Indennità di trasferta a chilometro: non è trasfertismo

L’indennità forfetaria corrisposta al dipendente in trasferta, commisurata alle distanze chilometriche percorse in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, costituisce un’indennità di trasferta a tutti gli effetti, soggetta al relativo regime di tassazione agevolato. Peraltro, deve ritenersi esclusa la configurazione di un’indennità di "trasfertismo", qualora nel contratto di lavoro sia indicata una specifica sede di lavoro (Corte di Cassazione - Ordinanza 20 giugno 2018, n. 16230)

Nella controversia riguardante l’accertamento relativo alla mancata effettuazione delle ritenute sulle somme corrisposte ai dipendenti a titolo di trasferta, i giudici tributari hanno riconosciuto la responsabilità della società contribuente, in qualità di sostituto d’imposta, sulla base della norma dell’art. 23 del DPR n. 600 del 1973 che impone l’obbligo di effettuare una ritenuta a titolo di acconto dell'IRPEF per i compensi da lavoro dipendente corrisposti ai lavoratori subordinati.
In particolare, il recupero delle imposte traeva origine dalla riqualificazione delle somme erogate in "indennità di trasfertismo", per le quali è previsto ad un regime fiscale meno favorevole (esenzione limitata al 50% delle somme erogate), sul rilievo che i dipendenti svolgevano la loro attività in luoghi sempre variabili e diversi, e dalla busta paga emergeva che le indennità erano state corrisposte in misura forfetaria, con continuità e in assenza di documentazione.
La società ha proposto ricorso in Cassazione, improntato su due aspetti fondamentali: la carenza di legittimazione passiva del sostituto di imposta, la corretta qualificazione delle indennità di trasferta e trasfertismo sulla base della norma di interpretazione autentica (quindi retroattiva) dell’art. 7-quinquies del D.L. n. 193 del 2016.
In relazione al primo aspetto (carenza di legittimazione passiva del sostituto di imposta), la Corte di Cassazione ha evidenziato che nella ritenuta di acconto (diretta, in sé, ad agevolare non solo la riscossione ma anche l'accertamento degli obblighi del percettore del reddito), l'intervento del "sostituto" lascia inalterata la posizione del "sostituito", il quale è specificamente gravato dell'obbligo di dichiarare i redditi assoggettati a ritenuta, poiché essi concorrono a formare la base imponibile sulla quale, secondo il criterio di progressività, deve essere calcolata l'imposta dovuta, detraendosi da essa la ritenuta subita come anticipazione del prelievo. Da ciò consegue che, quando la ritenuta non sia stata operata su emolumenti che pur costituiscono componente di reddito, alla omissione il percettore deve porre rimedio, dichiarando i relativi proventi e calcolando l'imposta sull'imponibile alla cui formazione quei proventi hanno concorso. Sulla dichiarazione del sostituito, difatti, il Fisco esercita i normali poteri di controllo e di accertamento in rettifica, liquidando la maggiore imposta in dipendenza dei proventi in ipotesi non dichiarati, sui quali il "sostituto" non abbia operato la dovuta trattenuta, omettendo il relativo versamento. D’altra parte, precisa la Corte Suprema, la norma di cui all’art. 23 del DPR n. 600 del 1973 impone ai sostituti di effettuare una ritenuta a titolo di acconto dell'IRPEF per i compensi da lavoro dipendente corrisposti ai lavoratori e, in caso di mancata effettuazione delle ritenute o di mancato versamento, il sostituto di imposta ne risulta responsabile.
Riguardo, invece, al secondo aspetto (corretta definizione di trasferta e trasfertismo), i giudici della Suprema Corte hanno chiarito che "l’indennità di trasfertismo" si configura quando sussistono contestualmente le seguenti condizioni:
a) mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro;
b) svolgimento di un'attività lavorativa che richiede la continua mobilità;
c) corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell'attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un'indennità o maggiorazione di retribuzione "in misura fissa", attribuite senza distinguere se il dipendente si sia effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta.
In mancanza della contestuale esistenza delle suindicate condizioni, le indennità erogate devono ritenersi "indennità di trasferta", a cui si applica il corrispondente regime fiscale (esenzione fino ad euro 46,48 al giorno, per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale, elevate ad euro 77,47 per le trasferte all'estero).
In particolare, sono soggette al regime fiscale della "trasferta", le indennità forfetarie pagate a seconda delle distanze chilometriche percorse e non a misura fissa, e nel contratto di lavoro risulti indicata la sede dove si svolge l’attività lavorativa.