Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 luglio 2016, n. 14346

Pensione di reversibilità - Inps - Requisito della vivenza a carico - Prova

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell'art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio.

2. Gli attuali ricorrenti hanno agito per il riconoscimento dei ratei di pensione di reversibilità asseritamente spettanti al genitore, C. T., quale figlio maggiorenne inabile vivente a carico del padre C. T. (nonno degli attuali ricorrenti, deceduto nel 1995).

3. L’INPS, costituendosi in giudizio, aveva eccepito l’insussistenza del requisito della vivenza a carico.

4. II primo giudice rigettava la domanda, sul presupposto del difetto di prova della vivenza a carico; la sentenza, gravata dagli attuali ricorrenti, veniva confermata dalla Corte d’appello di Lecce.

5. La Corte territoriale ha ritenuto non provata l’effettiva vivenza di C. T. a carico di C. T., per essersi i ricorrenti limitari a produrre in giudizio lo stato di famiglia del genitore (C. T.) e il suo stato di invalido civile con percezione dell’indennità di accompagnamento.

6. In particolare, poi, ha rimarcato la Corte territoriale che, dalla situazione di famiglia del predetto C. T., datata maggio 2009, il nucleo risultava composto da moglie e quattro figli, compreso T., senza alcuna annotazione circa lo stato di convivenza che, peraltro, sarebbe stato in contrasto con la situazione di famiglia del predetto C. T., datata febbraio 2010, attestante la residenza in luogo diverso dalla residenza del genitore e, peraltro, alla morte del predetto genitore, coniugato, con tre figli).

7. Avverso tale sentenza i ricorrenti, in epigrafe indicati, hanno proposto ricorso, affidato ad un articolato motivo.

8. L’INPS ha resistito con controricorso.

9. Si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 13 r.d.l. 636/1939, conv. in L. 1272/1939 e successive modifiche, per avere la Corte escluso l’effettiva vivenza a carico.

10. Il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato.

11. Secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, in caso di morte del pensionato, il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, ove maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi, laddove il requisito della "vivenza a carico", se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza ne‘ con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 5008/1994; 15440/2004; 11689/2005; 3678 del 2013).

12. Più in particolare, Cass. n. 2630 del 2008 ha affermato che: «La nozione di vivenza a carico è definita dal D.P.R 30 giugno 1965, n. 1124, art. 106 (T.U.) nei seguenti termini: "Agli effetti dell’art. 85, la vivenza a carico è provata quando risulti che gli ascendenti si trovino senza mezzi di sussistenza autonomi sufficienti ed al mantenimento dì essi concorreva in modo efficiente il defunto"; i due presupposti sono entrambi necessari e come due facce dello stesso fenomeno (Cass. 25 agosto 2006 n. 18520); il livello quantitativo di sussistenza del richiedente non è determinato né per legge, ne con direttive amministrative, né attraverso la giurisprudenza di legittimità; sul piano nomo filattico che le compete questa Corte può semplicemente dire che l’espressione "mezzi di sussistenza" con cui il d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 106, definisce lo stato di vivenza a carico richiama l’analoga espressione "mezzi necessari per vivere" di cui all’art. 38, primo comma, Cost., e non i "mezzi adeguati di vita del lavoratore", di cui al secondo comma" (così Cass. 2630/2008).

13. La determinazione, in concreto, della sufficienza dei mezzi di sussistenza è tipico giudizio di fatto demandato al giudice del merito, il quale può valutare tale sufficienza in relazione al costo della vita, al potere di acquisto della moneta e agli altri standards sociali del luogo in cui la vicenda si svolge.

14. Va anche ribadito che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di morte del titolare di pensione di invalidità, la pensione di reversibilità spetta al coniuge e ai figli minorenni, mentre ai figli superstiti maggiorenni spetta soltanto se essi siano riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di quest’ultimo; l’inabilità al lavoro rappresenta, pertanto, un presupposto del diritto alla pensione di reversibilità del figlio maggio renne e, quindi, un elemento costitutivo dell’azione diretta ad ottenerne il riconoscimento, con la conseguenza che la sussistenza di esso deve essere accertata anche d’ufficio dal giudice (tanto che a nulla rileva che l’istituto previdenziale non abbia tempestivamente eccepito la carenza del suddetto presupposto (v., Cass. 1367/98 e (Cass. 2204/81).

15. E’ stato altresì precisato che il requisito della inabilità, prescritto ai fini della sussistenza del diritto alla pensione di reversibilità o indiretta in favore del figlio ultradiciottenne vivente a carico del genitore, pensionato o assicurato, al momento del decesso di quest’ultimo, deve esistere con riferimento a tale momento perché possa ritenersi integrata la fattispecie costitutiva del diritto stesso, restando lo stato di inabilità irrilevante ove insorga successivamente a quel momento, attesa l'inapplicabilità dell’art. 149 disp. att. c.p.c., riguardante soltanto la pensione diretta di invalidità (v. Cass. 15440/2004).

16. La sentenza impugnata si è sostanzialmente conformata a tali principi, dal che discende l’infondatezza dell’unico mezzo d’impugnazione devoluto in questa sede di legittimità, per violazione di norme di diritto, senza svolgere ulteriori mezzi di gravame incentrati sull’eventuale e tempestiva introduzione, nelle sedi di merito, di elementi idonei e decisivi volti a dimostrare, al momento del decesso dell’ascendente, nel 1995, il mantenimento del dante causa degli attuali ricorrenti pur avendo all’epoca, l’aspirante al beneficio, un proprio nucleo familiare.

17. In definitiva il ricorso deve essere rigettato.

18. Le spese di lite seguono la soccombenza non sussistendo le condizioni previste dall’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, per l’esonero dal pagamento delle spese processuali, in relazione alla necessaria indicazione, fin dall’atto introduttivo del giudizio, dell’apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante il possesso delle condizioni reddituali previste dalla norma (ex multis, Cass. 10875/2009; Cass. 17197/2010; Cass. 13367/2011; Cass. 5363/2012).

19. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore il 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del d.P.R. n. 115/2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228/2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi); essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da rigettarsi integralmente, deve provvedersi in conformità nei confronti dei ricorrenti, con esclusione della ricorrente C. A. la quale, risultando ammessa al gratuito patrocinio, non deve essere onerata del pagamento aggiuntivo collegato al rigetto integrale o alla definizione in rito dell’impugnazione (cfr., ex multis, Cass. 2023/2015; 18523/2014).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali. Ai sensi del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art 13, comma 1 quater da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, con esclusione di C. A., dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.