Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 maggio 2017, n. 12730

Rapporto di lavoro - Demansionamento - Grave sindrome ansioso-depressiva - Prolungata assenza dal lavoro - Licenziamento - Omesso invio di certificazione medica

 

Svolgimento del processo

 

T. I. adiva il Tribunale di Napoli ed esponeva di aver lavorato alle dipendenze della I. I. R. s.r.l. a far tempo dal 16/2/2004 con mansioni di secondo falegname ed inquadramento nel quarto livello c.c.n.I. settore terziario; deduceva di essere stato assegnato dal 2008 al settore manutenzione ambienti e verniciatura, quindi a diversi reparti con progressivo demansionamento che aveva ingenerato una grave sindrome ansioso-depressiva per la quale dal settembre 2009 era stato costretto ad una prolungata assenza. A seguito di previa contestazione, il 27 novembre 2009 era stato, quindi, licenziato per assenza ingiustificata protrattasi dal 26 ottobre al 9 novembre 2009.

Costituitasi, la società resisteva alla domanda instando per la sua reiezione.

Il giudice adito accoglieva il ricorso con pronuncia non definitiva n.12272/2011 che veniva riformata dalla Corte d'Appello di Napoli.

Nel pervenire a tali conclusioni la Corte distrettuale osservava, per quanto in questa sede rileva, che in relazione ai giorni di assenza oggetto di contestazione da parte aziendale, non solo il lavoratore non aveva inviato alla azienda il certificato medico giustificativo, ma non risultava ne avesse mai avuto il possesso.

All'esito degli accertamenti peritali espletati in sede di gravame, era altresì emerso che gli effetti collaterali connessi alla assunzione di farmaci antidepressivi da parte del lavoratore, non erano tali da attutirne gravemente la capacità di raziocinio e di autodeterminazione, di guisa, che l'omesso invio di certificazione medica in relazione al periodo considerato, sia pure intermedio rispetto ad assenze precedenti e successive supportate da idonea dati certificativi, si traduceva in grave vulnus al vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro, considerata anche la specifica prescrizione di cui all'art. 217 c.c.n.I. di settore.

La cassazione di tale decisione è domandata dal lavoratore sulla base di tre motivi cui resiste con controricorso la società intimata.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. degli artt. 191-195-196 c.p.c. ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. nonché omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ovvero omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.

Si critica la sentenza impugnata per il mancato raffronto degli esiti ai quali è pervenuta la consulenza medico legale elaborata dall'ausiliare nominato in grado di appello, con la documentazione medica versata in atti e con la perizia medico-legale depositata in primo grado.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. dell'art. 7 l. 300/70, degli artt. 1362 - 1363 -1364 -1366 - 1367 - 1368 - 1369 c.c., dell'art. 416 c.p.c. ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. nonché omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ovvero omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.

Posto che il ricorrente era stato "continuativamente in condizione di malattia impeditiva della prestazione dal 21 settembre al 25 novembre 2009" e che "in tale lasso temporale aveva regolarmente giustificato l'assenza per malattia, avvertendo in azienda ed inoltrando i certificati medici dal 21 settembre al 25 ottobre e poi dal 10 al 25 novembre", doveva ritenersi che la condotta addebitata dalla parte datoriale non potesse qualificarsi come assenza ingiustificata superiore a cinque giorni sanzionata dalle parti sociali con il licenziamento ai sensi dell'art. 217 c.c.n.I., bensì come assenza giustificata dal perdurante stato di malattia, ed in relazione alla quale vi era stata incolpevole omissione della trasmissione della certificazione medica. Ci si duole, quindi, che la Corte distrettuale abbia sussunto la fattispecie scrutinata nella previsione di cui alla citata disposizione contrattuale collettiva.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell'art. 2106 c.c. ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. nonché omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ovvero omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.

Critica la statuizione della Corte di merito con la quale il mancato inoltro dei giustificativi medici relativi ad una patologia sicuramente esistente è stato qualificato come inadempimento di gravità tale da giustificare l'irrogazione della massima sanzione espulsiva. Stigmatizza tali approdi sul presupposto della incompletezza della operazione ermeneutica, mancando l'ineludibile vaglio di tutti i parametri individuati dalla Corte di legittimità al fine della verifica del requisito di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta addebitata, che investono non solo il profilo oggettivo, ma anche l'elemento soggettivo.

4. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi.

Occorre rimarcare, in via di premessa, che il ricorrente censura promiscuamente l'impugnata sentenza, mediante la denuncia di vizi di violazione di legge e di motivazione, senza specificare nel corpo dei motivi quale doglianza sia riferibile all'una piuttosto che all'altra critica vincolata, nella sostanza contestando l'accertamento operato dai giudici del merito secondo modalità che palesano profili di inammissibilità.

5. Non può peraltro, mancarsi di sottolineare, con riferimento alla nozione di giusta causa del licenziamento disciplinare oggetto di scrutinio in questa sede, che secondo una consolidata ricostruzione giurisprudenziale, per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa (che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario) occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale; dall'altro, la proporzionalità fra i tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare (vedi ex plurimis, Cass. 25/5/2016 n. 10842, Cass. 26/4/2012 n. 6498, Cass. 8/9/2006 n. 19270).

6. Vertendosi in tema di applicazione di una clausola generale, va rimarcato in via ulteriore, che la stessa richiede di essere concretizzata dall'interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni e dèi principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica, mentre l'accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito, che deve essere svolto in base agli specifici elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie concreta, ed è incensurabile in cassazione per vizi di motivazione.

7. Nello specifico la qualificazione giuridica dei fatti contestati ed il giudizio di sussunzione degli stessi nell'ambito della clausola generale della giusta causa, sono stati compiuti dai giudici dell'impugnazione in sintonia con i principi elaborati da questa Corte, così come l'accertamento della ricorrenza e la ricostruzione dei fatti che specificano il parametro normativo, risulta condotta secondo canoni che non rispondono ai requisiti dell'assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l'esercizio del sindacato di legittimità.

I giudici del gravame nel loro iter argomentativo, muovono dal rilievo obiettivo della assenza del ricorrente dal lavoro nei giorni 26 ottobre-9 novembre 2009. Precisano che tale assenza non era stata giustificata alla stregua di idonea certificazione medica, non inviata alla azienda e non risultata nella disponibilità del medesimo lavoratore.

Pur avendo ben presente là tesi difensiva prospettata da quest'ultimo e recepita dal giudice di prima istanza, secondo cui l'inadempimento, agli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro era stata dettata da cause a lui non imputabili, ed ascrivibili allo stato di grave prostrazione in cui versava per l'uso di farmaci antidepressivi, la Corte distrettuale l'ha disattesa sulla scorta di duplice argomentazione: ha fatto innanzitutto richiamo alle indicazioni rese nell'elaborato peritale stilato dall'ausiliare nominato in sede di gravame, secondo cui l'assunzione già da lungo tempo del farmaco (paroxidina) da parte del lavoratore, consentiva di presumere ragionevolmente un buon adattamento del soggetto, il quale non avrebbe risentito degli effetti collaterali del farmaco sì da escludere che nel periodo fosse compos sui; con la precisazione che "l'insorgenza di effetti collaterali quali quelli lamentati dal I. (abulia, perdita del senso della realtà) avrebbero imposto una immediata sospensione del trattamento e la sua sostituzione con altro farmaco. Invece il lavoratore risulta aver seguito con buoni risultati la terapia presso vari UOSM per svariati anni".

8. Sotto altro profilo, la Corte di merito ha colto la contraddizione intrinseca della tesi sostenuta dall'appellato, il quale dapprima aveva assunto di aver dimenticalo di farsi rilasciare la certificazione medica giustificativa, quindi aveva dedotto di essere rimasto comunque in contatto con la segreteria della azienda cui avrebbe riferito il prolungamento della assenza, desumendo da tale ultimo dato fattuale, il riscontro di "una certa padronanza psichica della persona".

In tale prospettiva ha, dunque, conferito consistenza all'elemento soggettivo che qualifica la condotta assunta dal lavoratore, escludendo che il mancato invio della certificazione medica - della cui assoluta oggettiva mancanza, del pari, dà atto - potesse essere riconducibile ad uno stato di smarrimento o di transitoria mancanza di discernimento del lavoratore medesimo.

9. Non è poi mancata una verifica della ricorrenza del requisito di proporzionalità del licenziamento, costitutivo della legittimità dello stesso, che risulta condotta secondo i parametri valutativi enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, denotando scarsa inclinazione all'attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell'addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro (vedi ex aliis, Cass. 13/02/2012 n. 2013).

10. La Corte distrettuale, invero, dopo aver rilevato - per quanto sinora detto - la mancanza assoluta di una certificazione medica idonea a giustificare l'assenza protrattasi per undici giorni, la ricorrenza di una condizione psichica tale da non escludere la capacità naturale del soggetto in detto periodo e la conseguente possibilità di adempiere agli obblighi di comunicazione nei confronti della parte datoriale, connessi al dedotto stato di malattia, ha argomentato che tale comportamento era certamente grave e idoneo a ledere il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro sia tenuto conto della specifica prescrizione dell'art. 217 c.c.n.I. di settore, sia delle evidenti e rilevanti potenziali ripercussioni che la prolungata e non preventivata assenza aveva esercitato sull'assetto organizzativo aziendale, non consentendo una adeguata programmazione delle attività di lavoro.

La statuizione in tema di proporzionalità della sanzione, con riferimento alla specifica violazione dei dettami di cui all'art. 217 c.c.n.I. di settore, non contrasta con gli approdi ai quali è pervenuta questa Corte secondo cui l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza meramehte esemplificativa, sicché non preclude un'autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all'idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (vedi da ultimo, Cass.12/02/2016 n. 2830); come in precedenza accennato, i giudici del gravame hanno infatti proceduto ad una valutazione in senso complessivo del comportamento assunto dal dipendente, vagliandone l'obiettiva portata lesiva del potere organizzativo facente capo alla parte datoriale, non limitandosi alla stretta applicazione della disposizione pattizia.

11. In definitiva la pronuncia impugnata, congrua e completa - oltre che conforme a diritto - per quanto sinora detto, si sottrae alla censura all'esame.

Consegue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della I. I. R. s.r.l. nella misura in dispositivo liquidata.

Infine si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 2.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.