Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 marzo 2019, n. 11757

Imposte indirette - IVA - Omessa presentazione - Amministratore di fatto e di diritto - Prestanome - Reati tributari

 

Ritenuto in fatto

 

1. V.F. propone ricorso avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Terni pronunciata, a seguito di annullamento con rinvio, in data 20.11.2018 che ha rigettato il riesame avverso il decreto di sequestro preventivo del GIP effettuato il 1.02.2018 relativo a beni mobili/immobili nella disponibilità del prevenuto, nella qualità di amministratore di fatto di E.S. s.r.l., fino alla concorrenza di € 1.206.708,00, nonchè sui conti correnti intestati alla società, in quanto indagato (in concorso con altri) del reato di cui all'art. 5 D.Ivo 74 del 2000 e art. 81cpv cod.pen., in relazione all'omessa presentazione della dichiarazione Iva per gli anni di imposta 2015 e 2016, con un'evasione superiore a 50.000,00, pari a euro 189.898,00 per il 2015 e 1.152.598,00 per il 2016.

1.2 Va premesso che la Corte di Cassazione Sez. 3 con la sentenza n.4104/2018 aveva rigettato il ricorso presentato da G.A., legale rappresentante della E.S. s.r.I., quale terzo interessato, che aveva assunto la carica dal 15.12.2017, dopo la commissione del reato; aveva invece annullato l'ordinanza del Tribunale del riesame del 14.03.2018 con riferimento alla posizione di V. amministratore di fatto, in quanto pur riconoscendo la sussistenza del fumus sotto il profilo oggettivo del reato, la motivazione risultava carente in relazione alla valutazione del fumus commissi delicti dal punto di vista soggettivo e in particolare circa le caratteristiche concrete della riferibilità al V. della condotta omissiva ; trattandosi di reato omissivo proprio, affermava la Corte, il concorso dell'estraneo poteva rilevare ai sensi dell'art. 110 cod.pen., a meno che non si dovesse ritenere che l'amministratore di diritto fosse un mero prestanome

2. Il ricorrente lamenta violazione di legge nei termini che seguono.

I) Deduce carenza e contraddittorietà della motivazione in quanto ai coindagati I. per il 2015 e T.P. per il 2016, legali rappresentati della società, il reato è stato contestato come reato proprio e non quali meri esecutori delle disposizioni del V., qualificato amministratore di fatto.

In particolare lamenta la inattendibilità delle dichiarazioni del commercialista S., poste a fondamento della decisione del Tribunale del riesame, alla luce  di documentazione mail allegata al ricorso che fa riferimento alla corrispondenza intercorsa tra lo studio commerciale e la E., nella persona del I. quale amministratore; che l'attività del V. doveva essere inquadrata quale collaborazione esterna riferita in particolare al settore estero , avente ad oggetto la vendita di traffico telefonico; i compensi percepiti dal V. erano irrisori e regolarmente fatturati; i versamenti a lui addebitati erano di importo così esiguo da non poter essere qualificati come conferimento alla società, rientrando nell'attività ordinaria di versamento degli incassi; le dichiarazioni del coindagato T. non potevano avere valore probatorio in quanto non adeguatamente riscontrate.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è inammissibile perché i motivi attengono in realtà a vizi della motivazione e non a violazioni di legge.

1.2. Ai fini della decisione va rammentato che con il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 325 cod. proc. pen. può essere dedotta la violazione di legge e non anche il vizio di motivazione. La giurisprudenza di questa Corte i è univoca nel ritenere violazione di legge laddove la motivazione stessa sia del tutto assente o meramente apparente, non avendo i pur minimi requisiti per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'iter logico seguito dal giudice del provvedimento impugnato. In tale caso, difatti, atteso l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un elemento essenziale dell'atto. (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 Cc. (dep. 26/06/2008) Rv. 239692 - 01; conf. S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto).

1.3 Inoltre, anche se in materia di sequestro preventivo il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio "solido" come per le misure cautelari personali, non è però sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione. E' invece necessario valutare le concrete risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al semplice livello di fumus al fine di ritenere che la fattispecie concreta vada ricondotta alla figura di reato configurata; è inoltre necessario che appaia possibile uno sviluppo del procedimento in senso favorevole all'accusa nonché valutare gli elementi di fatto e gli argomenti prospettati dalle parti. A tale valutazione, poi, dovranno aggiungersi le valutazioni in tema di periculum in mora che, necessariamente, devono essere riferite ad un concreto pericolo di prosecuzione dell'attività delittuosa ovvero ad una concreta possibilità di condanna e, quindi, di confisca (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 25489301; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 24509301).

2. Tanto premesso, va considerato che il Tribunale del riesame, fermo restando il fumus del reato sotto il profilo oggettivo, già riconosciuto dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento sopra richiamata, nel provvedimento impugnato, chiarisce con argomentazioni logiche e coerenti le ragioni per le quali il ricorrente era da considerarsi l'amministratore di fatto della società, illustrando una serie di elementi indiziari a sostegno, costituiti dalle dichiarazioni dei testi, in particolare quelle rese dal commercialista S. che, in data 27 settembre 2017, ( fol 3 e 4 ) ha riferito in maniera dettagliata circa il ruolo effettivo assunto nell'ambito della società dal V., il quale prendeva decisioni sulle scelte aziendali, partecipava alle riunioni circa l'andamento societario e le strategie di vendita, intratteneva rapporti con i clienti e dava disposizioni ai dipendenti su come gestire la spedizione dei telefoni, partecipava alla discussione e all'approvazione dei bilanci, alle discussioni relative alla presentazione delle dichiarazioni ai fini contabili e tributari.

Il Tribunale del riesame evidenziava in motivazione ulteriori circostanze: -le dichiarazioni del coindagato T., subentrato a I. nel ruolo di amministratore di diritto, fol 4, il quale ha riferito che verso la fine del 2016 vi fu un incontro per l'acquisto della E. e che alle trattative partecipò oltre il I. anche "F."(V.) e che entrambi rappresentavano le potenzialità dell'azienda, il portafoglio clienti e i contatti con i fornitori dall'estero; -i riscontri operati sulla base delle informative dell'Ufficio delle Dogane e della Polizia Tributaria Guardia di finanza, che avevano individuato il versamento di euro 125.000,00 effettuato da parte di altra società facente capo sempre al V. in favore della E. s.r.l nel novembre 2014, privo all'evidenza di giustificazione causale se non come un vero e proprio conferimento (fol 5); -ulteriori riscontri effettuati presso gli operatori commerciali esteri, secondo i quali il riferimento per la E. s.r.l. era proprio il V. che gestiva personalmente l'impresa in questione, cui evidentemente era attribuibile la responsabilità per il mancato adempimento degli obblighi tributari.

Si osserva che la giurisprudenza di questa Corte ammette pacificamente la responsabilità per il delitto di cui all'art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000 anche nei confronti dell'amministratore di fatto (Sez. 3, n. 3780 del 14.05.2015 rv. 264971-01). Si è, infatti, affermato che il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA (art. 5, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è configurabile nei confronti dell'amministratore di fatto, e l'amministratore di diritto, quale mero prestanome, risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento (artt. 40, comma secondo, cod.pen. e 2932 cod.civ). Infatti, in tema di reati tributari, il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000 solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società, Sez. 3 n. 47110 del 19.11.2013 rv 258080-01-(Nella specie, la Corte ha annullato la sentenza impugnata che aveva assolto il legale rappresentante di una società, trascurando la circostanza che lo stesso era a conoscenza della dubbia regolarità della gestione societaria da parte dell'amministratore di fatto).

Allo stato, quindi, il provvedimento impugnato, consente di ricostruire l'iter logico della decisione risultando sviluppata una seria valutazione delle concrete risultanze istruttorie per la ricostruzione della vicenda, sotto il profilo del fumus soggettivo onde ritenere che la fattispecie concreta possa essere ricondotta alla figura di reato ipotizzata ai fini della legittimità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.