di parentela o affinità con persone "che lavorano presso la R." e tra rapporti di coniugio, parentela o affinità entro il quarto grado, di stabile convivenza, di interessenza di natura economica con soggetti in funzioni dirigenziali, gestorie, o di partecipazione nell'ambito di "società iscritte all'Albo dei fornitori R." (così, con testuale richiamo documentale, negli ultimi tre capoversi di pg. 4 della sentenza). In proposito, ben possono essere richiamati pure, in via integrativa, gli ulteriori canoni ermeneutici degli artt. 1366 (di interpretazione secondo buona fede, innanzi tutto dal redigente il testo) e 1370 (di interpretazione, in caso di eventuale dubbio, a favore della parte non predisponente) c.c.

Si comprende allora come la censura di esegesi erronea della lettera di contestazione del 17 ottobre 2013 si risolva in una sua diversa interpretazione della parte e quindi del risultato interpretativo in sé, insindacabile dalla Corte di cassazione, per la sua riserva esclusiva al giudice di merito, in quanto appartenente all'ambito dei giudizi di fatto. Il controllo di legittimità afferisce alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta; non invece in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice di merito, con la conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale da questo operata, che in essa si traduca (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; Cass. 18 novembre 2005, n. 24461).

Nel caso di specie, le regole ermeneutiche contrattuali sono state esattamente applicate, sulla base di una motivazione congrua, non viziata né logicamente né giuridicamente (per le ragioni illustrate dal primo periodo di pg. 4 al primo capoverso di pg. 5 della sentenza). Né infine si può accedere, in presenza di un'interpretazione ben plausibile del giudice di merito neppure essendo necessario che essa sia l'unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178), ad una sostanziale sollecitazione a revisione del merito, discendente dalla contrapposizione di una interpretazione dei fatti propria della parte a quella della Corte territoriale (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).

Dalle superiori argomentazioni, assorbenti l'esame del terzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2104, 2106, 2119, 2697 c.c., per erronea esclusione della gravità della condotta del lavoratore) e del quarto motivo (violazione e falsa applicazione della legge 92/2012, degli artt. 2119 c.c., 1, 3 I. 604/1966, 30, terzo comma I. 183/2010, delle Disposizioni interne R. sul divieto di contrattualizzazione di coniugi, parenti e affini, del Regolamento di disciplina R., per la ricorrenza nella condotta contestata al lavoratore della giusta causa di licenziamento), discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna R. s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.