Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 23 maggio 2018, n. 12782

Credito di imposta - Accertamento - Riscossione - Cartella di pagamento - Indebita compensazione

 

Esposizione dei fatti di causa

 

1. La società T. srl, in persona del l.r., impugnava la cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36 bis D.P.R. 600/73 del M.U. SC 2006 per l'anno di imposta 2005, in esito al quale veniva rilevata l'indebita compensazione di un credito di imposta pari ad euro 13.576,00 in quanto non indicato nel quadro R.U. della dichiarazione, come previsto a pena di decadenza, sostenendone l'illegittimità per insufficiente motivazione e l'infondatezza in quanto la dichiarazione era stata integrata e corretta in data 23.09.2008.

L'Ufficio contestava la tempestività dell'integrazione della dichiarazione che poteva essere effettuata, a suo dire, solo nel termine di presentazione della stessa.

La C.T.P. di Perugia accoglieva il ricorso della parte con sentenza impugnata dall'Agenzia delle Entrate.

La C.T.R. confermava la sentenza di primo grado sul rilievo che solo le dichiarazioni integrative presentate a favore del contribuente per correggere o rettificare errori o omissioni che abbiano determinato un maggior reddito o un maggiore debito o un minor credito di imposta possono essere presentate entro il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno di imposta, mentre le altre possono essere emendate entro il termine di decadenza di quattro anni previsto per l'azione di accertamento.

Avverso la sentenza n. 29/01/2011, depositata il 14.02.2011, non notificata, l'Ufficio ricorre per cassazione affidato a due motivi.

Il contribuente resiste con controricorso e ricorso incidentale.

L'Agenzia delle Entrate ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c. in cui ha fatto menzione della sentenza n. 2/17 della Corte dei conti che ha accertato che la documentazione, prodotta dalla contribuente, attestante i requisiti per beneficiare dell'agevolazione era falsa e inattendibile.

 

Esposizione delle ragioni di diritto

 

2. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 L. 449/97 e dell'art. 6 Decreto Interministeriale n. 257/98, dell'art. 2 commi 8 e 8 bis DPR 322/98 in relazione all'art. 360 n. 3, censurando la sentenza impugnata per aver disatteso il disposto dell'art. 6 D.I. cit. laddove prevede che il credito di imposta è indicato a pena di decadenza nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso e per aver ritenuto che la rettifica operata dalla società non fosse da considerare in suo favore, sebbene avesse proceduto alla correzione della omissione che aveva determinato un minor credito di imposta.

3. Con il secondo motivo, lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. si censura la pronuncia impugnata per aver ritenuto che l'ufficio aveva ammesso la possibilità di emendare l'errore con una dichiarazione integrativa, travisando i fatti processuali, in quanto in realtà aveva affermato la possibilità di integrare la dichiarazione entro il termine di cui all'art. 2 comma 8 bis DPR 322/98 e comunque prima della contestazione della violazione.

4. Con ricorso incidentale, la società contribuente deduce violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell'art. 6 L. 2000/212 relativo all'obbligo dell'amministrazione finanziaria di comunicare al ricorrente le circostanze dalla quali deriva il mancato riconoscimento di crediti di imposta.

5. Con il secondo motivo incidentale, lamenta insufficienza della motivazione su di un punto decisivo della controversia circa la violazione da parte dell'agenzia delle Entrate della disposizione di cui all'art. 6 comma 2 art. 5 della L. 212/2000 in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., in quanto la cartella doveva essere dichiarata nulla per l'omessa contestazione prodromica della violazione.

6. Il ricorso incidentale è infondato.

In tema di imposte sui redditi, lo strumento della liquidazione automatica d’ imposta previsto all'art. 6 bis del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, può essere utilizzato quando l'anomalia, l'errore o l'omissione riguardi dati contabili riportati dalle dichiarazioni presentate dal contribuente, a nulla rilevando che queste ultime non abbiano formato oggetto di contestazione da parte dell'erario.

Inoltre, allorché l'amministrazione finanziaria riscontri nella dichiarazione dei redditi un mero errore materiale o di calcolo emergente "ictu oculi", e provveda di conseguenza a notificare al contribuente una cartella di pagamento in esito alla procedura di controllo automatizzato, ai sensi dell' art. 36 - bis, comma secondo, lett. a), del d.P.R. n. 600 del 1973, essa non è tenuta ad alcuna particolare motivazione di tale provvedimento, onere necessario soltanto quando la contestazione dell'erario si fondi su interpretazioni giuridiche od elaborazioni della documentazione allegata dal contribuente.

Sulla scorta del consolidato principio ora esposto, la diretta iscrizione a ruolo della maggiore imposta ai sensi degli articoli 36 bis DPR 600/73 e 54 bis DPR. 633/72 è ammissibile quando il dovuto sia determinato mediante un controllo della dichiarazione meramente cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente, o di una mera correzione di errori materiali o di calcolo (Cass. nn. 14070 del 2011, 12762 del 2006), in quanto non implica, appunto, verifiche e valutazioni giuridiche (Cass. n. 9224/2011; Cass. n. 5318/12; Cass. n. 8140/2012; n. 20431/2014; n. 15311/2014; Cass. n. 11292/2016).

Da tali principi, risulta con evidenza l'infondatezza del ricorso incidentale proposto dall'ente contribuente.

Peraltro, il secondo motivo del ricorso incidentale, prima che infondato risulta inammissibile, atteso che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di fatti decisivi della controversia e non dunque nell'ipotesi di lamentata difformità rispetto alla prospettata interpretazione giuridica delle norme (Cass. n. 6288/2011; n. 24148/2013).

7. Il primo motivo del ricorso è fondato e va accolto, assorbiti gli altri motivi. L'art. 5 legge n. 449 del 1997, al fine di potenziare l'attività di ricerca, ha accordato alle piccole e medie imprese un credito d'imposta a partire dal periodo in corso al 1 gennaio 1998, per ogni nuova assunzione a tempo pieno, anche con contratto a tempo determinato, di soggetti titolari di dottorato di ricerca o di altro titolo di formazione post-laurea, ovvero di laureati con esperienza nel settore della ricerca (comma 1, lett. a); o per ogni nuovo contratto per attività di ricerca commissionata ad università, consorzi e centri interuniversitari, altri enti e fondazioni private ivi indicati (comma 1, lett. b)

La stessa norma ha demandato alla successiva decretazione ministeriale il compito di stabilire le modalità attuative, di controllo e regolazione contabile dei crediti stessi (comma 7). Tale disciplina è stata dettata col d.m. 22 luglio 1998, n. 275, il quale, all'art. 6, ha stabilito che: a) «il credito di imposta è indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso» (comma 1).

Nel descritto contesto normativo la dichiarazione richiesta al contribuente non risulta assimilabile ad una dichiarazione di scienza attraverso cui far valere un credito originato delle ordinarie poste fiscali riportate nelle dichiarazioni, ma integra un atto negoziale diretto a manifestare la volontà di avvalersi del beneficio fiscale in ragione dell'affermazione della rispondenza dell'attività svolta alle finalità perseguite dal legislatore (tant'è che alla dichiarazione va allegata la relativa documentazione).

8. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che «sebbene le denunce dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza, e possano quindi essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno, quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall'erario, la dichiarazione assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile, anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall'amministrazione» (Cass. n. 7294 del 11/05/2012; Cass. n. 1427 del 22/01/2013; Cass. 22673 del 2014 Cass. n. 10239 del 26/04/2017; cass. n. 883 del 2016).

In particolare, questa Corte ha avuto modo di affermare che il credito fiscale previsto dalla normativa sopra indicata rileva unicamente ai fini della compensazione con i debiti tributari (in quanto non autonomamente rimborsabile) e il beneficiario, alla stregua del riportato primo comma dell'art. 6, D.M. 22 luglio 1998, n. 275, decade dalla suddetta possibilità di fruizione ove non indichi il credito nella dichiarazione relativa al periodo di imposta di concessione del beneficio.

È stato precisato che trattasi di decadenza contemplata dalla disciplina speciale dell'istituto, per cui risulta incongruo invocare il principio della generale e illimitata emendabilità della dichiarazione fiscale, in quanto l'emendabilità, finanche con atti rilevanti in sede processuale, non consente di superare il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze all'atto del definitivo riconoscimento del principio anzidetto (così come affermato dalle sezioni unite con sentenza Sezioni unite con sentenza n. 13378 del 2016).

9.Si è dunque condivisibilmente rilevato nella giurisprudenza di questa Corte che «il credito fiscale de quo non deriva dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo, ma da un beneficio appositamente accordato a fronte di precise scelte politiche, finalizzate a incentivare un determinato settore: in un contesto di tal genere il legislatore è libero di orientare la propria scelta stabilendo altresì le condizioni per la fruizione del beneficio medesimo, in rapporto alla correlata ratio di definire entro un tempo egualmente determinato l'onere finanziario inerente, altrimenti suscettibile di rimanere sospeso a tempo indefinito» (Cass. 14/11/2012, n. 19868; Cass. 24/10/2014, n. 22673; Cass. 19/01/2016, n. 883; Cass. 13/01/2016, n. 389; Cass. 26/04/2017, n. 10239).

Non può condividersi pertanto il principio in senso contrario affermato da Cass. 21/12/2016, n. 26550, secondo cui «in tema di incentivi fiscali per la ricerca scientifica, il credito d'imposta concesso dall'art. 5 legge n. 449 del 1997 può essere opposto dal contribuente in sede giudiziaria anche qualora egli sia incorso nella decadenza di cui all'art. 6 d.m. n. 275 del 1998 per non aver indicato il credito nella pertinente dichiarazione dei redditi o in una tempestiva dichiarazione integrativa, sempre che in giudizio i requisiti sostanziali del credito d'imposta siano provati dal contribuente o incontestati dal fisco», principio bensì riferito alla emenda in sede contenziosa, ma tuttavia fondato su premesse che, se condivise, non potrebbero che condurre a riconoscere l'ininfluenza della maturata decadenza rispetto al diritto al credito di imposta.

La premessa da cui origina la pronuncia contraria si fonda sul principio recentemente enunciato dalle Sezioni Unite in tema di emenda delle dichiarazioni fiscali (Cass. Sez. U n. 13378 del 2016, cit.) e sulla ritenuta natura formale della decadenza comminata dall'art. 6 d.m. n. 275 del 1998, la quale non sarebbe afferente agli elementi costitutivi del diritto sostanziale, come fissati dall'art. 5 legge n. 449 del 1997, integrando una decadenza meramente amministrativa.

10. In realtà, l'arresto delle S.U. precisa che il principio di generale emendabilità delle dichiarazioni dei redditi deve considerare la specificità delle discipline ed il loro diverso campo di applicazione e muove dalla considerazione della dichiarazione dei redditi come «atto non negoziale e non dispositivo, recante una mera esternazione di scienza e di giudizio» (S.U. n. 13378 del 2016) e non è pertanto invocabile nel diverso campo delle dichiarazioni aventi contenuto e valore negoziale, in relazione alle quali eventuali errori della volontà espressa dal contribuente assumono rilevanza soltanto ove sussistano i requisiti di essenzialità e riconoscibilità ex art. 1428 cod. civ. (norma che trova applicazione, ai sensi dell'art. 1324 cod. civ., anche agli atti negoziali unilaterali diretti ad un destinatario determinato: cfr. Cass. 11/05/2012, n. 7294; Cass. 01/10/1993, n. 9777).

In tale prospettiva va indubbiamente letta anche la già menzionata precisazione contenuta nell'esaminato arresto delle Sezioni unite del 2016 secondo la quale «il principio della generale e illimitata emendabilità della dichiarazione fiscale incontra il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze, come nell'ipotesi prevista nei d.m. 22 luglio 1998 n. 275, il quale, all'art. 6, stabilisce che il credito di imposta è indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso (Cass. n. 19868 del 2012)».

Tale precisazione - in quanto espressamente riferita all'ipotesi del credito d'imposta per l'incentivo alla ricerca scientifica - non può intendersi limitata al campo dell'accertamento, dovendosi invece escludere (citando all'uopo Cass. 2012/19868) espressamente l'invocabilità del principio di generale emendabilità per la dichiarazione di che trattasi, anche in sede contenziosa.

In conclusione, il credito d'imposta concesso, al fine di incentivare il commercio, dall'art. 11 della Legge 27 dicembre 1997, n. 449, deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione relativa al periodo d'imposta nel corso del quale il beneficio è accordato. Poiché esso è riconosciuto a titolo di agevolazione fiscale, l'indicazione ha valore di atto negoziale, integrando una dichiarazione di volontà e non di scienza, con la conseguenza che la decadenza prevista in caso di omessa tempestiva indicazione è connaturata alla struttura e alla ratio dell'istituto e determina l'irretrattabilità della dichiarazione, alla quale, pertanto è inapplicabile il principio della generale emendabilità delle dichiarazioni fiscali.

11. Tornando dunque al caso in esame, pacifico essendo che il contribuente abbia omesso l'indicazione del credito in parola nella dichiarazione relativa all'anno d'imposta cui lo stesso si riferisce e dovendosi in parte qua la dichiarazione ritenere espressione dell'autonomia negoziale, erroneamente i giudici di merito hanno ammesso l'irrilevanza dell'omissione e l'emendabilità, a favore del contribuente, attraverso dichiarazione integrativa, la quale, come per l'appunto precisato dalla citata sentenza delle Sez. U n. 13378 del 2016, par. 23, avrebbe dovuto considerarsi priva di effetto quand'anche fosse stata presentata nel termine previsto dal comma 8-bis dell'art. 2 d.P.R. n. 322 del 1998 (Cass. n. 610/2018; Cass. n. 30172/2017; Cass. n. 21242/2017; Cass. n. 10239/2017; Cass. n. 26550 del 2016; Cass. n. 18180/2015; Cass. n. 22673/2014).

12. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente.

Sussistono i presupposti per la compensazione delle spese del giudizio di merito, tenuto conto dell'esito finale del giudizio.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

- Accoglie il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'originario ricorso del contribuente;

rigetta il ricorso proposto in via incidentale dal controricorrente;

- condanna parte resistente alla refusione delle spese del giudizio di legittimità sostenute dall'Agenzia che liquida in euro 2.900,00, oltre spese prenotate a debito.