Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 gennaio 2017, n. 1706

Risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro - Agenzia delle Entrate - Soppressione posizioni dirigenziali - Ricambio generazionale - Motivazione stereotipata - Mera indicazione di criteri - Preavviso - Risarcimento dei danni

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha respinto integralmente il ricorso proposto nei confronti della Agenzia delle Entrate da M. A., la quale aveva domandato, in via principale, ex art. 2932 c. c. "sentenza costitutiva degli effetti del contratto risolutivo del rapporto di lavoro non concluso in conseguenza del comportamento inadempiente dell'Agenzia delle Entrate" ed in subordine l'accertamento della "nullità, inefficacia e/o illegittimità del preavviso di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro del 2 dicembre 2008" e la conseguente condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni, quantificati in misura pari alle retribuzioni maturare dal 3 giugno 2009 sino alla data di effettiva riammissione in servizio.

2. Il Tribunale aveva accolto la sola domanda subordinata perché l'Agenzia, nell'avvalersi della facoltà concessa dall'art. 72, comma 11, del d.l. n. 112/2008, aveva fatto ricorso ad una motivazione stereotipata e non aveva dimostrato di avere correttamente esercitato il proprio potere discrezionale, non avendo chiarito quali fossero i modelli organizzativi dei quali occorreva assicurare la piena evoluzione e le tecnologie che rendevano necessario ed opportuno il ricambio generazionale.

3. La Corte territoriale, riuniti gli appelli proposti da entrambe le parti, ha confermato la pronuncia di prime cure, quanto alla mancata conclusione dell'accordo sulla risoluzione consensuale del rapporto, del quale la A. aveva domandato, anche in grado di appello, l'esecuzione in forma specifica. Ha, invece, ritenuto fondato il gravame della Agenzia delle Entrate rilevando che:

a) il legislatore con l'art. 16 del d.l. 98/2011 aveva escluso la necessità della motivazione nei casi in cui l'amministrazione avesse preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi;

b) detta norma doveva essere ritenuta di interpretazione autentica, perché destinata ad integrarsi con l'art. 72 del d.l. 112/2008, chiarendone la portata quanto aN'obbligo motivazionale;

c) la Agenzia delle Entrate con la delibera del 31 ottobre 2008 aveva stabilito i criteri per la applicazione del richiamato art. 72, precisando che sarebbero state soppresse 203 posizioni dirigenziali di seconda fascia e che, al fine di garantire il ricambio generazionale, reso necessario dalla evoluzione dei modelli organizzativi e dall'affermarsi di nuove tecnologie, sarebbero stati risolti tutti i rapporti con i dirigenti in possesso del requisito contributivo;

d) con la successiva delibera del 27 novembre 2008 aveva varato, ai sensi dell'art. 74 del d.l. n. 112/2008, un piano di riorganizzazione dei suoi uffici, per raggiungere l'obiettivo della riduzione della pianta organica;

e) l'Agenzia non aveva alcun obbligo di motivare il recesso né di prendere in esame la situazione concreta del singolo ufficio, dovendo solo stabilire preventivamente le modalità di attuazione del potere di recesso, ampiamente giustificato dalla decisione di ridurre di 203 unità il personale con qualifica dirigenziale.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M. A. sulla base di due motivi. L'Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1.1 Con il primo motivo la ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione degli artt.3, 51 e 97 Cost.; violazione e falsa applicazione degli artt. 72 e 74 del d. l. 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazione dalla legge 6 agosto 2008 n. 133, e successive integrazioni; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio; error in judicando". Sostiene, in sintesi, che la Corte di Appello ha errato nel ritenere sufficiente, ai fini della legittimità del recesso, la previa adozione dell'atto organizzativo generale, con il quale era stata decisa la riduzione della dotazione organica dirigenziale di 203 unità. Il giudice di appello, infatti, avrebbe dovuto considerare che la ragione enunciata non giustificava la risoluzione dei rapporti, perché erano vacanti ben 767 posizioni dirigenziali, che la Agenzia aveva deciso di ricoprire facendo illegittimamente ricorso alle reggenze e non mediante la indizione di nuovi concorsi, che soli avrebbero consentito il dichiarato ricambio generazionale. La A. invoca la sentenza n. 37 del 17 marzo 2015 della Corte Costituzionale e rileva che in realtà il recesso doveva ritenersi del tutto svincolato dalla ragione dichiarata.

1.2 Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione delle norme richiamate al punto che precede oltre che dell'art. 16, comma 11, del d.l. 6 luglio 2011 n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011 n. 111. Sostiene che la risoluzione unilaterale del rapporto, deve essere orientata al perseguimento dell'interesse pubblico, nel rispetto dei criteri di efficienza, economicità, imparzialità e trasparenza, per cui la motivazione, anche attraverso il richiamo degli atti organizzativi presupposti, non può risolversi nella mera indicazione di criteri generali, dovendo anche la amministrazione dimostrare in giudizio la reale sussistenza delle ragioni organizzative dichiarate, ragioni non sussistenti nella fattispecie per quanto dedotto nel primo motivo di ricorso.

2. Il ricorso è fondato nella parte in cui censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che, in presenza di un previo atto organizzativo, la risoluzione del rapporto non richiedesse alcuna motivazione.

La facoltà della Pubblica Amministrazione di recedere unilateralmente al raggiungimento da parte del dipendente della massima anzianità contributiva è stata prevista dall'art. 72, comma 11, primo e secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, poi convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 112, che, nel testo originario prevedeva: "Nel caso di compimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi. Con appositi decreti" (...) "sono definiti gli specifici criteri e le modalità applicative dei principi della disposizione di cui al presente comma relativamente al personale dei comparti sicurezza e difesa (n.d.r., a cui, in sede di conversione, si aggiungeva quello "affari esteri"), tenendo conto delle rispettive peculiarietà ordinamentali".

L' art. 72, comma 11, veniva successivamente novellato dall'art. 6, comma 3, della legge 4 marzo 2009, n. 15, che ne modificava il testo, sostituendo il requisito del compimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni, con il requisito del "compimento dell'anzianità massima di servizio di 40 anni".

Entrambe le formulazioni della norma, succedutesi in breve arco temporale, si limitavano a richiedere il requisito, in un caso della massima anzianità contributiva, nell'altro della massima anzianità di servizio, senza imporre ulteriori condizioni, quanto alla formazione della volontà negoziale dell'Amministrazione, e senza richiedere in modo espresso il rispetto dell'obbligo motivazionale. La determinazione di specifiche modalità applicative era, infatti, espressamente prevista solo per il personale dei comparti sicurezza, difesa ed affari esteri, in ragione delle peculiarietà dei rispettivi ordinamenti.

Successivamente, l'art. 17, comma 35-novies, del d.l. 1 luglio 2009 n. 78 convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, applicabile alla fattispecie ratione temporis, sostituiva il comma 11 dell'art. 72. Si faceva riferimento (anni 2009, 2010, 2011) al requisito della massima anzianità contributiva; si confermava il preavviso; si precisava la unilateralità del recesso collegandolo all'esercizio del potere di organizzazione esercitato ai sensi dell'art. 5, comma 2, del T.U., con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro; si prevedeva l'applicabilità della disciplina anche per il personale dirigenziale. L'adozione di specifici criteri e modalità applicative continuava ad essere prevista solo per i comparti sicurezza, difesa e affari esteri.

Il comma 35 decies stabiliva, inoltre, che "Restano ferme tutte le cessazioni dal servizio per effetto della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro a causa del compimento dell'anzianità massima contributiva di quaranta anni, decise dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, in applicazione dell'articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della legge 4 marzo 2009, n. 15, nonchè i preavvisi che le amministrazioni hanno disposto prima della medesima data in ragione del compimento dell'anzianità massima contributiva di quaranta anni e le conseguenti cessazioni dal servizio che ne derivano".

Le condizioni richieste per il recesso sono rimaste immutate anche nelle successive novelle, fino all'intervento dell'art. 1, comma 5, del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, in ragione del quale il vigente art. 72, comma 11, primo periodo, prevede che "Con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l'accesso al pensionamento" (...) "risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un'età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale" (...).

La ricostruzione della disciplina va completata con il richiamo all'art. 16, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.111, che, ha stabilito: "In tema di risoluzione del rapporto di lavoro l'esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista dal comma 11 dell'articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l'amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri di applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi dì controllo".

 

3. Le disposizioni sopra citate sono già state interpretate da questa Corte con la sentenza n. 21626 del 23.10.2015, che ha affermato il carattere innovativo e non interpretativo dell'art. 16 del d.l. n. 98/2011, e con la sentenza n. 11595 del 6 giugno 2016 con la quale, ribadito il principio, si è precisato che " se è chiaro che il requisito della adozione dell'atto generale organizzativo (sostitutivo dell'ulteriore motivazione) è frutto di scelta innovativa (come detto dalla citata pronunzia del 2015), altrettanto chiaro e condiviso è che l'obbligo motivazionale - solo de futuro sostituito dall'atto generale - sussisteva già a regolare l'originaria risoluzione di cui all'art. 72 comma 11 del d.l. del 2008".

A dette conclusioni la Corte è pervenuta dopo avere sottolineato la necessità di interpretare la normativa che qui viene in rilievo, non solo alla luce dei principi costituzionali consacrati nell'art. 97 Cost., ma anche e soprattutto della direttiva 2000/78 CE, perché il compimento della massima anzianità contributiva necessariamente si correla all'età del lavoratore, con la conseguenza di rendere applicabile la richiamata direttiva nella parte in cui prevede che disparità di trattamento in ragione dell'età non costituiscono discriminazione solo qualora "siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell'ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari".

E' stato, quindi, affermato che "La facoltà attribuita dall'art. 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, alle Pubbliche amministrazioni di poter risolvere il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi, nei caso di compimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, deve essere esercitata, anche in difetto di adozione di un formale atto organizzativo, avendo riguardo alle complessive esigenze dell'Amministrazione, considerandone la struttura e la dimensione, in ragione dei principi di buona fede e correttezza, imparzialità e buon andamento, che caratterizzano anche gli atti di natura negoziale posti in essere nell'ambito del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato. L'esercizio della facoltà richiede, quindi, idonea motivazione, poiché in tal modo è salvaguardato il controllo di legalità sulla appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata, rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguite nell'ambito di politiche del lavoro. Tale motivazione, si aggiunge, si rende ancor più necessaria in mancanza di un atto generale di organizzazione perché costituisce il solo strumento di conoscenza e verifica delle ragioni organizzative che inducono l'Amministrazione ad adottare atti di risoluzione contrattuale. In mancanza, la risoluzione unilaterale dei rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato viola le norme imperative che richiedono la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa (art. 5, comma 2, d.Lgs. n. 165 del 2001), l'applicazione dei criteri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 cc), e i principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., nonché l'art. 6, comma 1, della direttiva 78/2000/CE.".

4. La decisione impugnata, nella parte in cui afferma la non necessità della motivazione e per questo prescinde da qualunque esame del contenuto dell'atto di recesso, non è conforme a detti principi di diritto, ribaditi da Cass. 14.9.2016 n. 18099 e da Cass. 23.9.2016 n. 18723, ai quali il Collegio intende dare continuità, sicché si impone l'accoglimento in parte qua del ricorso.

In considerazione del carattere preliminare dell'accertamento omesso, restano assorbite tutte le ulteriori censure relative all'asserita mancanza del nesso causale fra provvedimento organizzativo generale ed atto di recesso ed alla sussistenza in concreto delle esigenze valorizzate nel predetto atto organizzativo. La sentenza va pertanto cassata con rinvio alla Corte di Appello indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame attenendosi al principio di diritto enunciato al punto 3 e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.