Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 dicembre 2016, n. 25363

INPDAP - Qualifica dirigenziale - Indennità di buonuscita e del trattamento pensionistico

 

Svolgimento del processo

 

1. Il Tribunale di Pescara aveva respinto la domanda, proposta nei confronti dell'Inpdap da L.S., volta al riconoscimento del diritto al trattamento proprio della qualifica dirigenziale e alla rideterminazione dell'indennità di buonuscita e del trattamento pensionistico e, in via subordinata, del diritto alla riliquidazione dell'indennità di buonuscita e del trattamento pensionistico con inclusione, nella base di computo, dell'indennità di funzioni reggenti e dell'indennità incentivante ex art. 18 della legge n. 88 del 1989.

2. La Corte di appello di appello di l'Aquila, adita dal L., ha confermato detta sentenza.

3. La Corte territoriale ha rilevato che risultava incontestato che nel periodo non coperto da prescrizione (dal 2001 al 2005) il L., inquadrato nella ex IX qualifica funzionale, proveniente dai "ruoli ad esaurimento" a causa della carenza di dirigenti nell'organico dell' INPDAP, era stato addetto inizialmente alla sede di Rimini, successivamente alla Direzione Centrale del Consiglio di Amministrazione Organi Collegiali ed Affari Generali e, infine, alla casa albergo "L.P." con delega all'esercizio delle funzioni dirigenziali.

4. Ha ritenuto che l'erogata indennità di reggenza aveva remunerato, in maniera sufficiente e proporzionata, le superiori mansioni svolte.

5. Ha, inoltre, ritenuto, che l'art. 13 della legge n. 70 del 1975 e gli artt. 33 e 36 del CCNL del 1994/1997 e l'art. 40 del CCNL 1998/2001 avevano previsto che nel computo dell'indennità di fine rapporto doveva tenersi conto dello stipendio in godimento, la cui nozione, diversa da quella ominicomprensiva della retribuzione, era definita dal trattamento economico contemplato dalla contrattazione collettiva vigente nel periodo di riferimento e non avevano previsto alcuna equiparazione dell'indennità di funzioni reggenti o l'indennità incentivante al trattamento stipendiale.

6. Avverso tale sentenza il L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, al quale ha resistito con controricorso l'INPDAP.

7. Il Collegio ha autorizzato la motivazione in forma semplificata.

 

Motivi della decisione

 

8. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 38, 36 del CCNL 6.7.95 per il personale del comparto degli Enti Pubblici non economici, in relazione agli artt. 15 e 18 della legge n. 88 del 1989, agli artt. 60 e 61 del DPR n. 748 del 1972, all' art. 25 c. 4 lett. D. del D.lgs. 29 del 1993, all' art. 20 del DPR 85 del 1987 n. 266 all'annesso J al DPR n. 285 del 1988.

9. Sostiene che l'indennità prevista dall'art. 25 c. 4 del D. Lgs 29 del 1993 è correlata all'esercizio delle funzioni vicarie del dirigente e delle funzioni di direzione di uffici di particolare rilevanza non riservati al dirigente e non vale a remunerare le funzioni dirigenziali svolte in via stabile e prolungata. Deduce che la fattispecie dedotta in giudizio era estranea all' ipotesi di precaria e temporanea sostituzione del dirigente, in quanto le funzioni dirigenziali erano state esercitate per molti anni. Invoca le pronunce di questa Corte Cass. 9130 del 2007 e 20899/2007.

10. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 33 e 36 CCNL del 6.7.1995 per il personale del comparto degli enti pubblici non economici e dell'art. 40 CCNL del 16.2.1999 per il personale del comparto degli enti pubblici non economici in relazione all'art. 13 della legge n. 70 del 1975.

11. Deduce l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto la domanda proposta in via subordinata volta all'accertamento del diritto alla computabilità ai fini dell'indennità di buonuscita anche delle indennità incentivanti corrispostegli.

Il primo motivo di ricorso è fondato

12. Il Collegio ritiene di dare continuità ai principi più volte espressi da questa Corte secondo cui le disposizioni che consentono la reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare devono essere interpretate, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 c.c.e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), nel senso che l'ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità, con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura, cosicché, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell'ufficio concreta svolgimento di mansioni superiori con conseguente diritto del lavoratore a percepire le differenze retributive tra il trattamento economico percepito e quello proprio delle superiori mansioni (cfr. Cass.SSUU 3814/2011 e 4963/2011; Cass. 18680/2015, 16889/2015, 7823/2013, 2534/2009; 22932/2008; 9130/2007).

13. La Corte territoriale non si è attenuta a questi principi perchè, pur avendo accertato che le mansioni dirigenziali erano state svolte dal L. con continuità per numerosi anni e in un contesto di carenza di dirigenti titolari nelle sedi periferiche, ha, nondimeno, escluso il diritto del lavoratore a percepire il trattamento economico proprio delle superiori mansioni dirigenziali esercitate sol perchè era stata erogata l'indennità di reggenza.

14. Il secondo motivo va rigettato.

15. Le questioni oggetto del motivo in esame sono già state scrutinate dalle SS.UU di questa Corte che, con riguardo a fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella in esame, nelle sentenze nn. 7154 e 7158 del 2010, con riguardo al trattamento di fine servizio dei dipendenti degli enti pubblici non economici previsto dalla L. 20 marzo 1975, n. 70, hanno affermato che "in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, l’art. 13 I. 20 marzo 1975 n. 70, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 c.c.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un'indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all'autonomia regolamentare dei singoli enti solo l'eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio; il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari. Detti principi sono stati ribaditi nelle sentenze di questa Corte nn. 11478/2011 e 6768/2016 ed anche nella sentenza a Sezioni Unite n. 10413/2014.

16. Il rispetto degli obblighi di sintesi e concisione di cui agli artt. 132 n. 4 c.p.c.e 118 disp. att. c.p.c., nella lettura imposta dalla disposizione contenuta nell'art. 111 Cost. sulla durata ragionevole del processo, di cui la redazione della motivazione costituisce segmento processuale e temporale (Cass. SSUU 642/2015; Cass., 11985/2016 11508/2016, 13708/2015), esimono il Collegio dalla ripetizione delle argomentazioni motivazionali spese nelle sentenze tutte innanzi richiamate e consentono il rinvio "per relationem" a dette argomentazioni.

17. Sulla scorta delle considerazioni svolte, in accoglimento del primo motivo di ricorso, rigettato il secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata nella parte in cui ha escluso il diritto del lavoratore a percepire il trattamento economico proprio delle superiori mansioni dirigenziali esercitate

18. Il giudizio va rinviato alla Corte di Appello di Ancona che farà applicazione del principio di diritto enunciato al p. 12 di questa sentenza e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo nei sensi di cui in motivazione. Rigetta il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Ancona, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.