Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 aprile 2017, n. 8604

Licenziamento - Forma orale - Inefficacia - Requisito dimensionale - Sussistenza - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

1. Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 6168/2012, accogliendo parzialmente il ricorso proposto da C. R., ha dichiarato la illegittimità del licenziamento comminatole dalla PRO.MO.ART srl ordinando a quest'ultima di riassumere la lavoratrice entro il termine di tre giorni o, in mancanza, risarcirle il danno nella misura di quattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

2. La Corte di appello di Napoli, pronunciandosi sul gravame presentato dalla suddetta C., in parziale riforma della impugnata sentenza, ha dichiarato l’inefficacia del suddetto licenziamento perché intimato in forma orale e la giuridica continuità del rapporto di lavoro, condannando la società al pagamento di tutte le retribuzioni nelle more maturate a decorrere dal 26.11.08, con eccezione per quindici giorni in cui la appellante aveva svolto altra attività lavorativa.

3. Per la cassazione propone ricorso la PRO.MO.ART srl affidato a tre motivi.

4. Resta intimata C. R.

 

Motivi della decisione

 

5. Con il primo motivo la società lamenta la violazione, ex art. 360 I comma n. 3 c.p.c., dell'art. 346 c.p.c. nonché del suo combinato disposto con l'art. 112 c.p.c., ovvero del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. In particolare la ricorrente deduce che, avendo la C. chiesto in appello esclusivamente di ritenere provata la circostanza della non sussistenza del requisito dimensionale, aveva abdicato ad ogni facoltà di domandare la nullità e l'inefficacia del licenziamento intimatole, accettando ai sensi dell'art. 329 c.p.c. le parti non impugnate della sentenza di 1° grado, con la conseguenza che erroneamente i giudici di seconde cure avevano ritenuto comunque aliunde avanzata la domanda di nullità del recesso.

6. Con il secondo motivo si denunzia, ai sensi dell'art. 360 I comma n. 4 c.p.c., l'error in procedendo e la violazione del combinato disposto degli artt. 342, 348 bis e ter c.p.c. e 434 c.p.c. in quanto, secondo l'assunto della ricorrente, il ricorso di appello proposto da C. R. era assolutamente insufficiente per essere valutato nei suoi contenuti perché, da un lato, era palesemente privo degli elementi formali minimi per la sua delibazione e, dall'altro, perché prima facie non vi erano probabilità di accoglimento.

7. Con il terzo motivo la società si duole, ai sensi dell'art. 360 1 c n. 3 c.p.c., della violazione dell'art. 1372 cc per avere la Corte territoriale qualificato il successivo contratto di lavoro della C. come mero fatto sospensivo di un diritto di credito e non, invece, quale fatto da cui dedurre l'avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso.

8. Il primo motivo non è fondato.

9. Si intende in questa sede dare continuità al principio affermato da questa Corte (Cass. sent. n. 1377 del 26.1.2016; sent. n. 443/2011) secondo cui il giudizio di appello, pur limitato all'esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, sicché non viola il principio del "tantum devolutum quantum appellatum" il giudice di secondo grado che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall'appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel thema decidendum del giudizio.

10. Nel caso di specie, quindi, il motivo di appello concernente la circostanza dell'occupazione, da parte della società, all'epoca del licenziamento di più di 15 dipendenti, con la conseguente richiesta di reintegra nel posto di lavoro, poneva necessariamente la questione, logicamente preliminare, della natura del profilo patologico riguardante il recesso e, cioè la sua illegittimità o inefficacia: questione che la Corte di merito ha rivalutato non incorrendo, pertanto, nel denunziato vizio di extra petizione.

11. Né può dirsi che sulla illegittimità (e non inefficacia) del licenziamento si sia formato un giudicato interno. Invero tale mera dichiarazione, essendo ancora sub judicio la problematica degli effetti, non è suscettibile di passare in giudicato, cosi come non lo è una qualunque asserzione contenuta nella motivazione d'una sentenza, riferendosi l'art. 329 cpv. c.p.c. soltanto alla sequenza logica "fatto —> norma —> effetto giuridico" attraverso la quale si afferma l'esistenza d'un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (cfr. Cass. n. 14670/15; Cass. n. 4572/13; Cass. n. 16583/12; Cass. 29.7.2011 n. 16808; Cass. n. 27196/06; Cass. 29.10.98 n. 10832; Cass. 10.7.98 n. 6769).

12. Anche il secondo motivo non è meritevole di pregio.

13. La censura è stata correttamente posta con riguardo all'art. 360 n. 4 c.p.c., essendo riconducibile nell'ambito degli "error in procedendo" non riguardando l'interpretazione dell'atto di appello, in quanto tale riservata al giudice del merito, ma il convincimento della mancanza di una effettiva censura alla decisione di 1° grado (cfr. Cass. sent. n. 806 del 15.1.2009; sent. n. 19661/2006).

14. Il giudice di legittimità, conseguentemente, non deve limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda (Cass. Sez. Un. sent. n. 8077/2012; Cass. sent. n. 15701/2012).

15. Nella fattispecie in esame, l'esito dello scrutinio dell'atto di appello non consente di rilevare l'inammissibilità del gravame perché, oltre ad essere stata manifestata la volontà dell'appellante di impugnare specifici capi della sentenza gravata, risulta svolta anche una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della pronuncia impugnata, mirava ad incrinarne il fondamento logico-giuridico. In particolare era stata dedotta, quanto al requisito dimensionale, la irrilevanza probatoria del libro presenze e la inattendibilità di alcuni testi escussi in prime cure.

16. Né poteva evincersi una palese improbabilità di accoglimento del gravame riguardando le doglianze accertamenti di fatto e non questioni di diritto sulle quali si era formato un pacifico e consolidato orientamento giurisprudenziale tale da rendere prima facie infondato l'appello.

17. Infine, il terzo motivo è parimenti infondato.

18. In tema di mutuo consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro, non costituisce elemento idoneo ad integrare la fattispecie di tacita risoluzione consensuale il fatto che il lavoratore abbia, nelle more, percepito il TFR, ovvero cercato o reperito un'altra occupazione (Cass. Sent. n. 22489 del 4.11.2016; sent. n. 21310/2014; sent. n. 6900/2016).

19. Nel caso concreto, quindi, lo svolgimento di altra attività lavorativa, per soli 15 giorni nel settembre 2009, a fronte di un licenziamento intimato nell'ottobre 2005, non può certo qualificarsi, alla luce del principio sopra richiamato, quale fatto da cui dedurre l'avvenuta risoluzione consensuale del rapporto.

20. In conclusione il ricorso va respinto.

21. L'infondatezza del ricorso rende superflua la rinnovazione della notifica del ricorso all’intimata nei cui confronti essa non si è perfezionata.

22. Come già statuito a riguardo da questa S.C. (cfr. Cass. n. 15106/13; cfr. altresì, Cass. n. 6826/2010; Cass. n. 2723/2010; Cass. n. 18410/2009), il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio e delle garanzie di difesa e dal diritto a partecipare al processo in condizioni di parità.

23. Ne deriva che, acclarata l'infondatezza del ricorso in oggetto alla stregua delle considerazioni sopra svolte, sarebbe comunque vano disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei tempi di definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio in termini di garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti.

24. Nulla va disposto, conseguentemente, in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

25. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; nulla per le spese. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.