Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 aprile 2017, n. 10437

Rapporto di collaborazione coordinata e continuativa - Esclusione - Attività professionale forense - Versamento dei contributi alla Cassa

 

Fatti di causa

 

1. M.S. propose opposizione contro la cartella di pagamento notificata nell'interesse della Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza forense, con la quale le era stato chiesto il pagamento dei contributi conseguenti all'esercizio dell'attività professionale relativi al periodo 1/1/2005-30/11/2005, data nella quale era stata cancellata dall'albo.

2. Il Tribunale di Salerno rigettò l'opposizione e la sentenza, impugnata dalla S., è stata confermata dalla Corte d'appello di Salerno, con sentenza pubblicata il 25 gennaio 2011. A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha ritenuto provato lo svolgimento, da parte dell'appellante, di attività libero professionale in favore della s.p.a. R.C. di Eboli non essendo invece configurabile il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa invocato dalla S.

3. Contro la sentenza, la S. propone ricorso per cassazione sostenuto da un unico motivo, cui resiste la Cassa con controricorso. Equitalia Polis s.p.a. non svolge attività difensiva.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si duole della mancata ammissione della prova testimoniale richiesta fin dal giudizio di primo grado, tesa a dimostrare che con la società R.C. S.p.A. era intercorso un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, senza vincolo di subordinazione, che escludeva l'esercizio di un'attività libero professionale forense, per la quale soltanto è previsto l'obbligo del versamento dei contributi alla Cassa.

2. Il ricorso è stato redatto nel rispetto dei principi di specificità e di autosufficienza dei motivi d'impugnazione, avendo la parte trascritto i capitoli di prova già chiesti in primo grado e della cui mancata ammissione si è doluta con il ricorso in appello (pagina 5, 6 e 7 del ricorso). Sotto questo profilo, il motivo è ammissibile.

2.1. Esso è tuttavia infondato. La motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, 25/10/2013, n. 24148).

2.2. È altresì principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l'attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova (Cass. civ. 16/12/2011, 27197). Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità (Cass. del 14/11/2013, n. 25608).

3. Nel caso in esame la Corte ha spiegato in modo esaustivo e coerente le ragioni per le quali ha ritenuto di escludere l'esistenza di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa tra la ricorrente e la società R.C. S.p.A. dando conto delle risultanze istruttorie in atti. Ha spiegato il perché non ha ritenuto di ammettere la prova testimoniale a fronte dei documenti da cui è emersa, per un verso, la mancanza di un compenso fisso, in contrasto con quanto stabilito nella convenzione intercorsa con la committente e lo stesso assunto dell'appellante, secondo cui ella era pagata in misura fissa e rapportata alla paga degli altri dipendenti; e, per altro verso, la determinazione del compenso impostata secondo i canoni delle tariffe professionali, comprensiva di voci quali onorari, diritti, indennità, compensi, spese generali, contributo integrativo. Inoltre, la Corte ha attribuito rilievo all'ulteriore circostanza, anch'essa documentale, che, a fronte del pagamento dei compensi, le fatture risultavano essere state rilasciate dallo studio legale avvocato L.S. e altri - società tra professionisti, di cui la ricorrente era socia. La motivazione è senz'altro esistente, sufficiente e priva di errori logici, con la conseguenza che il ricorso deve essere rigettato.

4. Gli ulteriori rilievi riguardanti il contenuto della convenzione intercorsa tra la ricorrente e la società R.C. s.p.a. sono affetti da genericità, dal momento che la parte, che pure ha trascritto il documento che non sarebbe stato adeguatamente valutato dalla Corte territoriale, non specifica quale canone ermeneutico sarebbe stato violato dal giudice di merito, dovendosi invero ricordare che «l'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’ "iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l'ulteriore conseguenza dell' inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa» (Cass. del 30/04/2010, n. 10554; Cass. 10/02/2015, n. 2465).

4.1. Per completezza, deve rilevarsi che la Corte territoriale non ha escluso l'ammissibilità in astratto di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa tra le parti ma ha ritenuto che quegli specifici compensi che la Cassa forense ha ritenuto di assoggettare a contribuzione fossero stati erogati non già in forza di un rapporto di tale natura bensì in forza di una prestazione libero professionale.

5. In applicazione del principio della soccombenza le spese del presente giudizio vanno poste a carico della ricorrente, nella misura indicata in dispositivo. Nessun provvedimento sulle spese deve adottarsi nei confronti della parte che non ha svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 1000,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre al 15% di spese generali e altri accessori di legge. Nulla sulle spese nei confronti della parte rimasta intimata.