Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 13 luglio 2018, n. 18700

Tributi - IRPEF - Redditi di capitale - Credito di imposta per dividendi societari - Omessa indicazione nella dichiarazione - Effetti - Contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione - Esclusione

Ritenuto in fatto

1. L'Agenzia delle Entrate emetteva nell'aprile 2008 avviso di accertamento nei confronti di L. M. evidenziando che, nell'anno 2003, la società Antica Ditta M. s.p.a. aveva corrisposto al M. la somma di € 354.750,00 a titolo di dividendi in relazione alle azioni dallo stesso detenute; che il contribuente non aveva inserito nella propria dichiarazione dei redditi (Modello Unico) tali dividendi, omettendo di indicare nella stessa dichiarazione dei redditi il credito di imposta di cui all'art. 14 comma 5 del d.p.r. n. 917 del 1986; che, quindi l'Agenzia aveva recuperato a tassazione i suddetti dividendi, non riconoscendo al M. il credito di imposta, di importo pari ad € 191.139,29; che, dunque, la richiesta di pagamento era di € 159.637,00 per Irpef, € 1.064,00 per addizionale regionale; € 1.064,00 per addizionale comunale ed € 165.667,00 a titolo di sanzioni, che a seguito di accertamento con adesione, definitosi negativamente, le sanzioni erano state pagate per la somma di € 341.416,75.

2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso del contribuente.

3. La Commissione tributaria regionale del Piemonte rigettava il gravame proposto dal contribuente/ rilevandole il contribuente non aveva adempiuto all'obbligo di indicare nella dichiarazione dei redditi gli utili percepiti e distribuiti dalla società e non aveva quindi, richiesto, a pena di decadenza, la detrazione del relativo credito di imposta ai sensi dell'art. 14 comma 5 del d.p.r. 917/1986; che la dichiarazione integrativa presentata dal M. nelle more del procedimento di primo grado (in data 1-12-2008) era inconferente, in considerazione della non emendabilità dell'errore stabilita dalla norma? che non vi era stata doppia imposizione, anzi tale essendo la finalità delle norme in tema di tassazione dei dividendi di società, anche se con l'imposizione di specifici oneri per il contribuente; che la questione di incostituzionalità sollevata dal M. era manifestamente infondata.

4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione il M..

5. L'Agenzia delle Entrate non predisponeva controricorso.

Considerato in diritto

1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione degli art. 14, quinto comma del dpr 917/1986 (secondo il testo vigente fino al 2003); art. 2 comma 8 dpr 22 luglio 1998, n. 322; art. 360 n. 3 c.p.c.", in quanto il contribuente ha predisposto dichiarazione integrativa, ai sensi dell'art. 2 comma 8 del d.p.r. 322 del 1998, nelle more del giudizio di primo grado in data 1-12-2008, in relazione all'accertamento per l'anno 2003, essendo pacifica la sua buona fede, ritenuta irrilevante dal giudice di appello, mentre è possibile correggere i propri errori in base all'art. 2 comma 8 citato. Nella parte finale del motivo si chiarisce che deve tenersi conto della "dichiarazione integrativa presentata dal contribuente in forza dell'ottavo comma dell'art. 2 del dpr 322/1998, che espressamente consente di correggere errori ed omissioni".

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 14, quinto comma del d.p.r. 917/1986 (secondo il testo vigente fino al 2003); e del 38 del d.p.r. n. 602 del 1973; art. 360 n. 3 c.p.c.", in quanto la Commissione regionale non ha riconosciuto che il credito di imposta può essere esercitato attraverso una istanza di rimborso (nel caso di specie presentata con la dichiarazione integrativa in forza dell'ottavo comma dell'art. 2 del d.p.r. 322/1998) ai sensi dell'art. 38 del d.p.r. 602/1973. La Commissione ha, quindi, imposto al contribuente una doppia imposizione.

2.1. Tali motivi, che per ragioni di connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.

2.2. Invero, si premette che per la Suprema Corte, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all'art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d'imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell'Amministrazione finanziaria (Cass.Civ., Sez.Un., 30 giugno 2016, n. 13378). In motivazione si chiarisce che il principio della generale ed illimitata emendabilità della dichiarazione fiscale incontra "il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze", come nell'ipotesi di cui all'art. 6 del d.m. 22 luglio 1988, n. 275, il quale stabilisce che il credito di imposta è indicato a pena di decadenza nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso. Nella specie, il contribuente ha omesso di presentare il Quadro RI della dichiarazione dei redditi di impresa, omettendo in tal modo di indicare gli utili percepiti ed i crediti di imposta spettanti. Soltanto dopo l'inizio del giudizio di primo grado in data 1-12-2008 ha provveduto a presentare la dichiarazione integrativa ai sensi dell'art. 2 comma 8 del d.p.r. 322/1998, e non del comma 8 bis del medesimo d.p.r., ma con riferimento all'anno 2003, quindi sicuramente al di fuori del termine di cui al comma 8 bis (termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d'imposta successivo, quindi entro il 2005).

2.3. Tuttavia, si è affermato in giurisprudenza di legittimità che, a norma dell'art. 14 comma 5 del d.p.r. 917/1986, la detrazione del credito di imposta per gli utili distribuiti da società ed enti, deve essere richiesta, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui gli utili sono stati percepiti e non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione degli utili nella dichiarazione presentata (Cass.Civ., 28 giugno 2002, n. 9475, in relazione ad una domanda del contribuente di rimborso della maggiore imposta versata a causa della mancata detrazione del credito di imposta sui dividendi percepiti ). Pertanto, dal tenore letterale di tale norma risulta, quindi, che: 1) la detrazione del credito di imposta non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione degli utili; 2) spetta, invece, ma deve essere richiesta a pena di decadenza nella dichiarazione, nel caso in cui questa sia stata presentata e gli utili siano stati indicati (Cass.Civ., 28 giugno 2002, n. 9475, in motivazione).

Nel caso in esame, il contribuente non solo non ha indicato i dividendi percepiti in dichiarazione, ma non ha neppure richiesto a pena di decadenza la detrazione del credito di imposta nella dichiarazione dei redditi.

3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la "non manifesta infondatezza della eccezione di illegittimità costituzionale sollevata nei confronti dell'art. 14, quinto comma, del d.p.r. 917/1986 (secondo il testo vigente fino al 2003) in relazione agli artt. 3 e 53 della Cost." in quanto l'impossibilità di emendare la dichiarazione utilizzando il credito di imposta provoca una doppia imposizione , non giustificata né dalla certezza dei rapporti giuridici né da ragioni sanzionatorie.

3.1. Tale motivo è infondato.

Invero, la Corte Costituzionale ha ritenuto che è manifestamente infondata, in riferimento agli art. 2, 3 e 53 cost., la questione di legittimità costituzionale, esaminata per la prima volta, dell'art. 2, comma 2 I. 16 dicembre 1977 n. 904. L'art. 1 legge cit. n. 904 attribuisce ai soci delle società di cui all'art. 2 lett. a) d.P.R. n. 598 del 1973 (ossia società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, ecc.), che percepiscano utili in qualsiasi forma, "un credito d'imposta pari a un terzo (successivamente aumentato con disposizioni che qui non interessano) dell'ammontare degli utili" rientranti nel loro reddito imponibile ai fini IRPEF o IRPEG; il successivo art. 2 comma 2, stabilisce che le relative detrazioni non spettano in caso di omessa indicazione degli utili nella dichiarazione dei redditi (Corte Cost., 2 febbraio 1988, n. 130), evidenziando che la determinazione del quantum del tributo ben può essere connessa con l'osservanza di alcuni oneri, purché non irragionevolmente gravosi, da parte del contribuente, quale, la veridica indicazione di utili percepiti, rendendosi così manifestamente infondato il riferimento all'art. 53 Cost..

4. Le spese del giudizio vanno compensate integralmente tra le parti per la novità e complessità della questione trattata, peraltro risolta sul rilievo d'ufficio della inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta dal contribuente.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Compensa per intero tra le parti le spese del giudizio di legittimità.