Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 maggio 2017, n. 13397

Rapporto di lavoro - Contratto a tempo determianto - Nullità - Clausola di contingentamento - Osservanza - Mancata dimostrazione

 

Rilevato

 

che con sentenza 5 marzo 2010, la Corte d'appello di Roma dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da P.I. s.p.a. con M.E. per il periodo 1 febbraio - 31 marzo 2001, per mancata dimostrazione del rispetto della clausola di contingentamento stabilita a norma degli artt. 23 I. 56/1987 e 25, p.to 3 CCNL 11 gennaio 2001 e la conversione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dalla prima data, condannando la società datrice al pagamento, in favore della lavoratrice a titolo risarcitorio in misura pari alle retribuzioni mensili di € 1.366,95 dal 21 febbraio 2006, oltre rivalutazione e interessi: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato le domande della lavoratrice, sul presupposto della risoluzione del rapporto per mutuo consenso; che avverso tale sentenza P.I. s.p.a. ha proposto ricorso con sette motivi, mentre la lavoratrice intimata non ha svolto difese;

che l'udienza originariamente fissata per il 17 marzo 2016 (in vista della quale la ricorrente aveva depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.) è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle sezioni unite di questa Corte sulle ordinanze di rimessione nn. 14340/15 e 15705/15; che è stata depositata memoria dalla società ricorrente;

 

Considerato

 

che la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 434, primo comma, 342 e 346 c.p.c., per inammissibilità dell'appello in difetto di specificità dei motivi (primo motivo); omessa e contraddittoria motivazione sulla mancanza di ulteriori allegazioni, rispetto all'inerzia della lavoratrice, a giustificazione della risoluzione del rapporto per mutuo consenso, nonostante le prove offerte e non ammesse (secondo motivo); contraddittoria motivazione sull'anomalia non chiarita di durata dell'inerzia della lavoratrice (oltre sei anni prima dell'offerta della propria prestazione, tenuto conto del tempo di due anni atteso dalla richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione per il deposito del ricorso) e sulla sua insufficienza, nonostante la deduzione di ulteriori elementi presuntivi (terzo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, primo comma, 2697 c.c., 24 Cost., per integrazione dal comportamento concludente della lavoratrice del suo disinteresse alla prosecuzione del rapporto, da intendersi risolto per mutuo consenso (quarto motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 416, 112 c.p.c., 25 CCNL 11 gennaio 2001 e 2697 c.c., per vizio di ultrapetizione sulla mancanza di prova del rispetto della clausola di contingentamento, contestata solo genericamente dalla lavoratrice in primo grado (quinto motivo); omessa motivazione sul fatto controverso e decisivo della mancata ammissione delle prove documentali offerte, eventualmente integrabili dai poteri officiosi giudiziali (sesto motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 25 CCNL 25 gennaio 2001, 2697 c.c., per inversione dell'onere della prova del rispetto della clausola di contingentamento, a carico della lavoratrice e non della società datrice (settimo motivo);

che ritiene il collegio che tutti i motivi debbano essere rigettati, salvo l'accoglimento della richiesta, nelle conclusioni, di applicazione dell'art. 32, quinto comma l. 183/2001, quale ius superveniens; che, infatti, il primo motivo, al di là dell'erronea deduzione del vizio quale error in iudicando anziché in procedendo, per la pertinenza della carenza di specificità dei motivi di appello a un difetto di attività del giudice o delle parti, ossia proprio ad un fatto processuale, sul quale il giudizio verte e del quale la Corte di cassazione deve necessariamente poter prendere cognizione (Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077), è inammissibile perché non consente al giudice di legittimità l'esercizio del potere di diretto esame della specificità dei motivi di appello (Cass. 28 novembre 2014, n. 25308; Cass. 10 settembre 2012, n. 15071; Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. 15 gennaio 2009, n. 806; da ultimo, in linea generale: Cass. 21 aprile 2016, n. 8069), per la violazione (per omessa trascrizione della sentenza di primo grado e dell'atto di appello) del principio di autosufficienza del ricorso, di prescrizione a norma dell'art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c. dell'indicazione specifica nel ricorso anche degli atti processuali su cui si fonda, individuati nella loro sequenza procedimentale e della trascrizione nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza (Cass. 16 marzo 2012, n. 4220; Cass. 23 marzo 2010, n. 6937);

che il secondo, il terzo e il quarto, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati, per inidoneità del solo decorso del tempo, in assenza di circostanze significative di una chiara e certa comune volontà delle parti contraenti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (Cass. 28 gennaio 2014, n. 1780; Cass. 1 luglio 2015, n. 13535; Cass. 22 dicembre 2015, n. 25844), neppure rilevando il semplice reperimento di altra occupazione, che, rispondendo ad esigenze di sostentamento quotidiano, non indica la volontà del lavoratore di rinunciare ai propri diritti verso il precedente datore di lavoro (Cass. 9 ottobre 2014, n. 21310; Cass. 11 febbraio 2016, n. 2732);

che si tratta comunque di valutazione del significato e della portata del complesso di elementi di fatto di competenza del giudice di merito (Cass. 13 febbraio 2015, n. 2906) le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistano vizi logici o errori di diritto (Cass. 4 agosto 2011, n. 16932 con affermazione del principio ai sensi dell'art. 306 bis, n. 1 c.p.c.): assenti nel caso di specie anche in riferimento ai denunciati vizi motivi, per il conciso ma adeguato conto (senza omissioni né contraddizioni) dato della negativa valutazione di "ogni diversa allegazione", reputata appunto mancante, "di altre condotte ... concludenti nel senso di una implicita volontà solutoria" (quarto capoverso di pg. 2 della sentenza), sull'illustrato parametro esigente allegazioni e prove aventi ad oggetto "condotte volontarie individuali, anche omissive" di "solare evidenza" per "la concreta individuazione di una implicita volontà solutoria comune alle parti" (primo capoverso, seconda parte di pg. 2 della sentenza); che il quinto motivo è inammissibile, per inconfigurabilità del vizio di ultrapetizione denunciato, avendo la Corte pronunciato su motivo di appello e pertanto in corrispondenza di specifica devoluzione (dal quarto capoverso di pg. 4 al primo di pg. 5 della sentenza), ridondante nella genericità del motivo, sotto il profilo di inidonea confutazione delle argomentazioni ivi svolte dalla Corte capitolina, in violazione della prescrizione di specificità dell'art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c. (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202); che la sua denuncia è pure non pertinente, posto che in realtà censura (non già un'omessa pronuncia, ma) una cattiva applicazione del principio di non contestazione, che peraltro esige una rigorosa delimitazione, qui del tutto carente, della materia controversa, con una chiara evidenziazione degli elementi in contestazione, comportante per la parte onerata di allegare e provare i fatti anzitutto la specificazione delle relative circostanze in modo dettagliato ed analitico, così che l'altra abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse (Cass. 15 ottobre 2014, n. 21847): e doglianza non soltanto ritualmente deducibile come violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ma neppure ammissibile, sotto il profilo della sua vera ragione nella critica sostanziale di un apprezzamento di fatto del giudice di merito e non di un principio di diritto (arg. ex Cass. 11 gennaio 2007, n. 324);

che il sesto è infondato, per la chiara e argomentata risposta della Corte territoriale sull'inidoneità probatoria della deduzione tanto di prove orali, quanto documentali, con argomentazione puntuale (al primo periodo di pg. 5 della sentenza), neppure specificamente confutata; che l'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio, in quanto rimesso, involgendo un giudizio di opportunità, ad un apprezzamento meramente discrezionale del giudice di merito, è insindacabile in sede di legittimità, avendo la sentenza offerto adeguata spiegazione del rigetto dei mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione (Cass. 25 maggio 2010, n. 12717; Cass. 22 luglio 2009, n. 17102);

che anche il settimo motivo è infondato, per la posizione, in tema di clausola di contingentamento dei contratti di lavoro a termine ai sensi dell'art. 23 I. 56/1987, dell'onere della prova dell'osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine previsto dalla contrattazione collettiva a carico del datore di lavoro, sul quale incombe la dimostrazione, in base all'art. 3 I. 230/1962, dell'oggettiva esistenza delle condizioni che giustificano l'apposizione di un termine al contratto di lavoro (Cass. 10 marzo 2015, n. 4764; Cass. 26 gennaio 2015, n. 1351; Cass. 28 giugno 2011, n. 14284);

che invece è fondata la richiesta di applicazione dell'art. 32, quinto comma I. 183/2001, quale ius superveniens, ben applicabile per insussistenza della preclusione del giudicato, avendo la ricorrente proposto l'impugnazione nei confronti della parte principale della sentenza (relativa alla pronuncia di nullità del contratto a termine), necessariamente comportante, per la sua composizione di più parti tra loro connesse in un rapporto di dipendenza, nel caso di eventuale accoglimento dell'impugnazione nei confronti della parte principale, anche la caducazione della parte dipendente (di risarcimento del danno per l'accertata nullità), pur in assenza di una sua impugnazione specifica (Cass. s.u. 27 ottobre 2016, n. 21691);

che pertanto il ricorso deve essere accolto in relazione all'applicazione dello ius superveniens, con rigetto di tutti i motivi e la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al suddetto accoglimento e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l'indennità spettante all'odierna parte contro ricorrente ai sensi dell'art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (per tutte: Cass. 10 luglio 2015, n. 14461), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (per tutte: Cass. 17 febbraio 2016, n. 3062);

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso limitatamente all'applicazione dell'art. 32 I. 183/2010, rigettato, rigettato nel resto; cassa la sentenza, in relazione a detta applicazione e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.