Prassi - CONSIGLIO NAZIONALE DOTT COMM E ESP CON - Nota 18 gennaio 2019, n. 6

Esito Tavolo Tecnico INPS-CNDCEC relativo agli adempimenti in materia di lavoro

Al fine di tenerLa informata sulle attività svolte dal Consiglio Nazionale in materia di "Economia e fiscalità del lavoro", Le invio le risultanze del Tavolo Tecnico INPS-CNDCEC riunitosi il 21 novembre 2018. Il documento contiene le risposte dell'Istituto ai quesiti posti durante l'incontro e relativi a tematiche concernenti vari adempimenti in materia di lavoro.

Auspicando che Lei possa contribuire ad una capillare diffusione del contenuto del documento presso gli iscritti al Suo Ordine, Le invio cordiali saluti.

 

Allegato

Tavolo Tecnico INPS-CNDCEC

 

 

Proposte dei Commercialisti: casistiche e problematiche emerse

Riscontri dall' Ente al termine del Tavolo tecnico INPS-CNDCEC

  Agevolazioni ex articolo 8, comma 9, L. 407/1990  Nei casi di revoca delle agevolazioni contributive relative all'assunzione con contratto a tempo indeterminato di lavoratori disoccupati da almeno 24 mesi, conseguite all'accertamento (molto successivo) da parte dell'INPS della mancata conservazione dello stato di disoccupazione del lavoratore (ad es. a causa di superamento del limite reddituale previsto dalla normativa vigente), diversamente certificato al momento dell'assunzione tramite regolare attestato dal centro per l'impiego competente con specifica indicazione del possesso dell'anzianità di disoccupazione necessaria alla fruizione dell'agevolazione, si chiedono chiarimenti in ordine alle condizioni di regolarizzazione delle somme dovute.In tali casi, qualora sia accertata la debenza del contributo, per ragioni di carattere ermeneutico e sistematico dovrebbero retare esclusi gli aspetti sanzionatori ed accessori conseguenti l'inadempimento dell'obbligazione contributiva. in proposito, infatti, è di palmare evidenza che il datore di lavoro contribuente abbia operato sulla scorta di legittimo affidamento, derivandone altresì l'esimente della "buona fede", applicabile anche all'illecito amministrativo, che assurge a causa di esclusione della responsabilità amministrativa, in quanto sussistono elementi positivi idonei ad ingenerare nel datore di lavoro il convincimento della liceità della sua condotta il quale ha fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero può essergli mosso.

Infatti, dalla lettura del disposto normativo si ricava, in maniera inequivocabile, che sul datore

non incombe alcun onere di verificare l'esattezza dei dati contenuti nel certificato di disponibilità al lavoro, né tanto meno la veridicità dello stato di disoccupazione dei soggetti che assume; dette verifiche infatti sono di competenza esclusiva dei CPI che hanno il precipuo compito di snellire le procedure burocratiche e di effettuare i dovuti controlli.

Milita in tal senso l'art.3, primo comma, del d.lgs. 297/2002. di modifica del d.lgs. 181/2000 secondo cui lo stato di disoccupazione "dev'essere comprovato dalla presentazione dell'interessato presso il servizio competente (CTI) nel cui ambito territoriale si trovi il domicilio del medesimo, accompagnata da una dichiarazione, ai sensi del  d.P.R. 2000 n. 445, che attesti l'eventuale attività lavorativa precedentemente svolta, nonché l'immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorative".

Il predetto articolo 3, primo comma, d.lgs. 297/2002 demanda, inoltre, ai centri per l'impiego la verifica del l'effettiva permanenza dello stato di disoccupazione sulla base delle comunicazioni previste dall'art.4-bis (comunicazioni di assunzioni, cessazione, trasformazione e proroga).

Dunque, se ne deduce che al Centro per l'Impiego compete, in forza del decreto de quo, il controllo della sussistenza e permanenza dello stato di disoccupazione, anche ai fini dell'agevolazione contributiva di cui all’art.8, nono comma,  L.407/1990 .

A favore della suddetta linea interpretativa depone altresì il D.Lgs. n.276/2003 che, all'art.8 comma 3, dispone "per le informazioni che facciano riferimento a dati amministrativi in possesso dei servizi per l'impiego, con particolare riferimento alla presenza in capo al lavoratore di particolari benefici contributivi e fiscali, gli elementi contenuti nella scheda anagrafico- professionale prevista dal d.lgs 2002 n. 297, hanno valore certificativo delle stesse".

Inoltre, come sostenuto anche dall'INPS (circolare 30.06.2003 n.117; circolare 16.03.2004 n.51) l'accesso alle agevolazioni contributive previste dall'art. 8 cit. è subordinato alla dichiarazione di responsabilità del lavoratore rilasciata al Centro per l'Impiego, corredata dall'attestazione di permanenza del soggetto interessato nello stato di disoccupazione da parte del predetto Centro.

Sulla scorta di tali dettati normativi se ne deduce che il beneficio previsto dal d.lgs. n.407/90 è subordinato alla dichiarazione di responsabilità prodotta dal lavoratore al competente Centro per l'impiego e dall'attestazione di permanenza del soggetto interessato nello stato di disoccupazione da parte del citato Centro.

Ciò chiarito non emerge in capo al datore alcun obbligo di controllo circa la veridicità delle certificazioni rilasciate dal Centro per l'impiego territoriale. Dunque, il datore che riceve il certificato di stato occupazionale ha ben ragione di fare legittimo affidamento sulla veridicità del contenuto dello stesso.

L'Istituto, ribadisce la debenza della contribuzione previdenziale ordinaria, anche in virtù dell'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cassazione n. 15491 del 2.7.2009).Per quanto concerne, invece, gli aspetti sanzionatori ed accessori conseguenti l'inadempimento dell'obbligazione contributiva, il CNDCEC ha sollecitato l'istituto ad una diversa valutazione in virtù della buona fede e del legittimo affidamento del datore di lavoro conseguito all'esistenza di specifica certificazione rilasciata da un ente della Pubblica Amministrazione (il Centro per l'impiego territorialmente competente). Sotto quest'ultimo profilo l'Istituto si è riservato un approfondimento della problematica finalizzato alla valutazione della possibilità di applicare in luogo della sanzione per Omissione contributiva il solo Tasso di interesse legale.
 comma 31 dell'articolo 2 della legge 92/2012 Nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto alla NASpI, è dovuta, a carico del datore di lavoro, una somma pari al 41 per cento del massimale mensile di NASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.Si chiede la posizione dell'Istituto in ordine ai casi di cessazione del contratto a tempo determinato diversi da quello della scadenza naturale del termine. Ci si riferisce agli atti di recesso anticipato dal contratto di lavoro a tempo determinato, siano essi per giusta causa o ante tempus (quandanche illegittimi).Stando alla lettera della legge, che parla di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nei casi di cui si discute il datore di lavoro non dovrebbe essere tenuto al versamento di alcun Ticket di licenziamento. L'Istituto conferma la soluzione interpretativa proposta che esclude l'applicazione del "Ticket di licenziamento" per qualsiasi causa di cessazione del rapporto a tempo determinato, compreso il recesso unilaterale datoriale operato ante tempus, ovvero prima della scadenza naturale del contratto a termine. La normativa istitutiva del cosiddetto "Ticket per il licenziamento", infatti, riguarda esclusivamente i rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
  decreto direttoriale dell'ANPAL n. 2 del 2 gennaio 2018  L'incentivo "Occupazione Mezzogiorno", disciplinato dal decreto direttoriale dell'ANPAL n. 2 del 2 gennaio 2018, è applicabile, in presenza degli specifici presupposti legittimanti, alle assunzioni/trasformazioni a tempo indeterminato effettuate nel corso dell'anno 2018

L'incentivo in esame spetta per l'assunzione di persone disoccupate ai sensi dell'articolo 19 del d.lgs. n. 150/2015, ossia di soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro di cui all'articolo 13 del medesimo decreto, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l'impiego.Se il lavoratore, alla data di assunzione, ha già compiuto 35 anni di età, oltre ad essere disoccupato e ferme restando le precisazioni in materia di aiuti di Stato, deve risultare privo di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, ai sensi del decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 17 ottobre 2017, pubblicato in data 8 febbraio 2018.Inoltre, fatta eccezione per le ipotesi di trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, il lavoratore, ai fini del legittimo riconoscimento dell'incentivo, nei sei mesi precedenti l'assunzione, non deve aver avuto un rapporto di lavoro subordinato con lo stesso datore di lavoro che lo assume con l'incentivo.In relazione a tale ipotesi, si chiede se il requisito dell’assenza di rapporto di lavoro con lo stesso datore di lavoro nei sei mesi precedenti l'assunzione che si intende agevolare, può dirsi verificato anche qualora fra le parti si sia stipulato un contratto di lavoro intermittente in relazione al quale il datore di lavoro non ha mai chiamato il lavoratore?A parere dello scrivente, il rapporto di lavoro non può mai dirsi effettivamente instaurato e, pertanto, la sola sottoscrizione del contratto e la presenza di un UNILAV non è preclusiva del godimento dell'incentivo. Inoltre, in relazione all'assenza di un impiego regolarmente retribuito nei sei mesi precedenti l'assunzione agevolata, si chiede se tale requisito possa essere verificato anche nelle ipotesi di prestazione di attività lavorativa riconducibile a un rapporto di lavoro subordinato con contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato (o della durata di almeno sei mesi) le cui chiamate effettive non superino cumulativamente la durata di sei mesi nel periodo considerato.

Per l'Istituto la condizione di "impiego non regolarmente retribuito" non è verificata quando il lavoratore nei sei mesi precedenti l'assunzione è stato titolare di un rapporto di lavoro a chiamata senza obbligo di disponibilità, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato superiore a sei mesi.

La condizione di "impiego non regolarmente retribuito", in tali casi, va esclusa nonostante nei sei mesi precedenti l'assunzione il lavoratore non sia mai stato chiamato a lavoro e, dunque, non abbia mai svolto effettivamente una giornata di lavoro remunerata.In ambo i casi quindi, non è possibile godere dell'incentivo.

 Circolare INPS n. 130 del 15.9.2017 Come precisato nella circolare INPS n. 130/2017, al punto 4, intitolato "Prestazioni garantite dal FIS, assegno al nucleo familiare e T.F.R.", durante il periodo di percezione sia dell'assegno di solidarietà che dell'assegno ordinario il Fondo non eroga la prestazione accessoria degli assegni al nucleo familiare e del T.F.R., in quanto prestazioni non previste dal D.l. n. 94343/2016.Tale affermazione implica che durante il periodo di sospensione o riduzione delle attività di lavoro con contestuale ricorso alle prestazioni del FIS i lavoratori interessati perdano la prestazione degli assegni al nucleo familiare? Oppure, diversamente, il predetto chiarimento implica che la prestazione A.N.F. resti a carico della "Gestione prestazioni temporanee" come per la generalità dei lavoratori dipendenti? Si segnala che il decreto ministeriale 94343/2016 sia in merito all'assegno ordinario che all'assegno di solidarietà prevede l'applicazione, per quanto compatibile, della normativa in materia di integrazioni salariali ordinarie. Secondo l'istituto, le indicazioni esplicitate nella Circolare INPS n. 130/2017, implicano che in ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro con contestuale intervento del Fondo di integrazione salariale (FIS), al lavoratore sospeso non spetta l'Assegno al nucleo familiare (A.N.F.), il quale non può ritenersi posto a carico del FIS né della "Gestione prestazioni temporanee" dell'INPS. In considerazione, però, della disparità di trattamento tra lavoratori sospesi percettori di trattamenti di integrazione salariale, l'INPS si riserva un approfondimento al fine di una diversa soluzione della problematica. Fino a nuovi chiarimenti dell'Istituto, i datori di lavoro che ricorrono al Fondo di integrazione salariale, non possono anticipare trattamenti di assegno al nucleo familiare.DC AMMORTIZZAORI SOCIALI

Si conferma che "durante il periodo di sospensione o riduzione delle attività di lavoro con contestuale ricorso alle prestazioni del FIS i lavoratori interessati" non hanno diritto alla "prestazione degli assegni al nucleo familiare", neanche a carico della Gestione prestazioni temporanee. A seguito di ulteriori approfondimenti, si ritiene che la suddetta situazione corrisponda al dettato normativo. Ci si riserva tuttavia di valutare se vi siano spazi interpretativi per una soluzione diversa, da sottoporre eventualmente al MLPS con apposita richiesta di parere.

  Circolare INPS n. 49 del 15.9.2017

  Articolo 31 del d.lgs. n. 150/2015 

Il diritto alla fruizione dell'incentivo c.d. "Bonus sud", di cui al decreto direttoriale n. 2 del 2 gennaio 2018, è subordinato all'applicazione dei principi generali in materia di incentivi all'occupazione stabiliti, da ultimo, dall'articolo 31 del decreto legislativo n. 150/2015. Nella circolare INPS n. 49/2015, con specifico riferimento agli obblighi di assunzione, si evidenziano, a titolo esemplificativo, tra le ipotesi in cui non si ha diritto al riconoscimento dell'incentivo si segnala quella relativa all'assunzione effettuata in attuazione dell'obbligo di assunzione di cui all'art. 24 del decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015. In forza di detto articolo spetta un diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato in favore del dipendente a tempo determinato, il cui rapporto sia cessato negli ultimi dodici mesi e che, nell'esecuzione di uno o più contratti a tempo determinato presso la stessa azienda ha prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi.Ciò premesso, si richiedono chiarimenti in ordine alla possibilità di beneficiare delle predette agevolazioni per l'assunzione a tempo indeterminato di un lavoratore precedentemente assunto con contratto a termine, in mancanza dell'espressa volontà del lavoratore, riportata per iscritto, di usufruire del diritto di precedenza.In tutti i casi in cui il lavoratore non abbia manifestato la volontà di avvalersi del diritto di precedenza, a parere dello scrivente non può dirsi esistere nessun obbligo di preferenza a carico del datore di lavoro nelle future assunzioni a tempo indeterminato. Questo è quanto pure affermato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella risposta ad Interpello n. 7/2016, orientamento peraltro richiamato nella stessa circolare INPS n. 49/2015. Così ragionando, un datore di lavoro dovrebbe poter beneficiare dell'incentivo Bonus sud per l'assunzione con contratto a tempo indeterminato di un lavoratore che, avendo precedentemente intrattenuto con lo stesso datore di lavoro un rapporto di lavoro con contratto a termine, decorsi sei mesi, non abbia manifestato la volontà di usufruire del diritto di precedenza. L'Istituto, in relazione a quanto già esplicitato nella Circolare INPS n. 49/2015, in tema di fruizione dell'incentivo c.d. "Bonus sud" e diritto di precedenza, chiarisce che il datore di lavoro può beneficiare delle agevolazioni per l'assunzione a tempo indeterminato di un lavoratore precedentemente assunto con contratto a termine, solo qualora siano decorsi sei mesi dalla cessazione del rapporto a tempo determinato in mancanza dell'espressa volontà del lavoratore, riportata per iscritto, di usufruire del diritto di precedenza.
  L. n. 205/2017, art. 1, comma 104. Incentivo strutturale giovani Ai sensi del comma 104, l'esonero contributivo spetta ai datori di lavoro che, nei sei mesi precedenti l'assunzione, non abbiano proceduto a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi, ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, nella medesima unità produttiva.Si chiede se il recesso intimato "ad nutum" intimato ad un lavoratore per mancato superamento del periodo di prova, nei sei mesi precedenti l'assunzione per la quale si richiede l'incentivo, integri la fattispecie su citata di "licenziamento per giustificato motivo oggettivo".La risposta dovrebbe essere negativa in quanto si ritiene che in nessun caso il recesso per mancato superamento del periodo di prova possa essere assimilato ad un licenziamento per g.m.o.. La motivazione assorbente a supporto di tale affermazione riposa nella diversità di istituti e disciplina: il periodo di prova disciplinato dall'art. 2096 c.c. ed il licenziamento per g.m.o. disciplinato dalla l. n. 604/1966. L'Istituto, pur concordando prima facie, con la soluzione interpretativa proposta dal CNDCEC, si riserva di confermare che la cessazione per mancato superamento del periodo di prova, non essendo assimilabile alla fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non preclude il godimento dell'esonero contributivo.
Problemi operativi cassetto previdenziale Le notifiche da cassetto a mezzo mail avvengono soltanto in occasione della prima risposta da parte dell'ente. Le risposte successive non accompagnate da ulteriore avviso mail che si ritiene utile per una tempestiva gestione della problematica discussa. L'istituto ribadisce che ogni Comunicazione effettuata nel cassetto Previdenziale da parte dell'istituto genera una mail di avviso all'intermediario che ha in delega la posizione, e prega segnalare ogni difformità.
Infortunio in itinere lavoratore a chiamata Un lavoratore intermittente titolare di due rapporti di lavoro a chiamata con due diversi datori di lavoro riceve nello stesso giorno la chiamata da parte di entrambi i datori di lavoro (una chiamata per la mattina ed una per il pomeriggio). La mattina, recandosi a lavoro rispondendo alla prima chiamata, si infortuna in itinere trasmettendo certificato del pronto soccorso.Si chiede se sia corretto che il secondo datore di lavoro gestisca l'assenza come "malattia" a carico INPS, ovvero se considerare il lavoratore in infortunio o in malattia visto che l'infortunio non è avvenuto durante l'orario di lavoro del secondo datore o per recarsi da quest'ultimo.Può al caso di specie applicarsi per analogia quanto previsto per i casi di doppio contratto parttime?In caso di infortunio di lavoratore con doppio part time, a quesito inoltrato dall'lnail nel 2002 il Ministero del lavoro ha risposto (circolare n. 2/2003) stabilendo che anche gli altri datori di lavoro dell'infortunato devono trasmettere la denuncia infortuni e considerare l'assenza infortunio (compreso la carenza) e non malattia. L'Istituto, dopo un confronto con l'INAIL, conferma che, in analogia con il caso di due rapporti part time, l'assenza dal lavoro deve considerarsi "assenza per infortunio occasionato dallo svolgimento dell'attività lavorativa presso altro datore di lavoro".
Contributo addizionale contratti a termine Ai sensi dell'art. 3 del D.L. 87/2018 il contributo addizionale a carico dei datori di lavoro sui contratti a termine pari all'1,4% è incrementato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo. La circolare del Ministero del lavoro 17 del 31/10/2018 dispone che tale aumento sia crescente e senza tetto, si chiede se per i rinnovi stipulati dal 14/7/2018 dobbiamo tenere conto di tutti i rinnovi effettuati anche prima del 14/7/2018 e sommare la maggiorazione o il contatore dei rinnovi parte da ora. L'Istituto preannuncia sul tema la diffusione di una prossima circolare esplicativa, attualmente al vaglio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.Ciò detto, la posizione espressa dall'INPS durante il tavolo tecnico propende per l'applicazione del meccanismo di incremento dello 0,5% del contributo addizionale in occasione di ciascun rinnovo di contratto a tempo determinato sottoscritto successivamente al 14.7.2018.
VERA Vista l'importanza di poter verificare la correttezza contributiva anche in costanza di DURC si chiede quando sarà operativa tale piattaforma. L'istituto concorda sull'importanza di tale piattaforma, conferma che partirà a breve con la sperimentazione che coinvolgerà anche i Commercialisti ed Esperti Contabili.
  Messaggio INPS n. 2645 del 23 giugno 2017  Si chiede il parere dell'istituto in ordine alla classificazione dei panifici e delle pizzerie artigiane in caso di attività plurime.in proposito si chiede se siano applicabili in via analogica le indicazioni offerte dall'INPS in relazione alla classificazione delle gelaterie e pasticcerie dove si precisa che qualora le distinte attività di produzione e di vendita non abbiano i caratteri dell'autonomia, ovvero l'impresa artigiana non sia in possesso della licenza di pubblico esercizio, deve rimanere accesa o essere assegnata soltanto un'unica posizione contributiva nel settore artigianato. Laddove, però, per l'attività di vendita, l'impresa artigiana sia in possesso anche della licenza di Pubblico esercizio, occorrerà l'apertura di un'ulteriore posizione contributiva.in via eccezionale, e in deroga al principio di carattere generale sopra richiamato, tale ultima distinta classificazione dovrà, comunque essere adottata, anche in assenza del requisito di autonomia gestionale, laddove per l'attività di vendita risulti rilasciata apposita licenza di Pubblico esercizio.Qualora siano confermate le indicazioni offerte dall'INPS nel messaggio n. 2645/2017, qualora nel panificio o nella pizzeria artigiana sia assente il requisito dell'autonomia gestionale, ma sia stata rilascia apposita licenza di Pubblico esercizio, è corretto sostenere che i lavoratori da inquadrare nel settore contributivo dei pubblici esercizi siano solo quelli esclusivamente addetti al servizio e non anche alla vendita? Occorre distinguere il personale addetto alla vendita da quello addetto al servizio ai tavoli? Nel caso ad un lavoratore siano assegnate mansioni promiscue (produzione e vendita/servizio) come occorre procedere? E' corretto valutare soltanto quale sia l'attività prevalente del lavoratore? L'Istituto, con la circolare n.138 del 16 maggio 1995, aveva esposto i nuovi criteri per la classificazione delle aziende che espletano attività di pizzeria a taglio e rosticceria.Queste ultime andavano classificate nel settore commercio-pubblici esercizi, in quanto si trattava di un'attività assimilabile a quella dei ristoranti, tavole calde e similari. Tuttavia, poiché sulla materia dell'inquadramento nel settore commercio (ora terziario) si era formata una giurisprudenza contraria alle tesi dell'Istituto, con la suddetta circolare veniva stabilito che le aziende esercenti attività di pizzeria a taglio e rosticceria da asporto potevano essere classificate nel settore artigianato (in presenza dei requisiti di cui alla  L.443/85), sempreché le stesse non fossero dotate di locali di ristorazione (dove i cibi venivano consumati dai clienti) e provvedessero alla sola vendita dei prodotti direttamente, fatta eccezione per quelle tipologie di bevande (come la birra) o di complementi alimentari (come le patatine fritte confezionate) che normalmente occupavano la vendita dei prodotti di rosticceria e pizzeria. Pertanto, per quanto riguarda le pizzerie a taglio, l'istituto le ha considerate alla stessa stregua dei ristoranti, in quanto esercenti una vera e propria attività di ristorazione, riportandole interamente nell'Artigianato o nel Terziario-commercio.In tale prospettiva, si ritiene che "l’apertura" disposta al punto 2 della circolare 56/2017 in ordine alla classificazione delle gelaterie e pasticcerie e oggetto del successivo messaggio di integrazioni 2645/2017, con la previsione di un possibile inquadramento sia nel settore artigianato, sia nel settore terziario in presenza di determinate condizioni, non possa essere prevista anche per le pizzerie a taglio.Alla luce di quanto sopra, per queste ultime si dovrà continuare a prevedere un solo inquadramento, o nel settore artigianato o nel settore terziario.