Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 novembre 2016, n. 22551

Licenziamento - Ammanco nel fondo cassa - Responsabile e custode delle chiavi della cassaforte - Violazione garanzie procedurali

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 4.10.2013, la Corte di Appello di Campobasso respingeva il gravame proposto dalla società E. Lazio s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale del medesimo luogo che aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato il 17.11.2010 a G.P., per un ammanco nel fondo cassa del punto vendita di cui era responsabile nonché custode delle chiavi della cassaforte.

La Corte territoriale, condividendo la ricostruzione interpretativa del giudice di primo grado, accertava la violazione delle garanzie procedurali di cui all'art. 7, commi 2 e 5, della legge 20 maggio 1970, n. 300, avendo la società irrogato il provvedimento espulsivo in data 17.11.2010 a seguito dell'invio della contestazione disciplinare in data 20.10.2010  (ricevuta dal lavoratore il 27.10.2010) e della infruttuosa richiesta di audizione da parte del lavoratore (spedita in data 3.11.2010 (ricevuta dal datore di lavoro l'11.11.2010).

Per la cassazione di tale sentenza la società propone ricorso affidato a due motivi illustrati da memoria. Il lavoratore resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. - Con il primo motivo del ricorso, ai sensi dell'art. 360 primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970, degli artt. 1334 e 1335 c.c., dell'art. 1362 c.c. in relazione agli artt. 226 e 227 del c.c.n.I. settore Commercio e 2077 e 2120 c.c. nonché omesso esame circa un fatto decisivo della controversia avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto la tempestività della richiesta di audizione spedita dal lavoratore il 3.11.2010 e ricevuta dalla società l'11.11.2010. Espone che la natura di atto unilaterale recettizio imponeva di attribuire efficacia alla suddetta richiesta solamente al momento dell'effettiva conoscenza da parte del destinatario, che, conseguentemente, doveva rinvenirsi il superamento del termine convenzionalmente attribuito dal datore di lavoro (nella lettera di contestazione disciplinare) di dieci giorni (decorrenti dalla ricezione della contestazione, ossia dal 27.10.2010), non potendosi applicare ai termini negoziali il criterio della scissione cronologica degli effetti tra mittente e destinatario di un atto; aggiunge che l'art. 227 c.c.n.I. settore Commercio, applicato dall'impresa, prevede che la comunicazione del provvedimento disciplinare deve essere effettuata, al lavoratore, entro 15 giorni dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore per presentare le sue controdeduzioni.

2. - Con il secondo motivo di ricorso, ai sensi dell'art. 360 primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione all'art. 2119, 2104 c.c., 220 e 225 c.c.n.I. settore Commercio, degli artt. 112 e 115 c.p.c. nonché omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, avendo, la Corte territoriale, ritenuti assorbiti gli altri motivi di gravame senza esaminare la gravità dell'addebito disciplinare contestato al lavoratore.

3. - Il ricorso è inammissibile.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per Cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l'omessa impugnazione di tutte le "rationes decidendi" rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand'anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre non impugnate, all'annullamento della decisione stessa (ex multis, Cass. S.U. n. 7931/2013; Cass. 18/09/2006, n. 20118; Cass. n. 4293/2016).

Nel caso in esame il motivo censura solo una delle rationes decidendi poste dalla Corte di merito a fondamento del rigetto dell'impugnazione proposta dalla società. In particolare, il motivo non investe l'affermazione contenuta nella impugnata sentenza secondo cui era contrario ai principi di buona fede e lealtà contrattuale irrogare il licenziamento a fronte della pervenuta richiesta di audizione da parte del lavoratore (pag. 4 della sentenza).

Invero, il giudice di appello non si è limitato a ritenere tempestiva la richiesta di audizione spedita dal lavoratore il 3.11.2010 (in ossequio al criterio della scissione degli effetti in capo al mittente ed al destinatario della comunicazione), ma ha anche ritenuto che il comportamento del datore di lavoro avesse integrato la violazione dei criteri di buona fede e correttezza nella misura in cui ha ignorato la manifestazione di volontà del lavoratore tesa ad ottenere un'audizione a sua difesa ed ha, valutando tardiva la richiesta, intimato la sanzione disciplinare espulsiva.

4. In conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese sono liquidate secondo il principio della soccombenza dettato dall'art. 91 c.p.c. Il ricorso è stato notificato il 4.4.2014, dunque in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: "Quando l'impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso".

Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente a pagare le spese di lite a favore del controricorrente, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.