Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 giugno 2017, n. 14571

Pensionato - Riliquidazione trattamento - Prescrizione - Fatto impeditivo della decorrenza - Cause giuridiche che ostacolano l'esercizio del diritto e non gli impedimenti soggettivi o di mero fatto

 

Fatti di causa

 

La Corte d'appello di Potenza, in parziale accoglimento dell'appello dell'Inps, ha condannato l'Istituto al pagamento in favore di S.M., pensionato già dipendente dell'Inam transitato alla Regione Basilicata, della somma di euro 17.585,84, quale riliquidazione, nei limiti della prescrizione quinquennale, della pensione goduta dal ricorrente, in relazione al periodo dal 17 luglio 2000 al 31/3/2005, con inclusione nel calcolo dell'indennità di funzione.

Con riferimento all'eccezione di avvenuto pagamento sollevata dall'Inps solo in appello, la Corte ha rilevato che non costituiva eccezione in senso stretto e che, pertanto, era utilmente opponibile in appello ed ammissibile l'espletamento di una CTU al fine di accertare la sussistenza del credito del M..

Circa l'eccezione di prescrizione, premesso che in applicazione dell'articolo 2935 c.c. la prescrizione cominciava a decorrere dal giorno in cui il diritto avrebbe potuto essere fatto valere, ha ritenuto che la pendenza di altro giudizio, relativo al ricalcolo dei ratei per il periodo precedente dal 30/12/1992 al 31/12/1996, non impediva il decorso della prescrizione con riferimento ai ratei relativi al periodo successivo, dal 1 gennaio 97 al 31 marzo 2005, oggetto del presente giudizio. Ha, quindi, rilevato che nel caso di specie dovevano ritenersi prescritti i ratei di pensione maturati nel periodo gennaio 97-17 luglio 2000 in quanto l'unica interruzione era costituita dalla deposito presso l'Inps di Potenza dell'istanza, a firma della parte e del legale, datata 18 luglio 2005 contenente la richiesta di ricalcolo per il periodo 1997/2005.

Quanto alla necessità, opposta dall'Inps, di procedere al riassorbimento tra l'indennità di funzione pretesa e la retribuzione di posizione in godimento la Corte ha rilevato che si trattava di deduzione nuova e come tale inammissibile.

Infine, circa l'eccezione sollevata dall'Inps secondo cui l'indennità di funzione non era pensionabile, la Corte ha rilevato sia che la precedente sentenza della Corte d'appello intercorsa tra le parti ne aveva affermato la pensionabilità, sia che la giurisprudenza della Suprema Corte era nello stesso senso.

Avverso la sentenza ricorre in cassazione il M. con tre motivi. Resiste l’lnps.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli articoli 2935, 2953 e 2937 c.c. Censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto prescritti i ratei relativi al periodo dal gennaio 1997 al 17 luglio 2000.

Osserva che solo a seguito del giudizio conclusosi con la sentenza della Corte d'appello di Potenza n. 84 del 2004 aveva appreso di poter ottenere le differenze sui ratei di pensione, essendo stato statuito, in via definitiva, il diritto all'inclusione nella base retributiva pensionabile dell'indennità di funzione. Secondo il ricorrente l'Inps avrebbe dovuto provvedere a ricalcolare la pensione anche per il periodo fino al 2005, indipendentemente dalla richiesta del M..

Deduce, inoltre, che l'Inps aveva di fatto rinunciato alla prescrizione ai sensi dell'articolo 2937, terzo comma, c.c. eccependo che il pagamento, da esso effettuato Riguardava tutto il periodo fino al 2005.

Il motivo è infondato.

Circa la prescrizione, va rilevato che il precedente giudicato richiamato da controparte si riferisce ad un periodo diverso rispetto a quello oggetto del presente giudizio con la conseguenza che correttamente la sentenza impugnata afferma che, nella fattispecie, la prescrizione decorre, ai sensi dell'art. 2935 cc, dalla data in cui il diritto poteva essere fatto valere rimanendo del tutto irrilevante il precedente giudicato.

Va, altresì, richiamato il principio affermato da questa Corte, al quale si è correttamente uniformata anche la sentenza qui impugnata (cfr da ultimo Cass n. 21026/2014, n. 10828/2015), secondo cui "l'impossibilità di far valere il diritto, alla quale l'art. 2935 cod. civ. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione tra le quali, salvo l'ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sulla esistenza di tale diritto ed il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento".

Quanto alla ipotizzata rinuncia dell'Inps a far valere la prescrizione trattasi di eccezione non menzionata nella sentenza. Il ricorrente, in violazione del principio di specificità delle censure, ha omesso di indicare in quale atto aveva sollevato la questione ed in quale momento processuale. In mancanza l'eccezione risulta inammissibile dovendosi ritenere sollevata solo nel presente giudizio.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 437 c.p.c. lamenta che l'Inps aveva formulato l'eccezione di pagamento solo in appello.

3. Con il terzo motivo denuncia vizio di motivazione per avere la Corte immotivatamente esaminato l'eccezione di pagamento, sebbene tardivamente proposta, senza neppure motivare sul perché l'Inps non avesse proposto l'eccezione fin dal primo grado.

4. I due motivi, congiuntamente esaminati in quanto entrambi attinenti all'eccezione di avvenuto pagamento, sono infondati. E' sufficiente rilevare che l’eccezione di pagamento è rilevabile d’ufficio poiché l’estinzione del debito, ove sia provata, va accertata dai giudice anche in assenza di richiesta da parte del debitore, sicché la questione può essere sollevata per la prima volta anche in appello. (cfr Cass. n. 9965/2016, cfr. Cass. 16.3.2010, n. 6350).

5. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.