Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI GENOVA - Ordinanza 07 gennaio 2019

Imposte e tasse - Collaborazione volontaria - Omesso rispetto dei termini di pagamento - Mancato perfezionamento della procedura con conseguente attività accertativa e sanzionatoria dell'amministrazione finanziaria. - Sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie - Cause di non punibilità - Mancata esecuzione del pagamento del tributo per fatto denunciato all'autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi

Svolgimento del processo

Nell'ottobre del 2015 B.P. presentò richiesta di accesso alla procedura di voluntary disclosure, prevista dall'art. 1 della legge n. 186/2014 per investimenti ed attività finanziarie detenuti in Svizzera dal defunto marito, chiedendo che tutti gli atti fossero notificati all'indirizzo pec del proprio consulente, incaricato di seguire la pratica.

L'Ufficio, in data 19 aprile 2016, notificò a detto indirizzo cinque atti tra i quali, per quanto qui interessa, l'atto di contestazione n. TL3CO2201187/2016 per le violazioni in materia di monitoraggio fiscale (omessa compilazione del mod. RW) relativamente agli anni dal 2009 al 2013 per l'ammontare di € 31.268,69 (ridotto ad € 25.727,87 per effetto del cumulo).

Nell'atto di contestazione vennero indicate le modalità ed i termini di pagamento di detta somma che avrebbe dovuto avvenire entro sessanta giorni dal momento della notifica e, quindi, a partire dal 19 aprile 2016, entro il 20 giugno 2016.

Da controlli effettuati l'Ufficio riscontrò che il versamento era stato effettuato in data 14 luglio 2016. Ritenuta quindi non perfezionata la procedura, notificò alla B. l'atto di contestazione n. TL3CO2200221/2017.

Presentate dalla B. deduzioni difensive l'Agenzia delle entrate, con l'atto di cui in epigrafe, le irrogò la sanzione pecuniaria di € 125.074,69 per non aver indicato nel mod. RW della dichiarazione modello UNICO la consistenza patrimoniale per gli anni di imposta interessati. A parte le notificò quattro avvisi di accertamento relativi agli anni dal 2010 al 2013 per i redditi di tali annualità non dichiarati.

Avverso l'atto sanzionatorio propose ricorso in questa sede la B. denunciandone l'illegittimità ed instando per il suo annullamento (mentre a parte provvide all'impugnazione degli avvisi di accertamento).

Dedusse che il ritardo nel pagamento era ascrivibile al comportamento omissivo del proprio consulente sul cui operato essa non aveva potuto esercitare alcun controllo non avendo avuto modo di verificare la di lui casella di posta elettronica certificata nella quale erano transitate le comunicazioni dell'A.F.. né essendo essa mai stata messa a conoscenza degli atti afferenti la procedura. 

Rilevò, poi, che il ritardo aveva integrato una violazione meramente formale non punibile ai sensi dell'art. 6 del decreto legislativo n. 472 del 1997, non avendo arrecato pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo del Fisco né inciso sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e del versamento del tributo.

Considerò inoltre che il contribuente che avesse versato in ritardo il dovuto non poteva subire un trattamento deteriore rispetto a quello la cui istanza fosse stata ritenuta inammissibile e/o improcedibile. Il secondo - rilevò - avrebbe potuto accedere alla riedizione della voluntary disclosure in base alla circolare 12 giugno 2018, n. 19/E beneficiando del relativo trattamento premiale: mentre il primo se la sarebbe vista precludere in violazione dei principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). 

Ancora, obiettò che l'Ufficio aveva nel marzo 2016 trasmesso al proprio consulente una richiesta di documentazione unitamente ad un fac-simile da compilare per ricevere gli atti attinenti la voluntary disclosure a mezzo pec. Detto fac-simile - considerò - era stato successivamente mutato nel format per effetto del provvedimento direttoriale in data 13 aprile 2016; onde avrebbe dovuto essere partecipato al professionista nella nuova veste in omaggio al principio di collaborazione tra contribuenti e Fisco e del legittimo affidamento. Al contrario - lamentò - l'A.F. aveva interrotto con questi ogni interlocuzione tradendone l'affidamento di ricevere il nuovo modello per rinnovare suo tramite la richiesta.

Contestò, poi, la violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni inflitte. Ove il procedimento si fosse perfezionato - osservò - essa avrebbe dovuto pagare la somma di € 25.727,87 a titolo di sanzioni; laddove un ritardo di appena 24 giorni era stato sanzionato con la ben maggior somma di € 125.074.69. 

Lamentò che le era stata addebitata l'omessa compilazione del quadro RW anche in relazione all'anno 2009, in violazione del principio per il quale la contestazione degli illeciti tributari poteva avvenire entro il termine dei rispettivi accertamenti (31 dicembre del quinto anno successivo). Poiché per principio giurisprudenziale il termine di decadenza per l'irrogazione della sanzione doveva essere individuato nel termine previsto per il tributo dovuto, l'annualità relativa al 2009 avrebbe dovuto essere esclusa da ogni provvedimento sanzionatorio.

Eccepì ancora l'omessa  applicazione del cumulo giuridico pluriennale per le violazioni concernenti le infedeltà dichiarative per gli anni dal 2010 al 2013; e l'arbitrario scomputo di quanto già versato, condizionato alla definizione dell'atto di contestazione.

L'Ufficio, nel costituirsi, contestò le opposte pretese delle quali chiese il rigetto denunciandone l'infondatezza.

Premesso che l'omesso rispetto dei termini per il pagamento aveva determinato il mancato perfezionamento della procedura di collaborazione volontaria ai sensi degli articoli 5-quater e 5-quinquies nel decreto-legge n. 167/1990, convertito in legge n. 227/1990, rilevò che lo stesso commercialista della B., nella corrispondenza intercorsa, aveva riconosciuto che gli atti a completamento della procedura gli erano stati notificati il 19 aprile 2016, ma che per un disguido a sé imputabile ne aveva preso atto solo l'11 luglio successivo; ciò che aveva determinato il pagamento tardivo avvenuto in data 14 luglio 2016.   Ed era stata la stessa B. - aggiunse - ad aver espressamente richiesto che tutti gli atti fossero notificati tramite pec al proprio consulente: onde l'Ufficio non aveva fatto altro che corrispondere a tale richiesta.

Richiamò sul punto la giurisprudenza della S.C. per la quale gli obblighi tributari non potevano considerarsi assolti con il mero affidamento da parte del contribuente delle relative incombenze ad un professionista, richiedendosi altresì un'attività di controllo e di vigilanza sulla loro effettiva esecuzione, superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del consulente, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento. 

Né valeva eccepire il carattere meramente formale del pagamento tardivo atteso che la legge sanzionava il ritardo con la perdita del  beneficio premiale e con i conseguenti atti impositivi, così come previsto dall'art. 10, comma 1, della legge n. 186/2014.

La dedotta disparità di trattamento tra contribuenti ammessi o meno ad accedere alla seconda edizione della voluntary disclosure trovava fondamento nelle disposizioni di legge che avevano così sanzionato i secondi (che non avevano pagato nei termini le somme dovute) rispetto ai primi. 

Quanto all'eccepita violazione del provvedimento direttoriale del 13 settembre 2016 precisò che nessuna norma prescriveva un invito al contribuente a rinnovare la richiesta nel rispetto della nuova modulistica. Tra l'altro - aggiunse - sarebbe stato assurdo richiedere alla B. una informazione già fornita sol perché era stato approvato un nuovo modello.

La tesi dell'affidamento del professionista sull'invio di un sollecito, poi, risultava smentita dalle stesse dichiarazioni di quest'ultimo contenute nella missiva indirizzata alla B. in data 29 maggio 2017, nella quale non si faceva cenno alcuno a detta circostanza; mentre si ammetteva che gli atti dell'Ufficio gli erano stati notificati via pec il 19 aprile 2016 e che egli «per un disguido» se ne era accorto tardivamente. 

Né vi era motivo alcuno per ulteriori contatti tra funzionari dell'Agenzia ed il consulente una volta portate a termine le notifiche degli inviti all'adesione e del primo atto di contestazione. 

Quanto alla mancanza di proporzionalità fra violazione commessa e sanzione irrogata rilevò che il procedimento era diretto alla regolarizzazione di comportamenti infedeli tenuti negli anni precedenti, caratterizzati da particolare disvalore. Gli accertamenti e l'atto di contestazione emessi a seguito del fallimento della procedura - considerò - altro non erano che atti che qualunque soggetto avrebbe subito se l'Amministrazione finanziaria avesse scoperto le violazioni emerse con la procedura.

Quanto alla sanzione, osservò che il cumulo giuridico pluriennale era stato applicato, posto che a fronte del cumulo materiale (per le violazioni di omessa compilazione del quadro RW dal 2009 al 2013) che avrebbe condotto ad un importo complessivo di € 308.734, la sanzione irrogata era stata pari ad € 125.074 (applicando gli aumenti minimi di legge alla violazione quantitativamente più grave). E di quanto già versato dalla contribuente era stato tenuto debito conto essendo stata detta somma indicata nella parte riferita alle modalità di definizione spontanea.

La B. replicò con memoria qui depositata in data 23 novembre 2018 con la quale richiamò la decisione del Garante del contribuente per la Liguria da essa adito; il quale aveva raccomandato all'Ufficio la rimodulazione delle sanzioni al fine di evitare «conseguenze eccedenti il disvalore della condotta».   Informò che nella parallela controversia concernente gli avvisi di accertamento e le conseguenti sanzioni per gli anni dal 2010 al 2013 questa CTP in diversa sezione aveva provveduto a ridurne l'importo. 

Richiamato poi l'innesco della vicenda, ribadì la carenza di ogni propria colpa, sia in eligendo (per aver scelto un consulente inaffidabile, non essendo stata dimostrata dall'A.F. un'inadeguatezza ad essa nota del professionista) che in vigilando (non potendo pretendersi che essa potesse conoscere gli atti contenuti nella pec indirizzata al consulente).

Richiamati, poi, i motivi già dedotti nel ricorso, sollecitò una lettura costituzionalmente orientata delle seguenti  disposizioni delle quali denunciò comunque l'incostituzionalità:  

a) dell'art. 1, comma 133 della legge n. 208 del 2015 sulla voluntary disclosure nella parte in cui, non prevedendo la possibilità dell'invio al contribuente di una qualche comunicazione per informarlo dell'intervenuta notifica al proprio consulente di atti impositivi a lui destinati, aveva introdotto un trattamento differenziato ed irragionevole rispetto alle notifiche a mezzo posta (art. 3 Cost.); 

b) della medesima disposizione nella parte in cui non veniva garantita al contribuente -unico destinatario per legge delle conseguenze del mancato tempestivo pagamento del dovuto - l'effettiva conoscenza degli atti a lui destinati in violazione dell'art. 3 Cost.; 

c) dell'art. 5-quinquies, comma 10 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167 per esser stata prevista una sanzione di carattere (penale) repressivo di oggettiva gravità, in violazione:  del principio di personalità della pena elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU per una violazione causata da fatto altrui (art. 27 Cost.);  del principio di presunzione di innocenza.

Chiese inoltre fosse preso atto che essa si era rimessa in termini senza oneri aggiuntivi avendo comunque effettuato il pagamento del dovuto. 

All'udienza odierna, intesi i rappresentanti delle parti, la presente vertenza è stata trattenuta in decisione e definita come da dispositivo.

 

Motivi della decisione

 

1. - Nell'ordine logico delle questioni sottoposte all'esame della Commissione priorità di esame - anche per la sua assorbenza - assume la questione della non imputabilità alla B. della sanzione inflittale per mancanza di colpa.

Pacifico e non contestato che il pagamento di quanto dovuto a titolo di voluntary disclosure era avvenuto in ritardo rispetto ai termini previsti, assume la B. che l'intempestività era addebitabile al proprio consulente cui essa si era rivolta per l'espletamento della pratica; il quale l'aveva informata in ritardo dell'atto di contestazione con il quale era stato determinato l'importo del dovuto. 

Il professionista - assume - aveva infatti trascurato di controllare con regolarità la propria casella di posta elettronica certificata ove dovevano affluire gli atti dell'Agenzia. Solo in data 11 luglio 2016 (a termine per il pagamento - 20 giugno 2016 - ormai scaduto) egli si era accorto dell'inconveniente e l'aveva informata del disguido: ond'essa aveva provveduto il 14 successivo al pagamento della somma maggiorata degli interessi. Nessuna responsabilità pertanto sarebbe ad essa attribuibile; né essa avrebbe potuto, neppure con l'ordinaria diligenza, esercitare una vigilanza sull'operato del commercialista. 

Una pretesa culpa in eligendo non appariva configurabile poiché l'inadeguatezza del professionista incaricato era stata accertata solo ex post: al pari di una pretesa culpa in vigilando, non solo esclusa dal particolare meccanismo della procedura della voluntary disclosure svoltasi mediante strumenti informatici al cui accesso essa era esclusa ma pure dal fatto che, pochi giorni dopo aver appreso della mancata comunicazione, essa si era prontamente attivata per il pagamento. La sanzione, inoltre, sarebbe manifestamente sproporzionata rispetto alla violazione commessa. Per un ritardo nel pagamento di appena 24 giorni l'Agenzia le aveva denegato il beneficio della voluntary disclosure emettendo avvisi di accertamento per le annualità interessate; e - per quanto qui interessa - le aveva inflitto una sanzione pecuniaria per la mancata compilazione dei modelli RW senza considerare che il preteso illecito non aveva arrecato alcun pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo ne aveva inciso sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo. Dal carattere meramente formale della violazione - conclude sul punto - discenderebbe la propria non punibilità ai sensi dell'art. 6 del decreto legislativo n. 462 del 1997.

2. - Il sistema della voluntary disclosure come delineato dalla disciplina ratione temporis si prefiggeva l'emersione delle attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori del territorio dello Stato mediante la possibilità per il loro detentore di avvalersi di una procedura premiale particolarmente favorevole. 

A tal fine l'interessato avrebbe dovuto:

a) indicare spontaneamente all'Amministrazione finanziaria, mediante la presentazione di apposita richiesta, tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all'estero, anche indirettamente o per interposta persona, fornendo i relativi documenti e le informazioni per la determinazione dei redditi utilizzati per costituirli o acquistarli, nonché dei redditi che derivavano dalla loro dismissione o utilizzazione a qualunque titolo, unitamente ai documenti e alle informazioni per la determinazione degli eventuali maggiori imponibili: 

b) versare le somme dovute, a seguito di uno specifico invito dell'A.F., in unica soluzione ovvero, su richiesta dell'autore della violazione, in tre rate mensili di pari importo. 

Per quanto qui interessa (art. 5-quater del decreto-legge n. 167/1990, convertito in legge n. 227/1990) «... il mancato pagamento di una delle rate comporta[va] il venir meno degli effetti della procedura».

Il concetto era ribadito nel successivo art. 5-quinquies, il quale prevedeva che «Se il contribuente destinatario non versa le somme dovute nei termini previsti dall'art. 5-quater, comma 1, lettera b), la procedura di collaborazione volontaria non si perfeziona e non si producono gli effetti di cui ai commi 1, 4, 6 e 7 del presente articolo». In tale ipotesi «... l'Agenzia delle entrate notifica ... un avviso di accertamento e un nuovo atto di contestazione con la rideterminazione della sanzione...». Pertanto anche il semplice ritardo nel versamento del dovuto, a prescindere dall'importo e dall'entità del differimento, determinavano la grave conseguenza dell'inefficacia della intera procedura, esponendo colui che se ne fosse avvalso ed avesse lealmente dichiarato le proprie disponibilità estere alla grave conseguenza di essere per ciò solo sottoposto ad accertamento fiscale; con possibili conseguenze anche penali in dipendenza dell'ammontare dell'importo dichiarato. Sostanzialmente, quindi, un versamento tardivo veniva equiparato ad un mancato pagamento; e il ritardo determinava l'integrale venir meno della procedura collaborativa.

Non può quindi condividersi il rilievo della ricorrente attinente il carattere meramente formale della violazione; dal legislatore ritenuta anzi di carattere sostanziale in quanto connessa alla impossibilità per l'agente di fruire del beneficio fiscale. 

3. - Come è noto ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo n. 472 del 1997 nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.

La causa di non punibilità prevista dall'art. 6, terzo comma, del decreto legislativo n. 472 del 1997 - invocata dalla B. - esclude l'assoggettabilità del contribuente a sanzione solo se dimostri che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all'autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi.

Richiamata l'equiparazione, ai fini della non fruibilità della procedura, del ritardo all'omesso versamento, può legittimamente dubitarsi della possibilità di applicare alla fattispecie in esame tale esimente. Essa, infatti, riguarda la violazione di norme punite con sanzioni amministrative: laddove nel caso in esame si discute sostanzialmente della disapplicazione di norme premiali, conseguente al comportamento della ricorrente, non aventi caratteristiche propriamente sanzionatorie (ma sul punto valgano le considerazioni di cui al paragrafo 5.1); e la sanzione applicata alla B. è solo una conseguenza di tale disapplicazione. 

Peraltro, anche a ritenerne l'applicabilità, occorrerebbe pur sempre che l'omissione sia dipesa da fatto del consulente costituente reato; e che la B. abbia provveduto alla relativa denuncia all'A.G.

Nella casistica esaminata dalle Corti l'ipotesi più ricorrente è quella di una truffa perpetrata ai danni di un cliente da parte di un consulente che abbia falsamente asserito di aver provveduto alla redazione ed inoltro di una dichiarazione e abbia omesso di corrispondere all'Erario quanto il cliente gli abbia consegnato a detto titolo.

Non è certo questo il caso di specie nel quale non si ravvisa alcun reato astrattamente attribuibile al consulente; il quale per mera dimenticanza - evento che può avere incidenza sul piano civilistico ma non su quello penalistico - ha omesso di informare tempestivamente la cliente dell'importo da pagare. 

Non praticabile, ad avviso del Collegio, appare poi la strada, adottata da una isolata giurisprudenza (CTP Pavia 10 luglio 2017, n. 236), dettata dall'art. 15-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 recante «Inadempimenti nei pagamenti delle somme dovute a seguito dell'attività di controllo dell'Agenzia delle entrate» (c.d. ritardi di breve durata o errori di limitata entità che non comportano l'automatica decadenza del beneficio della rateazione): con ciò ritenendo lieve un ritardo di 24 giorni (dal 23 agosto 2016 al 16 settembre 2016: casualmente lo stesso spazio temporale oggetto della presente controversia) nel pagamento dell'importo dovuto.

E' infatti evidente che tale disciplina non solo ha riguardo ad ipotesi dissimili dal caso di specie (inadempimenti nei pagamenti delle somme dovute a seguito dell'attività di controllo dell'Agenzia delle entrate: art. 15-ter cit.), ma riguarda un tardivo versamento della prima rata non superiore a sette giorni. (art. 15-ter, terzo comma, lettera b).

4. - Anche il diritto vivente esclude l'applicabilità dell'esimente, fatta eccezione per l'ipotesi penalmente apprezzabile sopra indicata. 

Si afferma infatti, con un orientamento ormai consolidato e risalente nel tempo, che il contribuente non può considerarsi esente da colpa per il solo fatto di aver delegato ad un commercialista le adempienze ai propri doveri fiscali, dovendo egli altresì allegare e dimostrare, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, di avere svolto atti diretti a controllare la loro effettiva esecuzione, prova superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento (cfr. Cassazione 5 luglio 2016. n. 13709; Cassazione 21 maggio 2010, n. 12473; Cassazione 21 maggio 2010, n. 12474; Cassazione 11 dicembre 2013, n. 27712; Cassazione 15 giugno 2011, n. 13068; Cassazione 9 giugno 2016, n. 11832; Cassazione 20 luglio 2018, n. 19422). 

Va detto che quel che viene addebitato alla ricorrente è il pagamento in ritardo del dovuto; che costituisce ai fini della voluntary disclosure un mancato pagamento. Poiché il ritardo è equiparato al mancato pagamento la B. null'altra prova liberatoria potrebbe fornire se non quella di aver denunciato per truffa il consulente; ipotesi del tutto impraticabile.

Tra l'altro nel caso di specie neppure può profilarsi un difetto di vigilanza della B. sull'operato del professionista. Le  ipotesi prese in esame dalla giurisprudenza sono infatti relative per la maggior parte alla omissione nella presentazione della dichiarazione dei redditi e nel pagamento del dovuto alla scadenza di legge: in fattispecie quindi nelle quali il cliente avrebbe potuto, conoscendo (e ovviamente non potendo non conoscere) le scadenze per la presentazione della prima e del pagamento del secondo, informarsi presso il professionista sull'avvenuto adempimento delle obbligazioni di legge.

Nel caso in esame. invece, la B. era totalmente priva di ogni riferimento temporale che potesse consentirle un qualche controllo poiché l'intera procedura non seguiva tempistiche predeterminate non essendo stato previsto normativamente in quale periodo, una volta presentata la domanda di adesione alla voluntary disclosure, l'Ufficio avrebbe notificato gli atti conseguenti. Non potendo quindi applicarsi l'esimente in parola alla B. viene attribuita sostanzialmente una responsabilità oggettiva per fatto altrui senza possibilità di fornire alcuna prova a proprio favore.

5. - Tirando le fila del discorso sin qui svolto due sono le norme di ostacolo all'accoglimento del ricorso della B.:

a) l'art. 5-quater del decreto-legge n. 167/1990, convertito in legge n. 227/1990 per il quale «il mancato pagamento di una delle rate comporta[va] il venir meno degli effetti della procedura» in correlazione con l'art. 5-quinquies per il quale il mancato versamento delle somme dovute «... nei termini previsti dall'art. 5-quater, comma 1, lettera b) ...» determina il mancato perfezionamento della procedura di collaborazione volontaria con la conseguente attività accertativa e sanzionatoria dell'A.F. In particolare detta norma imponeva all'A.F. di notificare al contribuente «... un avviso di accertamento e un nuovo atto di contestazione con la rideterminazione della sanzione entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di notificazione dell'invito di cui al predetto, e successive art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 218 del 1997 modificazioni, o a quello di redazione dell'atto di adesione o di notificazione dell'atto di contestazione»;

b) l'art. 6, terzo comma, del decreto legislativo n. 472 del 1997 cosi come interpretato dalla giurisprudenza della S.C. per il quale il contribuente non è assoggettato a sanzione solo «se dimostri che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all'autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi».

5.1 - La prima disposizione ha un carattere sanzionatorio in senso lato sia per le gravi conseguenze anche sul piano penale conseguenti al mancato perfezionamento del beneficio della voluntary disclosure e alla infruttuosa autodenuncia del contribuente, sia perché dal mancato pagamento nei termini di legge è scaturita una specifica sanzione (tributaria) inflitta alla B. equiparabile, per quanto infra, ad una sanzione penale. 

E' nota la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo la quale in diverse occasioni (decisioni 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi; 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania; 1° febbraio 2005, Ziliberberg contro Moldavia) ha affermato la natura sostanzialmente penale, ai fini dell'applicazione delle garanzie del giusto processo (art. 6 Corte europea dei diritti dell'uomo), di sanzioni pur formalmente qualificate come amministrative nell'ordinamento interno degli Stati, purché sia riscontrata la presenza di almeno uno dei criteri (cosiddetti «criteri Engel») elaborati dalla stessa giurisprudenza sovranazionale per tale riqualificazione. 

Perché una sanzione debba considerarsi sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali occorre che presenti almeno uno di questi caratteri:

a) la norma che commina la sanzione amministrativa deve rivolgersi alla generalità dei consociati e perseguire uno scopo preventivo, repressivo e punitivo, e non meramente risarcitorio; 

b) la sanzione deve comportare per l'autore dell'illecito un significativo sacrificio, anche di natura meramente economica, e non consistente nella privazione della libertà personale. 

Peraltro già codesta Corte aveva affermato che una equiparazione dei principi penalistici anche alle sanzioni amministrative avrebbe potuto desumersi «... dall'art. 25, secondo comma, Cost., il quale - data l'ampiezza della sua formulazione («Nessuno può essere punito...») - può essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la .funzione di prevenzione criminale è applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato» (cfr. Corte costituzionale 4 giugno 2010, n. 196.  punto 3.1.5 del considerato in diritto).

Detto questo, la perdita del beneficio di che trattasi e la conseguente sanzione amministrativa inflitta alla B. per la mancata presentazione del modello RW possono essere equiparate, alla luce dei suddetti criteri, ad una sanzione penale: sia perché tali disposizioni, rivolte alla generalità dei consociati, perseguono uno scopo non meramente risarcitorio ma repressivo e preventivo nei confronti del fenomeno delle disponibilità di attività di natura finanziaria costituite o detenute all'estero nonché delle violazioni del c.d. monitoraggio fiscale; sia perché la sanzione astrattamente irrogabile può raggiungere, come nel caso di specie, un importo assai rilevante.

Il riconoscimento di tale natura alla sanzione inflitta alla B. implica l'applicabilità dei principi costituzionali conseguenti: tra i quali quello di cui all'art. 27 Cost. (principio di personalità della pena). Detto principio implica il divieto della  responsabilità oggettiva, relativo a situazioni in cui gli elementi più significativi della fattispecie non siano coperti almeno dalla colpa dell'agente, mancando, quindi ogni tipo di rapporto psichico tra soggetto e fatto.

Di tale ipotesi è chiara riproduzione il caso di specie nel quale alla B. è attribuita una responsabilità sanzionata con la pena pecuniaria per esclusivo fatto del proprio commercialista sul quale essa non poteva in alcun modo incidere. 

5.2 - Le norme sono poi censurabili sotto il profilo della manifesta sproporzione sanzionatoria in violazione dell'art. 3 Cost. La Corte costituzionale ha affermato che, se è vero che la commisurazione delle sanzioni è materia affidata alla discrezionalità del legislatore, involgendo «apprezzamenti tipicamente politici», nondimeno detti apprezzamenti possono essere censurati ove essi «trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio, come avviene a fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione».

In particolare è stato affermato che il principio d'uguaglianza (sotto il profilo della ragionevolezza-eguaglianza) esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali; ed ha aggiunto che le valutazioni all'uopo necessarie rientrano nell'ambito del potere discrezionale del legislatore, il cui esercizio può essere censurato, sotto il profilo della legittimità costituzionale, soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza (cfr. le sentenze 25 maggio 1979, n. 26; 20 maggio 1980, n. 72; 27 maggio 1982, n. 103; 16 febbraio 1989, n. 49).

Pare alla Commissione che un sistema sanzionatorio che equipari un semplice ritardo nell'adempimento dei doveri tributari alla ben più grave omissione, che non moduli la sanzione né ne gradui l'entità e la misura in rapporto al ritardo, non sia conforme ai criteri di ragionevolezza, specie se correlato a fattispecie tributarie nelle quali l'omissione ed il ritardo sono correttamente tenuti distinti ed autonomamente valutati. Basti pensare tra le tante ipotesi al ritardo nella presentazione della dichiarazione dei redditi, che il legislatore ha tenuto ben distinta dalla più grave omissione.

Va richiamata sul punto la giurisprudenza costituzionale che ha chiarito, seppur con riguardo agli aspetti penali (ma applicabile, per quanto innanzi, alle sanzioni amministrativo-tributarie) il proprio sfavore per le c.d. pene fisse. E' stato infatti precisato che «in linea di principio previsioni sanzionatorie rigide non appaiono ... in armonia con il volto costituzionale del sistema penale ed il dubbio di legittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, questa ultima appaia ragionevolmente "proporzionata" rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato» (cfr. Corte costituzionale 14 aprile 1980, n. 50). 

E la perdita tout court del beneficio della voluntary disclosure per un semplice ritardo nel pagamento non può non essere considerata una pena fissa, sospettabile di incostituzionalità. 

5.3 - Sempre con riferimento al principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e al principio di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97, secondo comma, Cost.), va rilevato che il contribuente che avesse versato in ritardo il dovuto a titolo di voluntary disclosure avrebbe subito un trattamento deteriore rispetto a colui la cui istanza fosse stata ritenuta inammissibile e/o improcedibile e che quindi non avesse versato alcunché.

Va ricordato che, successivamente alla prima edizione della procedura, ne è stata formulata una seconda tramite l'art. 7 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modificazioni dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225 recante «riapertura dei termini della procedura di collaborazione volontaria e norme collegate». 

Sul punto l'Agenzia delle entrate ha dettato norme (circolare 12 giugno 2017, n. 19/E, par. 4. pagg. 9, 10 e 11) per cui i contribuenti che avessero presentato una istanza nell'ambito della prima edizione ritenuta inammissibile o improcedibile, sarebbero stati ammessi ad accedere alla seconda edizione senza subire alcuna sanzione; mentre era stato espressamente escluso (v. pag. 10) che potessero accedervi coloro nei cui confronti la precedente procedura «... non si [fosse] perfezionata per mancato pagamento di quanto dovuto».  Tale interpretazione finisce per trattare in maniera disomogenea e irrazionale fattispecie aventi diverso impatto giuridico; poiché favorire chi avesse presentato una istanza inammissibile (ad esempio dopo intervenuti accessi od ispezioni da parte dell'A.F.) o improcedibile (ad esempio senza aver allegato documentazione a sostegno) rispetto a chi avesse presentato una istanza regolare ma non avesse pagato (i.e. avesse pagato in ritardo) appare irrazionale ed irragionevole sia sotto il profilo dell'eguaglianza tributaria (art. 3 Cost.) che sotto il profilo dell'obbligo di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97, secondo comma, Cost.)   Ben maggiore appare infatti il disvalore della condotta di chi sia stato scoperto in possesso di attività finanziarie all'estero a seguito di autonoma indagine dell'A.F. rispetto a quella di chi lealmente abbia dichiarato alla A.F. le proprie attività corrispondendo in ritardo il dovuto.

5.4 - La sanzione appare poi censurabile sotto il profilo  dell'art. 53 Cost. Se è vero che da gran parte della dottrina e giurisprudenza è stata esclusa l'applicabilità di tale disposizione alle sanzioni ritenendosi il principio della capacità contributiva riferito e riferibile esclusivamente ai tributi intesi come modalità di concorso alle spese pubbliche, va tuttavia detto che tramite le sanzioni tributarie pecuniarie il legislatore persegue spesso, accanto la funzione punitiva, il concorrente obiettivo di incrementare le entrate. 

Ove dovesse verificarsi un uso distorto dello strumento sanzionatorio per cui la funzione impositiva volta ad assicurare il prelievo diventasse prioritario rispetto alla normale funzione della sanzione non sembra possa essere esclusa l'assimilazione di tale prelievo a quello propriamente fiscale con la conseguente possibilità di verificarne la compatibilità con l'art. 53 Cost.   Nel caso specifico pare alla Commissione che il legislatore, imponendo al contribuente che avesse inteso fruire del beneficio fiscale il rispetto di termini incongrui, non suscettibili di alcuna via di uscita, abbia sostanzialmente perseguito il fine di assicurare un prelievo di ricchezza da valutarsi in ragione della capacità contributiva dell'agente.

Poiché la misura della sanzione è stata determinata in maniera aritmetica senza tenere conto di tale parametro la normativa sembra contrastare con l'art. 53 Cost. 

6. - Nessuna interpretazione adeguatrice sembra possibile. Il testo della normativa surrichiamata è chiaro e non consente di attribuire altro significato costituzionalmente orientato se non quello fatto proprio dalle parole utilizzate; poiché il legislatore ha chiaramente inteso, probabilmente per blindare il meccanismo della voluntary disclosure, imporre al contribuente il rigoroso rispetto di una tempistica nel pagamento al di là di ogni logica anche fiscale che ne modulasse, eventualmente anche con aggravi pecuniari ulteriori (interessi, sovratasse e quant'altro) il ritardo.

Così dicasi per l'esimente che, così come formulata e cosi come interpretata dalla S.C., finisce per rappresentare una sorta di responsabilità oggettiva per fatto altrui, irrispettosa del principio di responsabilità personale.

7. - Pare quindi alla Commissione che le questioni prospettate siano rilevanti ai fini del decidere poiché le disposizioni normative sospettate di incostituzionalità sono l'unico ostacolo che si frappone all'accoglimento del ricorso della B. (le ulteriori censure, ove accolte, comporterebbero solo una rimodulazione della sanzione); né appaiono manifestamente infondate alla luce delle argomentazioni sopra svolte.

Si impone quindi la rimessione degli atti alla Corte costituzionale con conseguente sospensione del presente procedimento sino all'esito del giudizio di costituzionalità.

 

 P.Q.M.

 

visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione delle seguenti questioni di costituzionalità:

a) dell'art. 5-quater del decreto-legge n. 167/1990, convertito in legge n. 227/1990 nella parte in cui prevede che «il mancato pagamento di una delle rate comporta il venir meno degli effetti della procedura» per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost. in relazione agli articoli 6 e 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e articoli 3, 27, 53 e 97 Cost.;

b) dell'art. 5-quinquies del decreto-legge n. 167/1989, convertito in legge n. 227/1990, nella parte in cui prevede che se il contribuente «... non versa le somme dovute nei termini previsti dall'art. 5-quater, comma 1, lettera b), la procedura di collaborazione volontaria non si perfeziona e non si producono gli effetti di cui ai commi 1, 4, 6 e 7 del presente articolo» per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost. in relazione agli articoli 6 e 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e articoli 3, 27, 53 e 97 Cost.; 

c) dell'art. 6, terzo comma, del decreto legislativo n. 472 del 1997 come interpretato dalla giurisprudenza della S.C. per il quale il contribuente non è assoggettato a sanzione solo «se dimostri che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all'autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi» per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost. in relazione agli articoli 6 e 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e articoli 3, 27 Cost.; 

Sospende il giudizio in corso;

Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 22 maggio 2019, n. 21.