Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 luglio 2017, n. 17737

Licenziamento per giusta causa - Mansioni di commessa - Omessa tempestiva comunicazione dell'assenza dal lavoro per malattia - Minacce al datore di lavoro

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d'appello di Brescia, con sentenza del 14 aprile 2015, in riforma della decisione del giudice di primo grado, dichiarò l'illegittimità di cinque sanzioni disciplinari e del licenziamento per giusta causa disposti nei confronti di L. D. dalla A. M. s.r.l. Alla L., dipendente con mansioni di commessa della predetta società, esercente il commercio al dettaglio di casalinghi, erano attribuiti plurimi episodi di omessa tempestiva comunicazione dell'assenza dal lavoro per malattia, nonché di aver minacciato telefonicamente al datore di lavoro che avrebbe mandato in negozio Ispettorato del Lavoro, Vigili del Fuoco e Guardia di Finanza. A fondamento della decisione la Corte rilevò che, alla luce delle prove raccolte, risultava che le Infrazioni attinenti a tardiva comunicazione erano ravvisabili solo In relazione ad alcuni episodi, i quali, tuttavia, non erano tali da determinare l'applicazione della massima sanzione conservativa. Allo stesso modo, le stesse condotte non potevano essere ritenute idonee a sorreggere II licenziamento, non essendo tali da incidere in maniera significativa sul vincolo fiduciario e da indurre ad un giudizio prognostico sfavorevole circa il futuro adempimento dei compiti connessi all'espletamento dell'attività lavorativa. Annullava, pertanto, le sanzioni e dichiarava l'illegittimità del licenziamento, applicando la tutela obbligatoria.

2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società sulla base di due motivi. Resiste la lavoratrice con controricorso, illustrato con memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con II primo motivo la ricorrente deduce: art. 360 c.p.c., violazione, falsa ed erronea applicazione dell'art. 7 I. 300/1970 e dell'art. 217 CCNL (proporzionalità e gradualità delle sanzioni), Rileva che la Corte territoriale non ha tenuto conto che alla lavoratrice erano state inflitte in precedenza sanzioni per fatti analoghi, né che gravava sulla lavoratrice, a fronte della previsione di cui all'art. 217 CCNL, l'onere probatorio riguardo l'aver fornito tempestiva comunicazione della propria assenza, dalla stessa in concreto non assolto. Evidenzia, altresì, l'idoneità delle condotte a ledere il vincolo fiduciario, non rilevando tanto l'effettività della malattia quanto, piuttosto, la diligenza del dipendente, che si concreta anche nella corretta e tempestiva comunicazione in ordine al protrarsi dell'assenza.

2. Il motivo non risulta pertinente rispetto alle argomentazioni poste a fondamento della sentenza impugnata. Ed invero la censura ripercorre la valutazione delle risultanze probatorie senza censurare specificamente il rilievo, evidenziato dalla Corte, della necessaria considerazione unitaria delle mancanze, pur ravvicinate nel tempo, e senza tener conto del conseguente avvenuto annullamento delle sanzioni inflitte prima del licenziamento, nonché della irrilevanza delle medesime in termini di condotte recidivanti in relazione al recesso. Allo stesso modo la censura non si confronta con le ragioni poste a fondamento della ritenuta illegittimità del licenziamento, fondate anche sul rilievo che il tenore della contestazione fa riferimento non al ritardo nella comunicazione, ma al carattere ingiustificato dell'assenza, circostanza che la Corte ha ritenuto smentita dalla documentazione prodotta dalla lavoratrice. Propone, altresì, una valutazione alternativa in ordine all'idoneità delle predette condotte a ledere il vincolo fiduciario, senza sottoporre a vera critica le ragioni, anche di ordine soggettivo, che avevano indotto la Corte territoriale a ritenere non irrimediabilmente compromesso il futuro svolgimento del rapporto.

3. Con il secondo motivo la società deduce, ex art. 360 n. 5 c.p.c., omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ed oggetto di discussione tra le parti. Rileva che il giudice d'appello aveva omesso di valutare la questione relativa alla proporzionalità della sanzione riguardo al complessivo comportamento, anche pregresso, della lavoratrice, che si prospetta come idoneo a inficiare in modo rilevante la prosecuzione del rapporto, facendo venir meno il vincolo fiduciario.

4. Anche il secondo motivo è inammissibile, perché non conforme alla nuova formulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Al riguardo basti considerare (si veda per tutte Cass. 8/09/2016 n. 17761) che "Il motivo di ricorso con cui, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., come modificato dall'art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il "fatto" controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo". Dall'esposizione del motivo di censura si evince che la critica inerisce alla valutazione dei presupposti del licenziamento, e, pertanto, non riguarda un "fatto" nei termini richiesti dalla norma.

5. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, da distrarre in favore del difensore antistatario della contro ricorrente, che ne ha fatto richiesta.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 4.500,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.