Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 23 maggio 2018, n. 12692

Tributi - Imposte sui redditi - Redditi d’impresa - Accertamento costi per operazioni soggettivamente inesistenti - Deducibilità - Condizioni

Rilevato che

 

- C.C., esercente l'attività di commercio di autoveicoli (titolare della D.C.), impugnava l'avviso di accertamento per l'anno d'imposta 2003 ai fini Iva, Irpef ed Irap, emesso dall'Agenzia delle entrate in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti, contestando costi indeducibili di euro 843.416,52 e l'indebita detrazione, ai fini Iva, di euro 168.683,42, nonché per l'indebita detrazione di costi per spese di carburante per euro 2.422,50, con irrogazione di sanzioni;

- l'impugnazione, accolta in primo grado, era respinta dal giudice d'appello;

- il contribuente ricorre per cassazione, con dodici articolati motivi, cui resiste l'Agenzia delle Entrate con controricorso;

 

Considerato che

 

- il primo motivo (con rubrica II.1.) denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992 per aver la CTR consentito la produzione di nuovi atti e documenti in appello;

- il motivo è infondato: nel processo tributario l'art. 58, d.lgs. n. 546 del 1992, consente la produzione nel giudizio di appello di qualsiasi documento; né è pertinente la dedotta lesione dell'art. 57 sia perché il ricorrente non precisa in alcun modo quale sia la "nuova domanda", sia perché, come afferma la CTR, gli ulteriori dati prodotti si riferivano alle "tesi che ... legittimavano l'accertamento" e, dunque, all'originaria pretesa;

- il secondo motivo (II.2.) denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 14, comma 4-bis, I. n. 537 del 1993, il terzo (II.3.) ed il quarto (II.4.) lamentano omessa motivazione, il quinto (II.5.) motivazione contraddittoria: il contribuente si duole che la CTR non abbia tenuto conto, ai fini della deducibilità dei costi per le imposte dirette, dell'intervenuta sentenza penale definitiva di assoluzione per insussistenza del fatto;

- il sesto motivo (III.1.) denuncia vizio di insufficiente motivazione: il contribuente lamenta che il giudice d'appello abbia fondato il ragionamento presuntivo su argomenti insufficienti e su elementi indiziari inconsistenti alla luce della valutazione operata dal giudice penale;

- il settimo motivo (III.2.) denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c.: non spetta al contribuente provare la regolarità delle operazione poste in essere con i soggetti "cartiera" ma, al contrario, incombe sull'Amministrazione provare il coinvolgimento del contribuente nella frode carosello;

- l'ottavo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., omessa motivazione sulle eccezioni sollevate dal contribuente e, in particolare, (IV.1.1.) di illegittimità del ricorso all'accertamento parziale ex artt. 41 bis, d.P.R. n. 600 del 1973 e 54, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972 nonché di nullità per vizio di motivazione dell'atto di accertamento, (IV.1.2.) della deducibilità dei costi, (IV.1.3) dell'illegittimità della contestazione per omessa regolarizzazione di acquisti intraconnunitari con riferimento alle operazioni soggettivamente inesistenti;

- il nono motivo (IV.2.) denuncia contraddittoria motivazione per aver ritenuto l'accertamento parziale legittimo valutandolo come accertamento analitico;

- il decimo motivo (V.1.) denuncia, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., omessa motivazione, l'undicesimo (V.2.) denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997: il contribuente si duole, in sostanza, della mancata applicazione dell'istituto della continuazione tra le sanzioni irrogate con distinti atti di accertamento;

- il dodicesimo motivo (VI.) denuncia insufficiente motivazione in ordine al mancato riconoscimento della deducibilità dei costi per carburanti;

- vanno esaminati per primi i motivi settimo e sesto in rapporto di pregiudizialità logica rispetto alle altre doglianze perché riferiti alla configurabilità della contestata frode;

- i motivi, da esaminare unitariamente in quanto logicamente connessi, sono, anche a non considerare l'inammissibilità del sesto motivo per la totale astrattezza del momento di sintesi, infondati;

- la tematica della detraibilità dell'Iva (e così pure per le imposte dirette, per le quali, peraltro, rilevano anche altre indicazioni), nel caso di fatturazione per operazioni inesistenti (oggettivamente o soggettivamente) o per operazioni comunque iscritte in un meccanismo negoziale attuato allo scopo di frodare il fisco (comunemente dette "frodi carosello"), è stata oggetto di numerose decisioni di questa Corte, che hanno investito - alla luce di ripetuti interventi della Corte di Giustizia - che cosa deve essere provato e come è ripartito l'onere della prova tra fisco e contribuente (tra le tante v. Cass. n. 20059 del 2014, Rv. 632476, Cass. 24426 del 2013, Rv. 629419, Cass. 23074 del 2012, Rv. 625037);

- va premesso, innanzitutto, che una regolare fattura, conforme ai requisiti di forma e contenuto richiesti dalla vigente disciplina (e, in ispecie, dall'art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972), fa presumere la verità di quanto in essa rappresentato, sicché costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell'IVA, spettando all'Ufficio, di fronte alla sua esibizione, provare il difetto delle condizioni per la detrazione;

- nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, peraltro, l'operazione è effettiva ed esistente ma la fattura è stata emessa da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente è stato realmente destinatario): ne deriva che l’IVA non è, in linea di principio, detraibile perché versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all'obbligo di pagamento dell'imposta;

- in altri termini, non entrano nel conteggio del dare ed avere ai fini IVA le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture riguardano operazioni, per quanto lo riguarda, inesistenti, senza che rilevi che le stesse fatture costituiscano la "copertura" di prestazioni acquisite da altri soggetti (v. Cass. 20060 del 2015, Rv. 636663): ai sensi dell'articolo 168, lett. a), della direttiva 2006/112, del resto, per poter beneficiare del diritto a detrazione, occorre, da un lato, che l'interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva e, dall'altro, che i beni o servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e che, a monte, detti beni o servizi siano forniti da un altro soggetto passivo;

- in una simile ipotesi è configurabile, anche in applicazione della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, una esigenza di tutela della buona fede del contribuente, fermo restando, in ogni caso, che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell'Unione, sicché un soggetto passivo che sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un'operazione che si iscriveva in un'evasione dell'IVA dev'essere considerato, ai fini della direttiva 2006/112, partecipante a tale evasione, indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall'utilizzo dei servizi nell'ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle;

- nella ripartizione dell'onere della prova occorre considerare che il diniego del diritto a detrazione segna un'eccezione all'applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce: incombe, quindi, sull'amministrazione tributaria provare, sia pure anche solo in base a presunzioni, gli elementi oggettivi che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l'emissione della relativa fattura, evaso l'imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente (Corte di Giustizia, in C- 285/11, Bonik; Corte di Giustizia, in C-277/14, Ppuh, par. 50);

- una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente, senza che, dunque, ne derivi una astratta e predeterminata inversione dell'onere della prova (Corte di Giustizia, in C-6/16, Eqiom);

- nel caso di specie, la decisione impugnata si è attenuta ai principi sopra enunciati, individuando - sulla base degli elementi tratti dal pvc, il quale, per i fatti in esso descritti, costituisce atto assistito da fede privilegiata - il punto nodale sia per qualificare le operazioni poste in essere come soggettivamente inesistenti sia per ritenere comprovata la conoscenza o conoscibilità, da parte del contribuente, con l'uso dell'ordinaria diligenza, della sostanziale inesistenza dei propri contraenti;

- da un lato, infatti, ha evidenziato che «la D.C. procedeva alla quasi totalità degli acquisti di automobili da società (nel biennio 2003-04 ben dodici) che risultavano prive di organizzazione commerciale, senza dipendenti, senza libri contabili e inadempienti all'obbligo di pagamento dell'Iva; alcune di esse risultavano sconosciute ... presso la indicata sede sociale»;

- dall'altro, poi, «le operazioni di rivendita erano effettuate aumentando il prezzo di acquisto di margini irrisori (mediamente nella misura dello 0,045%) a volte per prezzi inferiori a quelli indicati nelle fatture d'acquisto ...»;

- inoltre «la maggior parte dei pagamenti alle società importatrici risulta eseguito dalla D.C. in contanti, senza regolare pieno riscontro nella contabilità o nei documenti bancari, mancando a volte la prova dell'effettiva corresponsione del saldo», mentre, per contro, «le fatture d'acquisto ricevute dalla D.C. erano, pur emesse da soggetti diversi, graficamente identiche», e vi era integrale «assenza di alcun documento di trasporto a comprova dell'avvenuta consegna delle autovetture»;

- la stessa D.C., del resto, «operava in assenza di qualsiasi struttura commerciale»;

- giova sottolineare, sul punto, che la valutazione della CTR, dopo aver considerato la specificità dei singoli elementi, è stata complessiva ed unitaria, né palesa insufficienze o incongruità poiché pone in evidenza che i fatti accertati - ossia, la complessità delle operazioni, la pluralità dei soggetti con caratteristiche di "cartiera" coinvolti in rapporti commerciali diretti con il contribuente, gli artifici realizzati con l'indicazione di un valore imponibile delle merci fatturate di poco superiore al prezzo indicato nelle fatture d'acquisto ricevute dai fornitori comunitari ed un rincaro mediamente irrisorio (con una sostanziale immissione sul mercato di un rilevante flusso di beni sottocosto), nonché con l'unicità delle modalità, anche grafiche, della fatturazione (idonea ad attestare il carattere fittizio delle società e, dunque, che il contribuente fosse a conoscenza o addirittura partecipe degli accordi illegali) - «contribuiscono nel loro insieme a costituire un adeguato substrato ... alla inesistenza soggettiva delle operazioni» e a ritenere fondate la pretesa fiscale;

- le censure del contribuente, per contro, si appuntano sui singoli elementi considerati dalla CTR - e neppure su tutti - con argomentazioni suggestive (quali l'individuazione di un ricarico, per una singola operazione, del 2,61%, percentuale comunque obbiettivamente irrisoria), irrilevanti o ipotetiche (l'effettività delle operazioni compiute, circostanza non controversa venendo in rilievo operazioni soggettivamente inesistenti; identità del software per le fatture identiche, che riguarderebbero solo alcuni fornitori; l'autonomia della propria organizzazione aziendale), senza tuttavia incidere sul complesso delle circostanze che, dunque, trova sostanziale conferma anche nelle deduzioni del ricorrente;

- è ben vero che la CTR non ha specificamente precisato gli elementi da cui derivare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad una operazione fraudolenta, ma tale indicazione è chiaramente desumibile dall'insieme delle circostanze valutate singolarmente ed unitariamente dal giudice d'appello, restando la censura sul punto carente di decisività;

- del resto, la CTR ha esplicitamente e congruamente considerato le contestazioni del contribuente che «non presenta ricostruzioni fattuali, elementi o documenti che si pongano in valida contestazione dei dati raccolti dall'ufficio e ciò in particolare per le numerose difformità contabili rilevate, per la carente ed irregolare documentazione dei vari pagamenti e delle modalità della loro effettuazione, nonché sui rapporti commerciali tenuti con le numerose società, per numerose delle quali è stata accertata la inesistenza o la totale inadempienza agli obblighi fiscali»;

- nessuna contraddizione sussiste poi tra il rilievo dell'ordinario pagamento in contanti e l'irrilevanza della regolarità formale delle fatture emesse, tipicamente presenti nelle operazioni fittizie come quella in giudizio ed inidonee a fornire prova della regolarità delle operazioni;

- quanto all'invocata statuizione del giudice penale, introdotta nel giudizio di cassazione inammissibilmente in quanto intesa ad un riesame del merito, carente anche per autosufficienza per l'omessa trascrizione del provvedimento (se non per limitati e sparsi frammenti, restando comunque inammissibile la relativa integrale produzione ex art. 372 c.p.c.: v. Cass. n. 22376 del 26/09/2017), va comunque ribadito il principio secondo il quale "nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l'accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l'imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario" (Cass. n. 16262 del 28/06/2017);

- passando agli altri motivi del ricorso, i motivi da 2 a 5, nonché il profilo rubricato IV.1.2. dell'ottavo, da esaminare unitariamente in quanto riferiti alla medesima questione, sono fondati;

- orbene, in tema di imposte sui redditi - esclusa in ogni caso l'applicabilità del disposto all'Iva - è stato precisato che, in forza dell'art. 14, comma 4-bis, I. n. 537 del 1993, l'acquirente dei beni (o delle prestazioni di servizi) può dedurre i costi relativi alle sole operazioni soggettivamente inesistenti (non utilizzati direttamente per commettere il reato), anche per l'ipotesi in cui sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass. n. 24426 del 2013; Cass. n. 26461 del 2014; Cass. n. 25249 del 2016), la cui prova incombe, secondo i criteri ordinari, sul contribuente;

- quanto ai restanti profili lamentati con l'ottavo mezzo, la cui valutazione può essere unitaria in quanto strettamente connessi, le doglianze sono inammissibili;

- infatti, di tali questioni - per le quali si deduce omessa motivazione e, dunque, una violazione dell'art. 132 c.p.c., che integra un error in procedendo, che deve essere fatto valere ai sensi del n. 4 e non, come formulato dal ricorrente, del n. 5, dell'art. 360, primo comma, c.p.c. - non vi è traccia nella sentenza impugnata, sicché le doglianze sono inammissibili perché sostanzialmente nuove non avendo il ricorrente neppure riprodotto le censure fatte valere nei precedenti gradi di giudizio, né, comunque, l'avviso di accertamento (se non per limitati e sparsi frammenti) di cui si lamenta, tra l'altro, il vizio di  motivazione;

- il nono motivo è parimenti inammissibile, oltre che per il carattere sostanzialmente nuovo della censura per le medesime ragioni sopra esposte, per carenza di autosufficienza attesa l'omessa integrale riproduzione dell'avviso di accertamento e ciò, tanto più, a fronte dell'univoca affermazione del giudice d'appello che riconduce l'accertamento all'art. 39, d.P.R. n. 600 del 1973 e all'art. 54, d.P.R. n. 633 del 1972;

- il decimo e l'undicesimo mezzo sono inammissibili, traducendosi le doglianze, in realtà, in una omessa pronuncia, che deve essere censurata ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell'art. 112 c.p.c. e non del n. 5 o del n. 3, senza che, anche in questo caso, sia stata, in difetto di autosufficienza, riprodotta la censura fatta valere davanti al giudice d'appello e, in precedenza, introdotta nel giudizio di primo grado;

- il dodicesimo motivo è infondato;

- la CTR, infatti, ha ritenuto non deducibili i costi per il carburante "in assenza della richiesta documentazione", locuzione che include necessariamente anche l'ipotesi in cui la documentazione, in quanto irregolare, sia inidonea a fondare il diritto a deduzione;

 - lo stesso ricorrente, peraltro, evidenzia, riprendendo la contestazione dell'Agenzia, che le schede carburanti "erano prive dei dati identificativi dell'automezzo ... quali la targa, il modello e il numero di telaio", elementi la cui mancanza osta, per costante giurisprudenza, al riconoscimento dell'agevolazione (Cass. n. 21769 del 09/11/2005; in generale per la necessità della compiuta e completa compilazione v. Cass. n. 6606 del 15/03/2013; Cass. n. 24409 del 30/11/2016);

- in relazione ai motivi accolti, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione;

 

P.Q.M.

 

Accoglie i motivi da due a cinque, nonché il profilo sub IV.1.2. dell'ottavo; rigetta il sesto, il settimo e il dodicesimo; dichiara inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata, nei limiti dei motivi accolti, e rinvia, anche per le spese, alla CTR dell'Emilia Romagna in diversa composizione.