Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 agosto 2017, n. 19283

Segretari comunali - Transitato alle dipendenze INAIL - Procedura di mobilità - Ruolo unico della dirigenza - Differenze retributive

Esposizione del fatto

 

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 26 giugno 2013), respinge l'appello proposto dall'INAIL avverso la sentenza n. 85/2011 del Tribunale di Trieste, di accoglimento della domanda di R. C. - ex segretaria comunale capo, transitata alle dipendenze dell'INAIL, con decorrenza 14 settembre 1998, per effetto della procedura di mobilità prevista dall'art. 18 del d.P.R. 4 dicembre 1997, n. 465 - diretta ad ottenere l'inquadramento nel ruolo unico della dirigenza, a partire dall'1 gennaio 2005, in applicazione della legge n. 311 del 2004, con le conseguenti differenze retributive.

La Corte d'appello di Trieste, per quel che qui interessa, precisa che:

a) come affermato dal primo giudice il diritto della C. all'inquadramento nel ruolo dirigenziale deriva dalla piena applicabilità del comma 49 dell'art. 1 della legge n. 311 del 2004 e non dalle previsioni del CCNL per i segretari comunali, non applicabili a chi era già transitato presso una diversa Amministrazione;

b) quanto al comma 49, dal suo testo si desume che esso riguarda anche coloro per i quali alla data di entrata in vigore della norma il trasferimento presso altra Amministrazione si era già verificato;

c) del tutto irrilevante è la norma interpretativa contenuta nell'art. 16, comma 4, della legge n. 246 del 2005, in quanto essa riguarda soltanto i destinatari del comma 48 della legge n. 311 del 2004;

d) infine, come ha precisato il primo giudice, l'INAIL non ha contestato di essere stato indotto ad accogliere personale in mobilità cui è stata attribuita la qualifica dirigenziale, per carenze di organico negli anni dal 2005 al 2009 e quindi senza alcun superamento del limite del contingente di cui al comma 96 della legge n. 311 del 2004.

2. L'INAIL, con due identici ricorsi, domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, R. C..

3. La causa, la cui discussione è stata originariamente fissata per l'udienza del 13 settembre 2016, è stata in quella sede rinviata a nuovo ruolo, in attesa del completamento del complesso processo di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche, di cui alla legge di delega 7 agosto 2015, n. 124, cui ha fatto espresso riferimento la sentenza delle Sezioni Unite 19 gennaio 2016, n. 784 e che, all'epoca, sembrava imminente.

4. All'udienza del 5 aprile 2017 la causa è stata ancora una volta rinviata a un nuovo ruolo, non essendo ancora intervenuto il suindicato completamento del complesso processo di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche.

5. Il 24 maggio 2017, il Collegio riconvocato nella medesima composizione, in assenza delle attese novità normative, nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo ha deciso la causa, come appresso indicato.

6. L'INAIL ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. in prossimità dell'udienza del 13 settembre 2016 e R. C. ha, a sua volta, depositato memoria in prossimità dell'udienza del 5 aprile 2017, chiedendo, fra l'altro, un ulteriore rinvio a nuovo ruolo "a data successiva all'emanazione del decreto legislativo", di attuazione della delega in materia di dirigenza pubblica di cui all'art. 11, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. riforma Madia), di cui la Corte costituzionale, con sentenza 25 novembre 2016, n. 251, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale.

 

Ragioni della decisione

 

I - Profili preliminari

1. - L'INAIL ha proposto due distinti e identici ricorsi, che risultano notificati il 19 dicembre 2013, l'uno depositato 8 gennaio 2014 e l'altro depositato il 14 gennaio 2014.

Al riguardo si ricorda che, in base al consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, il ricorso per cassazione deve essere proposto a pena di inammissibilità con unico atto avente i requisiti di forma e contenuto indicati dalla pertinente normativa di rito, sicché è inammissibile un nuovo atto successivamente notificato, anche se a modifica od integrazione dell'originario ricorso, sia che concerna l'indicazione dei motivi, ostandovi il principio della consumazione dell'impugnazione, sia che tenda a colmare la mancanza di taluno degli elementi prescritti, quali l'esposizione dei fatti di causa o la sintesi della questione di motivazione relativamente al fatto controverso, essendo solo possibile - ove non siano decorsi i termini - la proposizione di un nuovo ricorso in sostituzione del primo, ma non anche ad integrazione, né a correzione di un ricorso viziato che non sia ancora stato dichiarato inammissibile, (vedi, fra le tante: Cass. 31 maggio 2010, n. 13257; Cass. 14 novembre 2013, n. 25609; Cass. 17 ottobre 2014, n. 22014).

Ne deriva che, nella specie, il secondo ricorso è da considerare inammissibile in quanto la sua proposizione e il suo deposito appaiono del tutto ingiustificati, sicché la proposizione del primo ricorso ha comportato la consumazione del potere d'impugnazione.

II - Sintesi del ricorso

2. Il ricorso è articolato in due motivi, con i quali si denunciano, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di numerose disposizioni di legge, a partire dall'art. 1, commi 46, 48, 49, 95 e 96 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 nonché dagli artt. 19, 23 e 28 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

In particolare si sostiene che la Corte d'appello avrebbe dovuto procedere ad una interpretazione sistematica dei richiamati commi dell'art. 1 ella legge n. 311 del 2004, cosa che non ha fatto giungendo così a:

a) sostenere - senza idonea giustificazione - che il comma 49 dell'art. 1 della legge n. 311 del 2004 avrebbe inteso disporre l'inquadramento nel ruolo unico per tutti i segretari comunali già definitivamente transitati presso altre Amministrazioni al momento dell'entrata in vigore della legge stessa, quale era la C. transitata nei ruoli dell'INAIL con la IX qualifica funzionale a decorrere dal 14 settembre 1998; mentre la norma si riferisce inequivocabilmente soltanto ai segretari comunali che si trovavano a prestare temporaneamente servizio presso altra Amministrazione, come è confermato dai contingenti stabiliti dai successivi commi 95 e 96 della stessa legge (primo motivo):

b) affermare l'inifluenza della norma interpretativa di cui all'art. 16, comma 4, della legge n. 246 del 2005, perché riguardante solo i destinatari del comma 48 dell'art. 1 cit.; mentre i commi 48 e 49 vanno letti insieme richiedendo entrambi il consenso dell'interessato per perfezionare il passaggio ad altra Amministrazione (secondo motivo);

c) violare la disciplina in materia di accesso alla dirigenza per concorso (artt. 19, 23 e 28 del d.lgs. n. 165 del 2001) affermando che la normativa in argomento ha previsto per tutti i segretari comunali e gli ex segretari comunali indistintamente il diritto ad essere inquadrati come dirigenti nell'Amministrazione di destinazione (secondo motivo).

IlI - Esame delle censure

3. In primo luogo va affermata l'infondatezza delle eccezioni di inammissibilità dei due motivi di ricorso, prospettata dalla difesa della controricorrente in relazione alle asserite scarsa chiarezza, incoerenza e inadeguatezza delle argomentazioni poste a base delle censure dell'Istituto ricorrente.

3.1. Va, infatti, osservato che, come si è indicato sopra (sub 2) la formulazione dei motivi consente una facile e piana individuazione delle questioni prospettate nonché delle critiche mosse al procedimento logico seguito dalla Corte territoriale, desunto dalla prospettata violazione delle norme impugnate, con adeguati riscontri ai brani della motivazione interessati dalle contestazioni.

3.2. Al riguardo va ricordato il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, previsto dall'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., deve essere dedotto, a pena d'inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell'art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con l'indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza dì legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della soia preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell'ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (vedi, per tutte: Cass. 29 novembre 2016, n. 24298; Cass. 8 marzo 2007, n. 5353).

Nella specie, come si è detto, tale ultima evenienza non si verifica, diversamente da quel che sostiene la controricorrente.

3.3 Peraltro, deve essere ribadito che, in linea generale, specialmente nel rito del lavoro, nel quale la necessità di assicurare un'effettiva tutela del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., nell'ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all'art. 111, secondo comma, Cost. e in coerenza con l'art. 6 CEDU, comporta l'attribuzione di una maggiore rilevanza allo scopo del processo - costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito - in primo luogo ci si deve discostare da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte o che, comunque, risultino ispirate ad un eccessivo formalismo, tale da ostacolare il raggiungimento del suddetto scopo (vedi, per tutte: Cass. 1 agosto 2013, n. 18410).

4. Il ricorso è fondato, per le ragioni di seguito esposte.

4.1. La questione controversa - presentando il requisito di particolare importanza previsto dall'art. 374, secondo comma, cod. proc. civ. - è stata recentemente decisa dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenze n. 784, n. 785, n. 786, tutte del 3 novembre 2016).

Le Sezioni Unite, sulla base di un'approfondita ricostruzione del quadro normativo e contrattuale che ha regolato e regola le procedure di mobilità dei segretari comunali - disciplinate, inizialmente, dagli artt. 18 e 19 del d.P.R. n. 465 del 1997 e successivamente dall'art. 32 del CCNL per i segretari comunali e provinciali 1998-2001, dalla legge 27 luglio 2004, n. 186 (che abrogò l'art. 18 del d.P.R. n. 465 del 1997), dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311 (interpretata autenticamente dalla legge 246 del 2005 - hanno ritenuto, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica e teleologica dell'art. 1, comma 49, della legge n. 311 del 2004 - che disciplina la possibilità del reinquadramento e dell'accesso alla dirigenza a seguito del passaggio ad altra P.A. - che esso non si applica ai segretari comunali o provinciali trasferiti per effetto di procedure di mobilità già esaurite alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 311 del 2004.

4.2. È stato così chiarito che la suddetta disposizione normativa si riferisce ai soli processi di mobilità eventuali e futuri, dovendosi ritenere che una diversa interpretazione sarebbe lesiva del principio costituzionale dell'accesso alla P.A. per concorso pubblico, applicabile anche alla dirigenza.

Tale circoscritto ambito di applicazione è stato ricavato, dalle Sezioni Unite, non solo da elementi testuali della disposizione normativa (quali: l’incipit del comma 49, che rinvia ai processi di mobilità disciplinati dal comma 48; lo stesso comma 48, collegato al blocco delle assunzioni previsto dal comma 47, che detta una disciplina derogatoria rispetto al CCNL di settore 1998-2001 che era rivolta al futuro, in quanto delimitata dalle regole che le Parti sociali, in sede di rinnovo del contratto collettivo, avrebbero voluto adottare; la previsione del limite del contingente di spesa contenuto nel comma 96, richiamato dal comma 49) ma altresì da una interpretazione sistematica e teleologica della normativa del 2004, da collocare nell'ambito di un graduale e costante processo di limitazione dell'accesso alla dirigenza delineato sia dal legislatore sia dalle Parti sociali.

4.3. A tale ultimo riguardo le Sezioni Unite hanno precisato che:

a) la regola dettata dal d.P.R. n. 465 del 1997 prevedeva - in caso di passaggio ad altra P.A. - l'attribuzione della qualifica di provenienza;

b) il CCNL 1998-2001 per i segretari comunali e provinciali ha, da una parte, rivisto il sistema di classificazione e, dall'altra, consentito l'accesso alla dirigenza solamente alle qualifiche più elevate;

c) la legge n. 186 del 2004 ha uniformato la mobilità dei segretari comunali e provinciali alla disciplina generale sulla mobilità dettata dal T.U. sul pubblico impiego (art. 30 d.lgs. n. 165 del 2001);

d) la legge n. 311 del 2004, interpretata autenticamente dalla legge n. 246 del 2005, ha apportato ulteriori modifiche in senso restrittivo, prevedendo che, anche per i segretari comunali e provinciali delle qualifiche più elevate, l'accesso alla dirigenza non costituisse più la regola.

4.4. Di qui la conclusione che interpretare il comma 49 dell'art. 1 della legge n. 311 del 2004 in maniera così estensiva da imporre una generalizzazione dell'accesso alla dirigenza sulla base dei due requisiti ivi previsti (servizio di segretario svolto per almeno tre anni ed esercizio dell'opzione per la mobilità prevista dal d.P.R. n. 465 del 1997) sarebbe fortemente contraddittorio rispetto all'evoluzione normativa e contrattuale riscontrata in materia di mobilità dei segretari comunali e provinciali.

Né d'altra parte - anche a fronte della sussistenza di casi, seppur modesti, di procedure di mobilità in atto alla data dell'entrata in vigore della legge n. 311 del 2004 - potrebbe correttamente invocarsi il principio di conservazione affermato dall'art. 1367 cod. civ., criterio sussidiario concernente l'interpretazione degli atti negoziali e non di quelli normativi.

5. Il Collegio intende dare continuità all'orientamento giurisprudenziale espresso nelle decisioni sopra richiamate, che hanno ribadito le conclusioni alle quali questa Sezione era già pervenuta con le sentenze n. 165/2014, n. 1047/2014, n. 1324/2014, orientamento poi ribadito, fra l'altro, dalle recenti ordinanze n. 16521, n. 12035, n. 12034, n. 12033 e n. 7620 del 2016.

6. Le argomentazioni sviluppate dalle Sezioni Unite resistono alle osservazioni critiche della controricorrente, che quanto all'esegesi del citato comma 49, fanno principalmente leva sul tenore letterale della stesso, che però non è decisivo per le ragioni sopra evidenziate.

7. D'altra parte, l'eventuale questione di illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 49, della legge n. 311 del 2004 in riferimento all'art. 3 Cost. prospettata dalle parti n analoghe controversie ma sollevabile anche d'ufficio, è da considerare manifestamente infondata, oltre che per le ragioni già indicate dalle Sezioni Unite (vedi: punti 60-64 della sentenza n. 784/2016; punti 59-62 della sentenza n. 785/2016; punti 60-64 della sentenza n. 786/2016), per il principio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui «lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento d¡versificatore delle situazioni giuridiche» (vedi, fra le tante: Corte Cost. sentenze n. 254, n. 208 e n. 60 del 2014; n. 341 del 2007; ordinanze n. 25 del 2012; n. 224 del 2011; n. 61 del 2010; n. 170 del 2009; n. 212 e n. 77 del 2008), sicché non è ipotizzabile una ingiustificata disparità di trattamento a fronte di una disciplina differenziata applicata alla stessa categoria di soggetti in momenti temporali diversi.

8. Ragioni analoghe portano ad escludere anche il contrasto con il principio di non discriminazione sancito dall'art. 14 della CEDU, giacché - anche se in ipotesi si volesse prescindere dalla consueta applicazione, da parte della Corte EDU, della suddetta norma nelle sole ipotesi in cui vengano in rilievo altre norme sostanziali della Convenzione preposte a tutela dei diritti civili e politici dell'uomo e delle libertà fondamentali (fra le più recenti: Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo c. Italia, § 54; 7 febbraio 2013, Fabris c. Francia, § 47; 22 marzo 2012, Konstantin Markin c. Russia) - comunque va ricordato che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo è costante nell'affermare che una disparità di trattamento è discriminatoria solo qualora «manchi di una giustificazione oggettiva e ragionevole», «quando non persegua un fine legittimo» ovvero quando non sussista «un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati ed il fine perseguito» (vedi, per tutte: Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo c. Italia cit., § 59; 25 ottobre 2005, Niedzwiecki c. Germania; 27 marzo 1998, Petrovic c. Austria, § 30; 1° febbraio 2000, Mazurek c. Francia, § 46 e 48).

Dette condizioni difettano nella specie perché l'inquadramento della controricorrente è stato disposto nel rispetto della normativa all'epoca vigente, in relazione alla quale il diritto di opzione era stato esercitato, per cui nessuna compromissione dei diritti riconosciuti dalla CEDU - così come dalla nostra Costituzione - può essere ravvisata, posto che il trattamento più favorevole per gli appartenenti alla categoria, invocato quale termine di comparazione, è sopravvenuto in un momento in cui la procedura di mobilità dell'interessata si era conclusa, il che esclude ogni profilo discriminatorio della disciplina.

9. Neppure può trovare accoglimento la richiesta di un ulteriore rinvio della trattazione della causa in attesa del già prospettato processo in atto di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche (legge delega 7 agosto 2015, n. 124, non seguita dal decreto delegato sulla dirigenza; emendamenti allo schema di decreto legislativo di modifica al T.U. n.

165 del 2001), prevedente una rilevante riorganizzazione dell'Amministrazione statale centrale e periferica e, in particolare, interventi sia in materia di dirigenza pubblica sia sulla posizione dei segretari comunali e provinciali, con misure intese a definire la posizione dei segretari comunali interessati dal contenzioso in esame.

Infatti, le circostanze dedotte a sostegno della richiesta non fanno apparire certa né imminente la risoluzione della questione, diversamente da quel che sostiene la controricorrente.

In particolare - pur dopo due rinvii a nuovo ruolo disposti da questa Corte quando il suddetto processo di riorganizzazione sembrava imminente, tanto che ad esso avevano fatto riferimento anche le Sezioni Unite nelle richiamate sentenze - il quadro normativo attualmente vigente è rimasto immutato e non offre elementi che possano incidere sull'interpretazione seguita dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, in quanto quello previsto - alla luce dei dettati principi di delega - è un intervento di modifica e rimodellazione di ampio respiro, che concerne tutti gli assetti del personale della P.A. (con eventuale delega a unificare, sopprimere ovvero istituire ruoli, gradi e qualifiche nonché a rideterminare dotazione organiche), secondo un criterio di semplificazione e di riconoscimento del merito e della— professionalità.

10. Al riguardo giova pure ricordare che il principio della ragionevole durata del processo, che ha rilievo costituzionale (art. 111 secondo comma, seconda parte, Cost.), impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ., di evitare attività processuali non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto del principio del contraddittorio, da garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato a esplicare i propri effetti (vedi, per tutte: Cass. 1 marzo 2012, n. 3189 del 2012; Cass. 21 novembre 2012, n. 20422).

Ne consegue che al giudice è impedito di adottare provvedimenti che, senza utilità per il diritto di difesa o per il rispetto del contraddittorio, ritardino inutilmente la definizione del giudizio, imponendogli un particolare rigore nel bilanciamento delle opposte ragioni, soprattutto nel giudizio di cassazione, caratterizzato da impulso d'ufficio (vedi: sentenza n. 3189 del 2012 cit.), tanto più che, nella specie, già sono stati disposti ben due rinvii a nuovo ruolo proprio per attendere il completamento del complesso processo di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche, di cui alla legge di delega 7 agosto 2015, n. 124, che sembrava prossimo già a settembre 2016 e che ha subito un'ulteriore rallentamento dopo l'emanazione della sentenza 25 novembre 2016, n. 251 della Corte costituzionale.

IV - Conclusioni

11. In sintesi, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto, in base ai principi di diritto su enunciati, della domanda introduttiva del giudizio.

12. Le ragioni che hanno portato all'intervento delle Sezioni Unite, giustificano la compensazione delle spese dell'intero processo.

13. Tenuto conto dell'accoglimento del ricorso, si da atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'Istituto ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'originaria domanda proposta da R. C.

Compensa integralmente fra le parti le spese dell'intero processo.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'Istituto ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.