Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 gennaio 2017, n. 1749

Ministero degli Esteri - Competenza pratiche di visto - Licenziamento - Ripetuta e grave negligenza di inosservanza dei doveri di ufficio

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la domanda proposta da K.A. nei confronti del Ministero degli Esteri, volto alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato in data 12.4.2011 ed alla pronuncia dei provvedimenti reintegratori, economici e reali.

2. La Corte territoriale, per quanto ancora oggi rileva, ha ritenuto provata la condotta addebitata (avere ricevuto in relazione a cinque pratiche di visto, domande al di fuori della lista ordinaria degli appuntamenti, non avere verificato con la dovuta diligenza la documentazione allegata a corredo della domanda, avere garantito la personale conoscenza ed il rientro in patria, per tal via condizionando l'operato del back office competente al rilascio del visto), la sua sussumibilità entro la fattispecie, prevista dagli artt. 164 e 166 del D.P.R. n. 18 del 1967, della "ripetuta e grave negligenza di inosservanza dei doveri di ufficio"; ha qualificato detta condotta di gravità tale da legittimare il recesso, avuto riguardo alla delicatezza dei compiti affidati al lavoratore nella materia particolarmente "sensibile" dell' immigrazione dalla Tunisia all'Italia, compiti richiedenti massima attenzione per fronteggiare il notorio fenomeno dell'immigrazione clandestina.

3. Avverso detta sentenza K.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a 12 motivi, al quale il Ministero degli Affari Esteri ha resistito con controricorso, depositato oltre il termine di cui all’art. 370 c. 1 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Sintesi dei motivi

4. Con il primo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 113 c.p.c., in relazione agli artt. 164 e 166 del D.P.R. n. 18 del 1967, degli artt. 1362 e 1365 c.c. in relazione agli artt. XIV (sanzioni disciplinari) e XV (risoluzione del contratto) del contratto di impiego di esso ricorrente, per avere la Corte territoriale formulato il giudizio di gravità alla luce delle disposizioni contenute negli artt. 164 e 166 del DPR n. 18 del 1967 nel testo non più applicabile ratione temporis, senza tenere conto delle modifiche apportate dal D. Lgs. n. 103 del 2000.

5. Sostiene che le nuove disposizioni consentono il licenziamento nelle sole ipotesi di condotte estremamente gravi connotate dall'elemento del dolo.

6. Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 5 della L. n. 604 del 1966 e 2119 c.c., in relazione all'art. 2697 c. 1 e 2 c.c., e dell'art. 416 c.p.c. (secondo motivo), nullità della sentenza e del procedimento in relazione all'art. 116 c.p.c. (terzo motivo), nullità della sentenza e del procedimento in relazione all'art. 437 c.p.c. (quarto motivo).

7. Assume che la Corte territoriale avrebbe fondato la sua decisione omettendo di esaminare la documentazione relativa alle pratiche dei visti oggetto di contestazione, che il Ministero non aveva prodotto in giudizio (secondo e terzo motivo), e senza acquisirla in via officiosa (quarto motivo).

8. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 166 D.P.R. n. 18 del 1967 e violazione dell'art. XV del contratto individuale di lavoro, in relazione agli artt. 43 c.p. e 1218, 1225 e 2013 c.c., per avere la Corte territoriale ricondotto il dolo alla mera consapevolezza della condotta, prescindendo dall'elemento della intenzionalità e per avere trascurato la valutazione del suo curriculum professionale e delle note di encomio, l'assenza di provvedimento disciplinari, l'esame delle linee guida per il rilascio dei visti. Lamenta, inoltre, la mancata considerazione della avvenuta archiviazione del procedimento penale che aveva avuto ad oggetto i medesimi fatti oggetto degli addebiti disciplinari, e delle testimonianze scritte dal Capo Ufficio visti D.S. e dai funzionari J. e M..

9. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c. 1 c.p.c., in relazione agli artt. 2727, 2728, 2729 c.c., lamentando che la Corte territoriale avrebbe fatto ricorso, quanto al dolo, alla prova presuntiva, in assenza dei requisiti della gravità, precisione e concordanza.

10. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 164 e 166 del D.P.R. n. 18/1967, per avere la Corte territoriale ritenuto legittima la sanzione espulsiva, a fronte della disposizione contenuta nell'art. 164 c. 2 D.P.R n. 18 del 1967 che commina la sanzione conservativa della riduzione della retribuzione in misura non superiore ad un quinto e per non più di sei mesi nei casi di ripetuta o più grave negligenza, di inosservanza dei doveri di ufficio.

11. Con l'ottavo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza per contraddittorietà ovvero per violazione dell'art. 113 c.p.c., per avere la Corte territoriale affermato la dolosità della condotta posta a base del licenziamento, pur avendola riferita alla grave negligenza e alla inosservanza dei doveri di ufficio.

12. Con il nono motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 5 della L. n. 604 del 1966 e 2119 c.c., in relazione all'art. 2729 c.c., lamentando che la Corte territoriale avrebbe addossato ad esso ricorrente l'onere di provare il mancato rientro in Tunisia di quattro dei cinque soggetti che avevano presentato domanda per il visto.

13. Con il decimo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1375 e 1366 c.c. in relazione all'art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale posto a carico di esso ricorrente l'onere di attivarsi per il reperimento della documentazione delle persone che avevano ottenuto il visto.

14. Con l'undicesimo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 5 della L. n. 604 del 1966 e 2119 c.c., in relazione al 1° ed al 2° comma dell'art. 2697 c.c. ed all'art. 115 c.p.c., dolendosi del fatto che la Corte territoriale avrebbe ritenuto provati i fatti dedotti dal datore nonostante l'assenza di prova e avrebbe ritenuto non provati i fatti dedotti da esso lavoratore.

15. Con il dodicesimo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo già discusso tra le parti in relazione agli artt. 5 L. n. 604 del 1966 e 2119 c.c. ed alla mancanza di documenti comprovanti l'asserito illegittimo comportamento di esso ricorrente

Esame dei motivi

16. Il primo, il settimo e l'ottavo motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono infondati nella parte in cui denunciano vizio di violazione di legge.

17. L' applicazione del vecchio testo degli artt. 164 e 166 del D.P.R. n. 18 del 1967, in luogo di quello modificato dall'art. 1 c. 1 del D. Lgs. n. 103 del 2000, dedotta come erronea, nel primo motivo, è priva di rilievo in quanto la valutazione della condotta del ricorrente formulata nella sentenza impugnata si attaglia pienamente alla disposizione contenuta nell'art. 166 lett. d) nuovo testo, che punisce con il licenziamento senza preavviso la "commissione in genere di atti o fatti dolosi di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro".

18. Va, al riguardo, rilevato che la Corte territoriale ha fondato il giudizio di gravità della condotta addebitata sulla circostanza che, con riferimento a cinque pratiche, l'odierno ricorrente: ne aveva consapevolmente (in tal senso doveva essere inteso il riferimento alla "dolosità degli atti contenuto nella contestazione disciplinare) consentito la loro ammissione, in violazione delle modalità prescritte dalla normativa interna; non aveva effettuato i controlli della documentazione, a fronte della presenza di dati anomali ed incongruenti evincibili dai documenti stessi; aveva dato seguito alle pratiche senza segnalare le anomalie al back-office; aveva garantito la personale conoscenza dei richiedenti il visto ed addirittura il rientro in patria.

19. La tenuta della sentenza resiste anche alle censure formulate nel settimo e nell'ottavo motivo, posto che la Corte territoriale ha qualificato come particolarmente grave, e tale da legittimare l'applicazione della sanzione risolutiva, la condotta compendiatasi nella ripetuta e grave negligenza e nell'inosservanza dei doveri di ufficio, valutando sia la consapevolezza della condotta (intenzionalità) sia la delicatezza dei compiti affidati all'odierno ricorrente nel settore, particolarmente delicato, della immigrazione dalla Tunisia all'Italia e al particolare impegno richiesto nell'espletamento di siffatti compiti in ragione della necessità di ostacolare il fenomeno dell'immigrazione clandestina. Vanno richiamate le considerazioni svolte nel punto 17 di questa sentenza.

20. Sono inammissibili nella parte in cui (ottavo motivo) addebitano alla sentenza vizi motivazionali. La sentenza impugnata è stata pubblicata il 19.11.2014, trova, dunque applicazione, il nuovo testo dell'art. 360, secondo comma, n. 5, c.p.c., come sostituito dall'art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, nella nozione datane dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053 del 2014.

21. Il secondo il terzo ed il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono infondati in quanto non risulta che il ricorrente in sede di appello si sia doluto del fatto che il Ministero non avesse prodotto i documenti relativi alle pratiche dei visti e nemmeno che abbia sollecitato, nel corso dei giudizi di merito, l'esercizio di poteri istruttori officiosi, sul rilievo della indispensabilità della acquisizione di detti documenti.

22. Il quinto ed il sesto motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.

23. Le argomentazioni spese da corredo dei motivi in esame non consentono di cogliere appieno il senso delle censure che, pur prospettando violazione di norme di legge, non mettono in discussione la correttezza del giudizio valoriale di gravità formulato dalla Corte territoriale. Esse, piuttosto, sembrano mirare alla rivalutazione degli elementi probatori utilizzati dalla Corte territoriale per ricostruire l'elemento soggettivo della condotta addebitata disciplinarmente, attraverso la implicita, ed inammissibile (punto 20 di questa sentenza), denuncia di omesso esame di circostanze di fatto (valutazione del curriculum professionale, note di encomio, l'assenza di provvedimento disciplinari, l'esame delle linee guida per il rilascio dei visti, archiviazione del procedimento penale, testimonianze "scritte"), circostanze queste che rilevano nell'ambito del giudizio di gravità della condotta disciplinare ma non ai fini della ricostruzione dell' elemento della intenzionalità.

24. Il nono, il decimo. I' undicesimo ed il dodicesimo motivo sono infondati atteso che la Corte territoriale non ha assolutamente invertito l'onere della prova ma ha accertato che l'Ambasciata aveva fornito la prova del mancato ritorno in patria di alcuni richiedenti il visto e che, a fronte di detta prova, l'odierno ricorrente non aveva fornito elementi probatori di segno opposto. Né la Corte territoriale ha posto a carico del ricorrente l'onere di allegare la documentazione concernente i fatti contestati in sede disciplinare.

25. Il dodicesimo motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia violazione dell'art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. (punto 20 di questa sentenza).

26. Non occorre pronunciare sulle spese del presente giudizio avuto riguardo alla tardività del controricorso ed alla mancata partecipazione del Ministero alla odierna udienza di discussione.

27. Ai sensi dell'art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Nulla per le spese.

Ai sensi dell'art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso , a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.