Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 marzo 2017, n. 8258

Assegno mensile di invalidità - Spese del giudizio - Tariffa professionale

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Salerno accolse la domanda proposta da A.D. e condannò l'Inps a corrispondere alla ricorrente l'assegno mensile di invalidità, revocato in sede di revisione, nonché a rifondere le spese del giudizio, liquidate in € 450,00, di cui € 150,00 per diritti e spese, con distrazione in favore del procuratore anticipatario. La Corte d'appello di Salerno, sull'impugnazione proposta dalla D., riformò la sentenza limitatamente al capo sulle spese e condannò l'Inps al pagamento in favore dell'appellante della somma di € 959,00, di cui € 653,00 per diritti e 200,00 per onorario, oltre € 106,00 per spese generali, distraendole in favore del procuratore. Compensò per intero le spese del giudizio di appello.

2. - La Corte escluse alcune voci dei diritti contenute nella nota specifica (corrispondenza con il cliente, esame documentazione Inps, esame dell'ordinanza dell'udienza 22/9/2008, in quanto di mero rinvio), non riconobbe le vacazioni, le attività successive alla lettura dei dispositivo e altre non suffragate da idonea prova. Quanto agli onorari, espunse la voce relativa alla discussione orale, non provata, e rideterminò l'importo in € 400,00, riducendolo poi del 50% ai sensi dell'art. 4 legge 794/1992 (ndr art. 4 legge 794/1942), per la particolare semplicità della controversia. In ordine alla compensazione delle spese del giudizio di appello ne ritenne l'opportunità in ragione sia dell'oggetto della devoluzione («adeguamento della tassazione di primo grado»), sia della sostanziale non contestazione del gravame da parte dell'Inps e delle valutazioni adottate.

3. Contro la sentenza, la lavoratrice propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, cui resiste con controricorso l'Inps.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo la D. denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 91 cod.proc.civ., della L. 794/92 e succ. mod., delle norme sulla tariffa professionale di cui al d.m. 127/2004, nonché il vizio di motivazione (art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.), in relazione al capo della sentenza con cui sono stati determinati in € 653,00 i diritti relativi al giudizio di primo grado, così riducendo l'originaria richiesta di € 1392,00.

1.1. Il motivo è fondato nei limiti di seguito indicati.

In primo luogo, è da accogliere la censura relativa al diritto del professionista alla voce «corrispondenza con il cliente» prevista dal n. 22 della Tabella B) dei diritti, allegata alla tariffa professionale di cui al d.m. 2004, n. 127, applicabile "ratione temporis", alla luce dei principi ripetutamente affermati da questa Corte, la corrispondenza con il cliente è oggetto di presunzione iuris tantum nei giudizi celebrati con il rito del lavoro, il quale impone la comparizione personale della parte interessata all'udienza di discussione e, quindi, induce a ritenere che sia stato assolto da parte del difensore il dovere di informare il cliente; ne consegue che per la liquidazione della corrispondente voce non è richiesta prova (cfr., Cass., ord., 18/9/2012, n. 15656; ex aliis, Cass. 17/10/2007, n. 21841; Cass. 13/4/2007, n. 8916).

1.2. Deve altresì riconoscersi il diritto all'esame di ogni ordinanza perché la tariffa professionale forense, nel prevedere la relativa competenza (n. 15), la attribuisce «per la partecipazione a ciascuna udienza», senza operare distinzione tra «udienze di trattazione» e «udienze di semplice rinvio», contenuta invece nella tabella A) per gli onorari di avvocato (Cass. 3/09/2013, n. 20147; Cass. 19/1/1994, n. 920).

1.3. Lo stesso è a dirsi per l'esame degli scritti difensivi avversi, perché la voce n. 11 della tariffa, prevedendo che il diritto di procuratore per l’esame degli scritti difensivi e della documentazione della controparte debba essere liquidato in misura fissa, impone, in sede di liquidazione, di prescindere dalla considerazione del numero dei documenti e degli scritti esaminati (cfr. Cass. 13/11/1982, n. 6055).

1.4. Quanto alle attività successive al deposito della sentenza (esame dispositivo e testo integrale della sentenza, richiesta copie sentenza, accesso ufficio e ritiro, ritiro fascicolo), va richiamata da ultimo Cass. 14/11/2016, n. 23151 (ed ivi ulteriori richiami giurisprudenziali) secondo cui tali voci, pur se relative ad attività svolte successivamente alla sentenza di primo grado, sono ad essa necessariamente consequenziali e, quindi, devono essere liquidate dal giudice di prime cure o, in mancanza, da quello d'appello. Invero, la condanna al pagamento delle spese processuali comprende anche le spese conseguenti alla sentenza, la quale, pertanto, costituisce titolo esecutivo non soltanto per le somme liquidate, ma anche per le spese successive e necessarie per la realizzazione della volontà in essa espressa (cfr. Cass. 12/2/2014, n. 3259; Cass. 3/9/2013, n. 20188). Tali spese devono tuttavia essere riconosciute nei limiti delle attività necessariamente conseguenti al deposito della sentenza, tra le quali non rientra la notificazione, in difetto di documentazione, riportata nel ricorso per cassazione in ossequio al principio di autosufficienza, volta a dimostrare l'avvenuta esecuzione di tali attività e non potendosi la stessa presumere dalla impugnazione proposta.

1.5. La Corte ha poi del tutto omesso di motivare le ragioni per le quali, pur riconoscendo gli onorari per la partecipazione alle udienze, ha ritenuto di escludere le vacazioni richieste, le quali invece spettano in ragione della partecipazione dell'avvocato all'udienza o di altra attività difensiva documentata dal verbale.

1.6. In definitiva, agli importi come già riconosciuti dal giudice d'appello devono aggiungersi quelli relativi alle voci suindicate (corrispondenza informativa, esame ordinanza dell'udienza del 22/9/2008, esame documentazione Inps, cinque vacazioni, oltre alle spese relative all'esame del dispositivo e della sentenza, alla richiesta di copie e al loro ritiro nonché al ritiro del fascicolo di parte), per un totale complessivo di € 983,00, in luogo della somma di € 1392,00, richiesta.

Deve infatti ritenersi non adeguatamente censurata l'affermazione della corte territoriale secondo cui alcune delle voci indicate nella nota specifica trascritta nel ricorso in appello non sono suffragate da idonea prova, avendo la parte omesso di indicare specificamente tutte le attività compiute e i documenti volti a dimostrarle, con la specifica deduzione del tempo e delle modalità con cui tanto le allegazioni quanto la relativa documentazione sarebbero state offerte al giudice dell'appello, sì da rendere specifico e autosufficiente il dedotto vizio motivazionale.

2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione delle stesse norme indicate nel primo motivo, con specifico riferimento agli onorari, e del principio dell'inderogabilità dei minimi dell'onorario (in relazione all'art. 360 n. 3, cod.proc.civ.). Lamenta inoltre il vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5).

Anche questo motivo è fondato. Considerato che la Corte ha ritenuto corretto lo scaglione tariffario utilizzato ai fini della liquidazione delle spese (pag. 5 della I sentenza senza che sul punto vi siano state contestazioni ex adverso) e che la richiesta degli onorari di avvocato è formulata in relazione ai minimi previsti dalla tariffa forense (art. 5 del DM 2004), la loro riduzione senza alcuna motivazione a riguardo - se non con esclusivo riferimento agli onorari richiesti per la discussione, non riconosciuti perché non provata la relativa attività - si pone in contrasto con il principio della inderogabilità dei minimi edittali sancita dalla L. 13 giugno 1942, art. 24 (in tal senso, Cass., ord. 11/4/2014, n. 8517; Cass., 26/2/2014, n. 4590).

Per contro, conteggiando le voci di onorario nei valori minimi, come richiesti dalla parte (studio della controversia, la consultazione con ricerca dei documenti, ha - redazione del ricorso, e assistenza cinque udienze), e dovendosi comunque mantenere ferma, come richiesto dalla stessa ricorrente, la esclusione dell'onorario relativo alla discussione, l'importo complessivo ammonta € 780.

3. Con il terzo motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione dell'art. 4 della L. n. 794 del 1942, in combinato disposto con l'art. 60 del R.D.L. n. 1578/1933, e dell'art. 91 cod.proc.civ., nonché per carenza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Assume che la decisione della Corte territoriale di ridurre della metà il minimo dell'onorario dell'avvocato in applicazione dell'art. 4 citato è «assolutamente apodittica», in palese violazione della norma citata.

Questo motivo è infondato. Questa Corte ha ripetutamente affermato che l'applicazione della disposizione di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 4, che prevede la riduzione dei minimi tariffari per le controversie di «particolare semplicità», disponendo che la riduzione degli onorari non possa superare il limite della metà, integra la previsione contenuta nel R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, comma 5. Quest'ultima norma esplicita che di tale riduzione il giudice dia «espressa e adeguata motivazione», non limitata, pertanto, ad una pedissequa enunciazione del criterio legale (Cass., 4 agosto 2009, n. 17920; Cass., 20 gennaio 2010, n. 949; Cass., 21 novembre 2008, n. 27796; Cass. 7 settembre 2007 n. 18829).

Nel caso in esame la Corte ha dato conto, sia pure con motivazione succinta, delle ragioni che l'hanno indotta a liquidare l'importo degli onorari attraverso il riferimento alla «natura della controversia» e alle «questioni dibattute». Dalla complesso motivazionale è ragionevole evincere che con tali locuzioni la Corte abbia inteso sintetizzare una valutazione più complessiva in cui si sia tenuto conto del peculiare andamento del processo, particolarmente semplice, e della natura delle questioni, che non hanno richiesto uno studio approfondito o la soluzione di tematiche giuridiche complesse. Si tratta di un apprezzamento discrezionale e n. adeguatamente motivato, senza che possano ravvisarsi le prospettate violazione di legge. Segue da ciò la correttezza della dimidiazione degli onorari che pertanto vanno riconosciuti alla ricorrente nell'importo di € 390,00.

4. Con il quarto motivo (erroneamente indicato con il n. 3), la parte denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod.proc.civ., nonché il vizio di motivazione sulle ragioni della compensazione delle spese del giudizio di appello.

Esso è infondato.

4.1. Deve premettersi che il giudizio è stato introdotto con ricorso depositato in data 7/7/2007, sicché trova applicazione l'art. 92, secondo comma, c.p.c., nel testo, applicabile ratione temporis, come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. a), L. 28 dicembre 2005, n. 263, e prima della riforma introdotta dalla L. n. 69 del 2009.

La norma così disponeva: «se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti». Detta norma è stata interpretata da questa Corte nel senso che la motivazione sulle spese è censurabile in sede di legittimità soltanto se sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (v. per tutte, Cass. 12 gennaio 2012, n. 316; Cass., 2 dicembre 2010, n. 24531).

4.2. In particolare, per quanto attiene ai casi che possono giustificare la compensazione, è stato ritenuto, a titolo meramente esemplificativo, che l'obbligo motivazionale è assolto nel caso in cui il giudice di merito dia atto delle oggettive difficoltà dell'accertamento in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l'interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali (Cass. S.U. 30 luglio 2008, n. 20598 e successive conformi).

L'individuazione, nello specifico caso, dell'uno piuttosto che dell'altro giusto motivo di compensazione è attività che compete al giudice di merito e che, se congruamente e logicamente motivata, si sottrae al sindacato di legittimità.

4.3. Nella specie, la motivazione della Corte salernitana, quantunque concisa, non risulta incongrua avendo fatto esplicito riferimento all'oggetto della controversia e alle questioni dibattute, limitate esclusivamente alla determinazione delle somme spettanti a titolo di diritti e di onorari, nonché alla condotta processuale dell'Inps che non si è sostanzialmente opposta ad una rideterminazione delle stesse. Il potere discrezionale del Giudice nel ravvisare elementi per la compensazione delle spese dei gradi di giudizio risulta, pertanto, adeguatamente e logicamente motivato e si sottrae così alle censure svolte dalla ricorrente.

5. In definitiva, devono essere accolti i primi due motivi del ricorso, nei limiti suindicati, mentre vanno rigettati gli altri due motivi. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con la liquidazione delle spese relative al giudizio di primo grado in complessivi € 1373,00, di cui € 390,00 per onorario, oltre al 15% di spese generali e altri accessori di legge, disponendosene l'attribuzione al procuratore anticipatario, avvocato F.A..

Va invece confermata la statuizione del giudice d'appello in ordine alla compensazione delle spese per quel grado.

Quanto alle spese del presente giudizio, il parziale accoglimento del gravame ne giustifica la compensazione nella misura della metà, mentre la restante metà va posta a carico dell'Inps secondo il criterio della soccombenza. Esse, in considerazione del valore della controversia come accertato in questa sede, della natura delle questioni trattate e della mancata partecipazione della parte all'udienza di discussione, vanno liquidate nel minimo e per l'intero in € 707,50 per compensi professionali, oltre a € 100 per esborsi, al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli altri accessori di legge. Delle stesse va disposta la distrazione in favore del difensore della ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Accoglie i primi due motivi del ricorso nei sensi di cui motivazione, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, condanna l'Inps al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di primo grado, liquidate in complessivi € 1.373,00, di cui 983,00 per diritti e 390,00 per onorario, oltre al 15% di spese generali e agli altri accessori di legge, con attribuzione al procuratore anticipatario, avvocato F.A., nonché della metà delle spese del presente giudizio, liquidate per l'intero in complessivi € 707,50 per compensi professionali, oltre a € 100 per esborsi, al 15% di rimborso per spese generali e agli altri accessori di legge, disponendone la distrazione in favore dell'avvocato A.. Compensa la restante metà delle spese.