Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 settembre 2019, n. 22853

Retribuzione - Ferie, permessi, ex festività e tredicesima - Importi dovuti in forza del rapporto di lavoro svolto

 

Ritenuto in fatto

 

Che la Corte d'appello di L'Aquila, in riforma della sentenza parziale di primo grado, riduceva l'importo riconosciuto come dovuto a S.C. per retribuzione del mese di ottobre 2008 ed altri emolumenti (ferie, permessi, ex festività e tredicesima) maturati in forza del rapporto di lavoro svolto dalla stessa alle dipendenze di R. T., titolare della omonima Officina Meccanica;

che la Corte territoriale teneva conto, ai fini della decisione, dell'assegno per l'importo di € 4.226,48, emesso dal R. il 12/11/2008 e incassato dalla lavoratrice il 17/11/2008, documento la cui produzione era stata ammessa dalla Corte in grado d'appello;

che avverso la sentenza propone ricorso per cassazione S.C. sulla base di tre motivi;

che Officina Meccanica di R. T. ha resistito con controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata;

che la ricorrente avanzava istanza di riunione del procedimento ad altro avente ad oggetto l'impugnativa della sentenza definitiva (rectius parziale, poiché concernente il t.f.r., emolumento non costituente oggetto della decisione in questa sede scrutinata);

Che, preliminarmente, va rilevata la non ricorrenza dei presupposti per la riunione dei procedimenti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., per essere le impugnazioni dirette nei confronti di distinte sentenze;

che con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte d'appello omesso di acquisire il fascicolo d'ufficio del primo grado di giudizio, del quale si sarebbe dovuto disporre l'acquisizione, in violazione dell'art. 347 comma 3 cod. proc. civ.;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ammesso una prova documentale nuova nel giudizio d'appello, pur se l'appellante avrebbe dovuto produrre la detta prova nel giudizio di primo grado, con violazione dell'art. 345 c. 3 cod. proc. civ., norma che, nella formulazione precedente alla riforma del 2012, consentiva la produzione in appello di nuove prove ove ritenute indispensabili ai fini della decisione, e che, a seguito della nuova formulazione, vede esclusa ogni discrezionalità del giudicante, talché l'ammissione resta consentita solo se la parte provi l'impossibilità della produzione in primo grado per causa alla stessa non imputabile;

che con il terzo motivo deduce violazione dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte omesso di verificare se la somma portata dall'assegno prodotto in giudizio, della quale si chiedeva lo scorporo in quanto pagata a titolo di ferie festività e permessi, fosse già stata decurtata in primo grado;

che il primo motivo di ricorso è inammissibile in base al principio in forza del quale <L’acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado, ai sensi dell'art. 347 cod. proc. civ., è affidata all'apprezzamento discrezionale del giudice dell'impugnazione, sicché l'omessa acquisizione, cui non consegue un vizio del procedimento di secondo grado né della relativa sentenza, può essere dedotta come motivo di ricorso per cassazione solo ove si adduca che il giudice di appello avrebbe potuto o dovuto trarre dal fascicolo stesso elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, non rilevabili "aliunde" e specificamente indicati dalla parte interessata (Cass. n. 688 del 19/01/2010): parte ricorrente, infatti, non specifica quali documenti, prove, atti processuali contenuti nel fascicolo di ufficio di primo grado avrebbero potuto determinare a una decisione diversa da quella contenuta nell'atto di appello;

che anche il secondo motivo è infondato, poiché l'acquisizione di nuova documentazione in appello resta assoggettata alla discrezionalità del giudice nel rito del lavoro, a mente del tenore dell'art. 437 secondo comma cod. proc. civ. (in relazione alla ritenuta, e motivata, indispensabilità ai fini della decisione, sulla base della valutazione della potenziale idoneità dimostrativa in rapporto al "thema probandum"), trattandosi di norma finalizzata - allo stesso modo dell'art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo previgente alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 - a porre rimedio a situazioni di incerta ricostruzione fattuale (Cass. Sez. U. n. 10790 del 04/05/2017, Cass. n. 11994 del 16/05/2018, Cass. n. 7883 del 20/03/2019);

che il terzo motivo è inammissibile già per la formulazione generica della censura, poiché la Straccali avrebbe dovuto specificamente indicare quali fatti decisivi il giudice di merito avrebbe omesso di valutare e, specificamente, avrebbe dovuto riportare gli elementi presenti in atti dai quali desumere che il pagamento della somma di euro 4.226,48 fosse da imputare a ragioni di credito diverse da quelle considerate dal giudice d'appello;

che in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato con liquidazione delle spese secondo soccombenza;

che non compete anche l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, stante l'ammissione della parte al gratuito patrocinio;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 1.500,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge.