Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 maggio 2019, n. 13646

Lavoro a progetto - Somministrazione irregolare - Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato - Onere della prva

Rilevato che

1. il Tribunale di Macerata respingeva la domanda di S.M.I., proposta nei confronti delle società C. SpA e N.S. Srl (di seguito, per brevità, C. e N.S.), di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato con la società C. e di condanna della stessa alle maturate differenze retributive;

2. la Corte di Appello di Ancona, con sentenza nr. 338 del 2015, in parziale accoglimento del gravame della lavoratrice, dichiarava, invece, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato tra S.M.I. e C., a far data dal 20.8.2007, con condanna della predetta società C. al pagamento di differenze di retribuzione;

per quanto rileva in questa sede, la Corte distrettuale osservava come, tra le parti, fosse incontestata la circostanza, dedotta nel ricorso introduttivo di primo grado dalla lavoratrice, della sussistenza di un rapporto di lavoro, dal 20.8.2007 al 30.9.2007, alle dipendenze della C.; dall'1.9.2007, era pacifica la stipulazione di contratti a progetto con l'altra società (id est: con la N.S.); tuttavia, nonostante la formale stipulazione di contratti a progetto con quest'ultima, ad utilizzare la lavoratrice continuava ad essere la società C.; anche le mansioni descritte nei contratti a progetto erano (maggiormente) aderenti all'oggetto sociale della C., nella cui organizzazione la lavoratrice risultava inserita; da tali congiunti elementi, la Corte di appello traeva il convincimento della sussistenza di una somministrazione irregolare: la N.S., quale formale datrice di lavoro, aveva messo a disposizione della C., effettiva utilizzatrice, la lavoratrice, con ogni conseguenza in termini di costituzione dei rapporto direttamente in capo a quest'ultima;

3. hanno proposto ricorso per cassazione, le società C. e C. Service ( già N.S.), affidato a tre motivi;

4. ha resistito, con controricorso, S.M.I.;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo è dedotta - ai sensi dell'art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. - la nullità della sentenza e del procedimento, per violazione degli artt. 115 e 116 cod.proc. civ.; esso (id est: il motivo) censura la statuizione di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato dal 20.8.2007 al 30.9.2007 sulla base del principio di non contestazione; si assume che la C. aveva sempre negato qualsiasi rapporto con la lavoratrice che, gravata del relativo onere, non aveva, invece, offerto alcuna prova al riguardo;

il motivo è, in radice, inammissibile;

il rilievo circa l'erronea applicazione del principio di non contestazione non soddisfa gli oneri di deduzione e di specificazione imposti dagli artt. 366 nr. 6 e 369 nr. 4 cod. proc.civ.; la fondatezza della censura non può, infatti, prescindere dalla trascrizione (integrale o comunque nei passaggi salienti) di tutti gli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione di determinati fatti (cfr., in argomento, Cass. nr. 3023 del 2016; Cass. nr. 20637 del 2016, in motivazione Cass. nr. 3302 del 2018), nella fattispecie di causa del tutto omessi; né può venire in soccorso la qualificazione giuridica del vizio di legittimità come «error in judicando de jure procedendi» in relazione al quale la Corte è anche «giudice del fatto», potendo accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito, dovendo distinguersi, anche nell'ambito del vizio di legittimità attinente l'attività processuale ex art. 360, comma 1, nr. 4, cod.proc.civ., la fase di ammissibilità da quella, cronologicamente successiva, relativa alla fondatezza della censura; per accedere a quest'ultima è indispensabile che il corrispondente motivo presenti tutti i requisiti di ammissibilità e contenga tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (v. Cass., sez.un., nr. 8077 del 2012; tra le sezioni semplici, ex plurimis, Cass. nr. 896 del 2014);

2. con il secondo motivo - ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. - è dedotta la violazione dell'art. 27 e dell'art. 61 del D.Lgs nr. 276 del 2003; si censura la sussunzione della fattispecie concreta nell'ambito della somministrazione irregolare, per non aver la Corte di appello considerato il fatto della sottoscrizione, da parte della lavoratrice, di un contratto a progetto incompatibile con una ricostruzione della vicenda di causa in termini di somministrazione irregolare che postula un rapporto di lavoro di natura subordinata;

3. con il terzo motivo - ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. - è dedotta violazione degli artt. 2, 4, 20, 21 e 27 del D.Lgs nr. 276 del 2003, dell'art. 1655 cod.civ. e 29 del D.Lgs nr 276 del 2003; si imputa alla sentenza l'erronea ricostruzione dei fatti e l'omissione di una serie di circostanze (in particolare: 1. che la lavoratrice avesse svolto le sue mansioni prevalentemente con la N.S.; 2. che il reale oggetto sociale della N.S. consistesse nell'attività di consulenza aziendale; 3. che entrambe le società, pur nella loto autonomia, facessero parte di un medesimo gruppo societario); la Corte di appello non avrebbe considerato la sussistenza di un contratto di appalto tra le due società ricorrenti e l'organizzazione strutturata e capillare dell'organizzazione della N.S.;

i motivi, da trattarsi congiuntamente, in quanto connessi, vanno respinti;

entrambi i motivi appaiano diretti non ad evidenziare violazioni puntuali di norme di diritto rinvenibili nella sentenza impugnata, quanto ad esprimere un dissenso rispetto al percorso argomentativo seguito dal Giudice del merito e censurabile, in questa sede di legittimità, nei ristretti limiti del vizio di motivazione, tempo per tempo vigente;

come sinteticamente riportato nello svolgimento dei fatti processuali, la Corte di appello, nella sostanza, ha ritenuto, sulla base del materiale probatorio acquisito, che, pur a fronte di contratti di lavoro formalmente sottoscritti con la società N.S., nei fatti, il rapporto di lavoro, con le caratteristiche della subordinazione, si fosse svolto sempre con la C., quale effettiva datrice di lavoro e, coerentemente, ha riconosciuto, tra la lavoratrice e quest'ultima società, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, nell'ambito di una vicenda, latu sensu, di somministrazione irregolare (recte: di interposizione fittizia di manodopera);

tale accertamento non è, in questa sede, validamente censurato né in termini di violazione di legge, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto, contenute nella sentenza impugnata, che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e/o con l'interpretazione che delle stesse è fornita dalla giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass. nr. 635 del 2015; Cass. nr. 16038 del 2013; Cass. nr. 3010 del 2012; Cass., nr. 12984 del 2006), né, sotto il profilo del vizio di motivazione, con l'indicazione, nei termini rigorosi richiesti dal vigente testo del predetto art. 360 nr. 5 cod. proc. civ. (applicabile alla fattispecie), del «fatto storico», non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053);

deve puntualizzarsi, quando ai denunciati vizi di sussunzione, che la applicazione delle norme di diritto viene in rilievo in relazione al fatto nei termini in cui è accertato in sentenza e non già rispetto a fatti diversamente ricostruiti dalla parte ricorrente; nella fattispecie di causa, le società contestano gli accertamenti di merito operati dalla Corte territoriale, ponendo a base delle censure una differente ricostruzione della vicenda storica che, invero, costituisce un prius rispetto alla applicazione delle norme di diritto e che è, dunque, estranea al vizio ex art. 360 nr. 3 cod.proc.civ., come denunciato;

conclusivamente il ricorso deve respingersi, con le spese liquidate in dispositivo secondo soccombenza;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, comma 17, legge nr. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. nr. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.