Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 settembre 2017, n. 21561

Maxisanzione lavoro nero - Opposizione accolta - Lavoratore extracomunitario non risultante da scritture obbligatorie - Lavoratore sprovvisto di permesso di soggiorno - Rilevanza penale della condotta oggetto di denuncia - Sussiste

 

Fatti di causa

 

Con sentenza depositata il 21.6.2011, la Corte d'appello di Torino dichiarava inammissibile per difetto di specificità l'appello proposto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali avverso la pronuncia di primo grado che aveva accolto l'opposizione proposta da F. S. avverso la sanzione amministrativa irrogatagli ex art. 36-bis, d.l. n. 223/2006 (conv. con I. n. 248/2006), per avere occupato alle proprie dipendenze un lavoratore extracomunitario non risultante dalle scritture obbligatorie.

Ricorre contro tale pronuncia il Ministero, formulando un unico motivo, articolato in più censure in rito e in merito. Resiste con controricorso F. S..

 

Ragioni della decisione

 

Con l'unico motivo di censura, parte ricorrente denuncia violazione dell'art. 342 c.p.c. e vizio di motivazione, nonché violazione dell'art. 36-bis, d.l. n. 223/2006 (conv. con I. n. 248/2006), per avere la Corte di merito ritenuto che l'appello non contenesse alcuna censura specifica della ratio decidendi su cui si era basata la pronuncia di primo grado, che aveva annullato la sanzione irrogata all'odierno controricorrente sul rilievo che imputargli di non aver denunciato l'instaurazione di un rapporto di lavoro con un lavoratore extracomunitario sprovvisto di permesso di soggiorno avrebbe implicato, data la rilevanza penale della condotta oggetto di denuncia, una palese violazione dell'esimente generale secondo cui nemo tenetur se detegere.

Il motivo è inammissibile.

Muovendo dal principio secondo cui l'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l'ammissibilità del motivo di censura, onde la parte ricorrente non è dispensata dall'onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando precisamente nel ricorso per cassazione i fatti processuali alla base dell'errore denunciato, questa Corte ha da tempo chiarito che, ove censuri la statuizione di inammissibilità per difetto di specificità di un motivo di appello, la parte ricorrente ha l'onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all'atto di appello, ma ha l'onere di trascrivere il contenuto del mezzo di impugnazione nella misura necessaria ad evidenziarne la specificità (cosi Cass. n. 12664 del 2012, sulla scorta di Cass. n. 20405 del 2006; per analoghe applicazioni del medesimo principio v. Cass. nn. 19410 del 2015, 11738 del 2016).

Tanto premesso, è agevole rilevare che, a fronte della dettagliata motivazione della Corte territoriale circa la genericità del motivo di gravame, parte ricorrente non ha assolto agli oneri che le competevano, dal momento che non ha riportato nel ricorso il contenuto dell'originario mezzo di impugnazione neanche nella misura necessaria ad evidenziarne la rivendicata specificità.

Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.200,00, di cui € 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.