Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 settembre 2016, n. 18969

Rapporto di lavoro - Inquadramento superiore - Domanda - Mansioni concretamente svolte dal lavoratore - Prova

 

Fatto

 

Con sentenza 18 maggio 2011, la Corte d'appello di Trieste accertava il diritto di S. P., dipendente di R. s.p.a., dal 17 maggio 2000 (data di assunzione) al 19 febbraio 2002 all'inquadramento in posizione B2 e da quella data fino alla cessazione del rapporto all’inquadramento in posizione B1, in relazione al CCNL applicato, condannando la società datrice alla corresponsione delle differenze retributive maturate, oltre accessori e rigettando nel resto l'appello del lavoratore. Essa riformava così parzialmente la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto le domande di accertamento (oltre che dei diritto al superiore inquadramento, coerente con le mansioni svolte e di condanna alle relative differenze retributive, anche) di invalidità delle dimissioni rassegnate e di illegittimità dell'interruzione datoriale del rapporto, con la conseguente reintegrazione ai sensi dell'art. 18 I. 300/1970, nonché di condanna risarcitoria per danno da malattia insorta per effetto delle circostanze della cessazione detta.

Preliminarmente ritenuta la risoluzione del rapporto di lavoro tra le parti per dimissioni del lavoratore, non già per suo licenziamento, ed esclusa la prova del danno alla salute lamentato, in esito ad argomentato esame comparativo con le categorie A e C (nella quale inizialmente egli era stato inquadrato non correttamente) del CCNL per gli addetti all'industria di produzione di piastrelle applicato ed alle scrutinate risultanze istruttorie, la Corte territoriale gli attribuiva dall'inizio dell'anno 2002 la posizione B1, siccome coerente con le mansioni svolte di responsabile della gestione informatica dell'azienda con il compito di curare la verifica congiunta con gli interessati di ogni problematica hardware e software e l'approvazione prima dell'emissione degli ordini; per il periodo precedente ne accertava la spettanza della posizione B2, quale incaricato del controllo della gestione. Essa riteneva la possibilità di riconoscergli le suddette qualifiche di categoria B, in quanto comprese nella sua domanda di superiore inquadramento.

Con atto notificato il 16 novembre 2011, R. s.p.a. ricorre per cassazione con tre motivi, cui resiste S. P. con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi, cui la società ha replicato con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 414, 416, 420, 421, 324 e 329 c.p.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4 c.p.c., per non rilevata, ancorché eccepita, formazione di giudicato, per omessa censura della parte della sentenza di primo grado relativa al rigetto della domanda di superiore inquadramento del lavoratore, in difetto di idonea allegazione e prova: essendosi la doglianza invece limitata alla valutazione delle risultanze istruttorie; con il conseguente erroneo esame dalla Corte territoriale della questione, in assenza di specifica devoluzione.

Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 324 e 329 c.p.c. e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 e n. 5 c.p.c., per la pronuncia della Corte territoriale su una domanda (di qualificazione intermedia, nella specie Bl, non espressamente richiesta dal lavoratore, ritenuta ricompresa in quella di superiore inquadramento in categoria A) implicitamente respinta dal Tribunale (che aveva rigettato la domanda di superiore inquadramento tout court per difetto di allegazione degli elementi costitutivi e prova), senza una specifica censura devolutiva, né riproposizione della domanda in appello.

Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 2103 c.c., 115 c.p.c. e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per erronea riconduzione ai livelli B2 e B1 delle mansioni del lavoratore sulla base delle risultanze della prova orale, oggetto di specifica confutazione.

Con il primo motivo, S. P. a propria volta deduce, in via di ricorso incidentale condizionato, violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 c.p.c., 2118 c.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia sulla subordinata richiesta di pagamento fino alla scadenza del termine differito, ben ammissibile, indicato nella lettera di dimissioni (31 dicembre 2003), avendo invece la società datrice interrotto in tronco il rapporto lavorativo.

Con il secondo, egli deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 c.p.c., 2103 c.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4 c.p.c., per mancato riconoscimento, in applicazione del procedimento di qualificazione trifasico in riferimento alle dichiarazioni dei testi, della qualifica spettante in posizione Al, corrispondente alle mansioni di fatto svolte di controllo di gestione per l'attività di informatizzazione con formale incarico di "responsabile della gestione informatica dell'azienda".

Il primo motivo principale, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 414, 416, 420, 421, 324 e 329 c.p.c., per non rilevata formazione di giudicato, per omessa censura della parte della sentenza di primo grado relativa al rigetto della domanda di superiore inquadramento del lavoratore, per suo difetto di idonea allegazione e prova, è infondato.

Ed infatti, con il primo motivo di appello, il lavoratore ha impugnato la sentenza del Tribunale sotto il profilo di aver "mal valutato le prove assunte in merito alle reali mansioni curate dal ricorrente e così escluso un suo diritto ... ad un superiore inquadramento contrattuale" (come illustrato al primo capoverso di pg. 4 della sentenza). In tal modo, egli ha devoluto alla Corte territoriale la questione relativa al detto inquadramento, poi correttamente risolta in applicazione del procedimento di qualificazione trifasico con la valutazione delle risultanze istruttorie (per le ragioni esposte da pg. 8 a pg. 16 della sentenza).

Sicché, deve essere esclusa la formazione di alcun giudicato interno.

Giova in proposito osservare come la sola affermazione del difetto di allegazione e prova non integri un capo autonomo di sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, idoneo a risolvere una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, si da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente (Cass. 23 marzo 2012, n. 4732): per la sua costituzione pure occorrendo la concreta valutazione delle emergenze agli atti e risultanze istruttorie, quale contenuto concreto della suddetta affermazione.

La locuzione giurisprudenziale "minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno" individua, infatti, la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall'effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l'esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico: con la conseguenza che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l'impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull'intera statuizione (Cass. 4 febbraio 2016, n. 2217).

E pertanto l'impugnazione, nel caso di specie, della valutazione probatoria del fatto (le mansioni concretamente svolte dal lavoratore) e dell'effetto giuridico comportato dall'applicazione ad esso della norma (inquadramento nella qualifica professionale), preclude la formazione del giudicato interno.

Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 324 e 329 c.p.c. e contraddittoria motivazione, per la pronuncia della Corte territoriale su una domanda (di qualificazione intermedia, nella specie Bl, non espressamente richiesta dal lavoratore, ritenuta ricompresa in quella di superiore inquadramento in categoria A) implicitamente respinta dal Tribunale non specificamente censurata, è inammissibile. Premessa l’indubbia esclusione del vizio di ultrapetizione nel provvedimento del giudice, che riconosca l'inquadramento in una qualifica intermedia tra quella richiesta dal lavoratore e quella attribuita dal datore di lavoro, purché il lavoratore prospetti adeguatamente gli elementi di fatto relativi allo svolgimento di mansioni della qualifica intermedia (Cass. 8 ottobre 2013, n. 22872; Cass. 11 aprile 2013, n. 8862), incorre nel vizio di omessa pronuncia il giudice di merito che abbia rigettato la domanda di inquadramento nella qualifica superiore, omettendo l'esame della domanda implicitamente proposta in relazione alla qualifica intermedia. Ma ciò comporta che un tale vizio debba essere specificamente denunciato in appello, potendo il giudice di appello pronunciare sul riconoscimento della qualifica intermedia soltanto qualora oggetto di un puntuale motivo di impugnazione: incorrendo, invece, nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in caso di pronuncia sulla domanda non espressamente riproposta e da intendersi rinunciata a norma dell’art. 346 c.p.c. (Cass. 15 febbraio 2008, n. 3863; Cass. 25 luglio 2003,n. 11557).

Ora, appare evidente che la corretta denuncia dell’error in procedendo implica, per la sua pertinenza a un difetto di attività del giudice e quindi proprio ad un fatto processuale sul quale il giudizio verte e del quale la Corte di cassazione deve necessariamente poter prendere cognizione, il diretto esame dell’atto di appello del lavoratore: rimanendo la censura soggetta alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed in particolare alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6 c.p.c. in ordine al principio di autosufficienza del ricorso (Cass. 4 aprile 2014, n. 8008; Cass. 17 gennaio 2014, n. 896; Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077).

Ma ad esso non ha adempiuto R. s.p.a., non avendo trascritto, quanto meno nei contenuti rilevanti, il suddetto atto di appello, in ordine al quale si è limitata ad un rapido commento ("Peraltro, anche con l'atto d'appello la difesa del dott. P. si è limitata a censurare nel merito la decisione negativa, senza svolgere alcuno specifico motivo d'appello per l'omessa valutazione di un reinquadramento secondo ipotesi inferiori così al penultimo capoverso di pg. 7 del ricorso); neppure essendo sufficiente l’indicazione delle conclusioni del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (al primo capoverso di pg. 7 del ricorso) richiamate nell'atto d’appello (secondo la risultanza dell’intestazione della sentenza d'appello impugnata).

Sicché a questa Corte è inibito per tale ragione l’esame diretto del fatto processuale denunciato, con la conseguente inammissibilità del mezzo scrutinato.

Anche il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 2103 c.c., 115 c.p.c. e contraddittoria motivazione, per erronea riconduzione ai livelli B2 e B1 delle mansioni del lavoratore sulla base delle risultanze della prova orale, è inammissibile.

La società ricorrente non ha infatti prodotto il CCNL di cui chiede l'esatta interpretazione in riferimento al corretto inquadramento del lavoratore: con la conseguenza della violazione, non già del disposto dell’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c. comportante l'improcedibilità dell'intero ricorso (sia secondo l'interpretazione più flessibilmente modulata di Cass. 11 gennaio 2016, n. 195 ovvero più rigorosa di Cass. 4 marzo 2015, n. 4350) in quanto non esclusivamente incentrato sull'interpretazione del CCNL, ma del principio di autosufficienza, comportante appunto l'inammissibilità del mezzo.

Per mera completezza, occorre pure indicare una ulteriore ragione di inammissibilità della censura, che si concentra sull'accertamento in fatto del giudice di merito, in esito ad esatto compimento del procedimento logico-giuridico cd. trifasico, scandito dalla verifica delle attività lavorative in concreto svolte, dall'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda: Cass. 25 settembre 2015, n. 19030; Cass. 28 aprile 2015, n. 8589; Cass, 27 settembre 2010, n. 20272).

Ma un tale accertamento, se sorretto da logica e adeguata motivazione, come indubbiamente nel caso di specie (per le argomentate ragioni esposte a pgg. da 8 a 15 della sentenza), è insindacabile in sede di legittimità (Cass. 31 dicembre 2009, n. 28284; Cass. 30 ottobre 2008, n. 26234).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso principale, comportante l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato e la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato; condanna R. s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.