Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 ottobre 2016, n. 20048

Licenziamento per giusta causa - Aggressione collega - Correttezza rapporti lavorativi - Condotta incompatibile con il necessario affidamento datoriale

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 207/2013, depositata l'8 maggio 2013, la Corte di appello di Firenze respingeva il gravame di A. A. e confermava la sentenza del Tribunale di Lucca, che ne aveva rigettato la domanda volta ad accertare la illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla Società Gestione Servizi BP S.c.p.a. a seguito di un episodio, verificatosi il 9/5/2008, di aggressione verbale, poi trascesa a vie di fatto, nei confronti di un collega.

La Corte, richiamate le testimonianze assunte e ricostruito l'episodio, osservava come le risultanze di causa dessero conferma di una serie di offese verbali rivolte dall'appellante al collega L. in un luogo di lavoro e alla presenza di altri colleghi e di una successiva fase di aggressione fisica, consistita nell'avere ostacolato l'uscita dalla stanza del L. ponendo le mani all'altezza e in prossimità del collo dello stesso, pur senza stringerlo. Su tali premesse di fatto la Corte considerava che la gratuità della minaccia fisica, realizzata a conclusione di una serie di offese verbali nelle circostanze di tempo e di luogo accertate, era di evidente gravità e tale da giustificare la misura estrema applicata dal datore di lavoro, trattandosi di condotta incompatibile con il necessario affidamento datoriale nella correttezza dei rapporti che il dipendente deve mantenere nell'ambito lavorativo per garantire un ambiente di lavoro sereno e, quindi, funzionale all'organizzazione di impresa.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza l'A. con unico motivo; la società ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

 

Motivi della decisione

 

1. Con unico motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. e degli artt. 1 e 3 l. 15 luglio 1966, n. 604, in relazione all'art. 360, comma 1°, n. 3 c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, mentre nel caso concreto i fatti, così come accertati dalla Corte di appello, non avrebbero potuto integrare né la fattispecie di cui all'art. 2119 c.c. né quella del giustificato motivo soggettivo, dovendo essere qualificati come inadempimento non "notevole".

2. Il ricorso non può essere accolto.

6. Si tratta di valori ampiamente e da tempo radicati nella società e in quell'insieme di convinzioni, abitudini e atteggiamenti, che ne forma in un dato tempo la coscienza generale, così da giustificare la specificazione che della clausola generale ed elastica risulta compiuta nella concreta vicenda dedotta in giudizio.

7. Peraltro la correttezza dell’operazione sussuntiva così svolta dalla Corte di appello non risulta neppure adeguatamente censurata con il motivo in esame.

7.1. In particolare, a fronte delle considerazioni svolte in sentenza e di cui sub 3.3, non risulta formulata dal ricorrente una censura specifica, essendosi egli limitato ad una riduzione della portata dell’episodio contestato e cioè ad una critica che, da una parte, sembra prescindere dal non più sindacabile accertamento in fatto compiuto dalla Corte di appello (con gli esiti delineati sub 3.2) e, dall'altra, senza misurarsi con il baricentro logico e giuridico della decisione, trascura la pur necessaria deduzione di un disallineamento, rispetto ai modelli comportamentali generalmente riconosciuti e approvati, degli elementi ritenuti, invece, dal giudice di merito idonei a integrare il parametro normativo.

7.2. Deve, pertanto, ribadirsi l'orientamento, per il quale l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, è sindacabile in cassazione, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica, basata su una semplice contrapposizione, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standard, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. n. 5095/2011).

8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.