Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 24 novembre 2016, n. 24100

Trattamenti pensionistici - INPS - Controversie - Ricorso in via amministrativa - Decadenza

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell'art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio.

2. La Corte d'Appello di L’Aquila rigettava il gravame svolto dall’attuale ricorrente avverso la decisione di primo grado che aveva dichiarato inammissibile il ricorso per intervenuta decadenza (per essere stata la domanda amministrativa presentata il 3 agosto 2007, il ricorso giudiziale il 29 luglio 2011 ed esclusa valenza all’espressa decisione sul ricorso amministrativo intervenuta il 16 gennaio 2009).

3. Per la cassazione di tale sentenza B.M, ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo con il quale deduce violazione e falsa applicazione del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 nel testo sostituito dal D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4, comma 1, convertito in L. 14 novembre 1992, n. 438.

4. L’INPS ha resistito con controricorso.

5. Il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte.

6. Il d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 nel testo sostituito dal D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4, comma 1, convertito in L. 14 novembre 1992, n. 438, operante ratio ne temporis ed anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 98 del 2011, art. 38 conv. in L. 15 luglio 2011, n. 111, dispone quanto segue: "Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l'azione dinanzi all'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 459 c.p.c. e seguenti. Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza di termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione. Per le controversie in materia di prestazioni della Gestione di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 24, l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date in cui al precedente comma. Dalla data della reiezione della domanda di prestazione decorrono, a favore del ricorrente o dei suoi aventi causa, gli interessi legali sulle somme che risultino agli stessi dovute. L'Istituto nazionale della previdenza sociale è tenuto ad indicare ai richiedenti le prestazioni o ai loro aventi causa, nel comunicare il provvedimento adottato sulla domanda di prestazione, i gravami che possono esser proposti, a quali organi debbono essere presentati ed entro quali termini. E’ tenuto, altresì, a precisare i presupposti ed i termini per l'esperimento dell'azione giudiziaria".

7. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 19992 del 2009, hanno chiarito che la decadenza annuale dall’azione prevista dal disposto sopra riportato si applica anche alle prestazioni erogate dal Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, in quanto questo rientra nella "Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti" di cui alla L. n. 1989 del 1988, art. 24, richiamato nel D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, comma 3.

8. L’Inps sostiene, correttamente, che tale decadenza nel caso si è verificata, essendo ampiamente decorso il termine di un anno e trecento giorni - corrispondente alla durata massima complessiva del procedimento amministrativo risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni previsto per la decisione della domanda dalla L. 11 agosto 1973, n. 533, art. 7 e di centottanta giorni, previsto per la decisione del ricorso amministrativo dalla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 46, commi 5 e 6 - dalla presentazione delle domande amministrative all’Inps.

9. Né l’eventuale decisione tardiva dell’istituto sulla domanda amministrativa e la decisione del ricorso tardivamente proposto potevano costituire circostanze idonee a far slittare la decorrenza della decadenza rispetto alle scadenze legislativamente previste, trattandosi di termini dettati da disposizioni di ordine pubblico, indisponibili dalle parti e sulle quali l’attività delle stesse non può incidere (v., Cass., SU, nn. 12718 e 19992 del 2009).

10. Sempre in ragione del fatto che si tratta di una decadenza di ordine pubblico, con conseguente inderogabilità della relativa disciplina, irrinunciabilità e rilevabilità d’ufficio da parte del giudice, si è pure affermato che non rileva, al fine di far slittare tale dies a quo, la decisione intervenuta sul ricorso amministrativo tardivamente proposto, restando preclusa la possibilità, per le parti, di derogare, attraverso propri atti o comportamenti, alla disciplina legale (v., fra le altre, Cass. Sez. L, sentenza n. 19225 del 21/09/2011, Sez. L, Sentenza n. 7148 del 17/03/2008) e lo stesso principio è stato applicato all’ipotesi di tardivo provvedimento di rigetto nel merito da parte dell’istituto previdenziale (Cass. n. 3592 del 2006, n. 13276 del 2007; v., inoltre, Cass., S.U. 26019/2008, sulla natura di ordine pubblico della decadenza sostanziale dall’azione e sulla rilevabilità, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, e proponibilità, per la prima volta, anche in Cassazione; v., inoltre, Cass. sez.sesta-L n. 23604/2014).

11. Correttamente la Corte territoriale ha applicato il predetto principio, risultando dalla incontroversa situazione fattuale che la decisione sul ricorso è intervenuta in data 16/1/2009 allorché il relativo termine era già compiuto e che la domanda giudiziale è stata proposta in data 29/7/2011, ben oltre tre anni dopo la scadenza del medesimo termine dovendo ribadirsi che la scadenza dei termini complessivamente previsti per la conclusione del procedimento ante causam - trecento giorni dall'istanza originaria - costituisce il dies a quo del termine triennale di decadenza sostanziale per l'esercizio dell'azione giudiziaria, irrilevante essendo l'intervenuto (tardivo rispetto ai suddetti trecento giorni) provvedimento di diniego.

12. In definitiva, il ricordo deve essere rigettato.

13. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, in difetto di idonea documentazione per l’esenzione dal pagamento di spese e compensi professionali, nei giudizi per prestazioni previdenziali, in linea con l’orientamento di questa Corte di legittimità (fra le altre, v. Cass. n. 5363 del 2012) che ritiene la dichiarazione sostitutiva di certificazione delle condizioni reddituali, da inserire nelle conclusioni dell’atto introduttivo ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ., sostituito dall’art. 42, comma 11, del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, inefficace se non sottoscritta dalla parte, posto che a tale dichiarazione la norma annette un’assunzione di responsabilità non delegabile al difensore, stabilendo che "l’interessato" si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito.

14. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del d.P.R. n. 115/2002, art. 13, comma 1-quater nel testo introdotto dalla L. n. 228/2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi).

15. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da rigettarsi integralmente, deve provvedersi in conformità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%. Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1 -bis.