Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 luglio 2016, n. 14288

Tributi - Accertamento - Studi di settore - Attività commerciale di ristorazione - Comportamento antieconomico del contribuente - Differenza tra i coperti dichiarati nell'anno e quelli reali - Elementi presuntivi di ricavi non dichiarati - Determinazione induttiva del reddito

 

Svolgimento del processo

 

La CTR di Roma, con sentenza 26 febbraio 2010, in accoglimento del gravame dell'Agenzia delle Entrate avverso l'impugnata sentenza, ha rigettato il ricorso di P.N., titolare di un'attività commerciale di ristorazione, avverso l'avviso di accertamento n. 88001020084 9, con cui l'Ufficio aveva rettificato il suo reddito imponibile, per l'anno d'imposta 2003, da € 22.433,00 a € 51.360,00, a seguito di una verifica fiscale che aveva rilevato anomalie e incongruenze tra i valori dichiarati e quelli emersi in base alle caratteristiche dell'attività svolta, che giustificavano la ricostruzione indiretta del reddito, a norma dell'art. 39, comma 1, DPR n. 600/1973. La CTR ha rilevato l'esistenza di un comportamento non razionale e antieconomico del contribuente, il quale aveva effettuato prelevamenti rilevanti dal conto corrente intestato alla ditta, senza che risultassero fatture in contropartita, allo scopo di occultare corrispettivi in nero; ha ritenuto coerente l'accertamento di una differenza tra i coperti dichiarati nell'anno (n. 2112) e quelli reali (n. 3717), sulla base delle ricevute e fatture e delle dichiarazioni delle parti; quindi, ha proceduto alla ricostruzione indiretta dei ricavi e dell'importo evaso, tenendo conto dell'importo di € 7.596,00, costituente oggetto di versamento spontaneo da parte del contribuente, come attestato dall'Ufficio.

Avverso questa sentenza il P. ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, cui si oppone l'Agenzia delle Entrate.

 

Motivi della decisione

 

Il primo motivo denuncia omessa pronuncia (violazione dell'art. 112 c.p.c.) in ordine al mancato riconoscimento della riduzione del reddito imponibile, già ammessa dall'Ufficio, per l'importo di € 7.596, 00, per il quale il contribuente si era adeguato agli studi di settore.

Il motivo è inammissibile, poiché non coglie la ratio decidendi, avendo la sentenza impugnata tenuto conto dell'importo versato dal contribuente, riducendo l'entità dell'accertamento.

Nel secondo motivo, il ricorrente denuncia omessa e insufficiente motivazione, con riguardo alla fondatezza delle presunzioni utilizzate per sostenere il giudizio di antieconomicità espresso dall'Ufficio, ai finì dell'applicazione del procedimento dì cui all'art. 39, comma 1, lett. d), dPR n. 600/1973, non avendo il giudice di merito tenuto conto delle deduzioni difensive con le quali, a giustificazione dei redditi dichiarati, aveva evidenziato che si trattava di un'impresa familiare svolta all'interno di una struttura associativa sportiva, la cui attività non era assimilabile a un normale pubblico esercizio di ristorazione e non era redditizia, come dimostrato dal fatto che dopo pochi anni l'aveva cessata.

Il motivo è inammissibile, a norma dell'art. 360 bis n. 1 c.p.c., avendo la sentenza impugnata deciso la causa in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte. Infatti, i parametri o studi di settore previsti dall'art. 3, commi da 181 a 187, legge 28 dicembre 1995, n. 549, rappresentando la risultante dell'estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell'Ufficio dell'accertamento analitico-induttivo, ex art. 39, primo comma, lett. D. del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l'onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all'ente impositore fa carico la dimostrazione dell'applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (v. Cass. n. 3415/2015). A questo principio la sentenza impugnata si è attenuta, avendo ritenuto che, essendovi una inversione dell'onere della prova, nel caso concreto il contribuente non aveva dimostrato la inapplicabilità degli studi di settori: è una valutazione di fatto incensurabile in questa sede. Inoltre, il ricorrente, nel criticare l'esito della valutazione probatoria, svolta dai giudici di merito, pretende una rivalutazione del giudizio di fatto che non può essere compiuta da questa Corte in sede di legittimità.

Infine, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 39, comma 1, dPR n. 600/1973, sotto il profilo dell'inapplicabilità della normativa in tema di accertamento induttivo del reddito: è un motivo solo abbozzato ma non sviluppato, mancando qualsiasi indicazione delle ragioni in fatto e diritto della censura. Esso è quindi inammissibile.

Il ricorso è inammissibile. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 3.000,00, oltre SPAD.