Prassi - MINISTERO LAVORO E POLITICHE SOCIALI - Nota 15 aprile 2019, n. 3734

D.Lgs. n. 117/2017. Attività di culto. Richiesta parere. Riscontro

Con la nota prot. n. 2019/222662 del 5 marzo u.s. relativa all’oggetto, codesto Servizio rappresenta che in sede di iscrizione o di controllo successivo è stato riscontrato come alcune associazioni di promozione sociale, pur non prevedendolo espressamente nell’atto costitutivo o nello statuto, svolgono attività di culto seppur non in modo prevalente rispetto alle attività di promozione sociale; che le attività di culto spesso sono svolte in modo promiscuo con attività di promozione sociale in sedi e locali per cui è applicata la normativa di favore di cui all’articolo 71 del decreto legislativo in oggetto.

Quanto sopra premesso, viene evidenziato che "là dove non venga specificamente dimostrato un vincolo strumentale dell’attività di culto rispetto alle attività di promozione sociale si rischierebbe di consentire un utilizzo del tutto strumentale ed opportunistico della normativa di estremo favore sopra richiamata"; si chiede pertanto:

1. se le attività di culto, anche se previste negli atti costitutivi o negli statuti delle associazioni di promozione sociale o di altri enti del Terzo settore possano rientrare tra le attività diverse di cui all’art. 6 del d.lgs. 117/2017;

2. se un’APS o altro ETS possa essere iscritto nel Registro qualora eserciti attività di culto pur facendo salva la prevalenza delle attività di promozione sociale;

3. se si debba comunque ritenere che per l’uso promiscuo, tra attività di culto e di promozione sociale, di sedi e locali non debba essere applicata la misura di favore di cui all’art. 71 del d.lgs. n. 117/2017.

 

In proposito si rappresenta quanto segue:

In primo luogo, a fini di maggior chiarezza, può essere utile specificare che per "attività di culto", può intendersi la "pratica religiosa esteriore riservata ai credenti di una determinata fede" (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 181/2013) o, in senso non tassativo "la celebrazione di funzioni religiose riservate ai credenti di una determinata fede, la diffusione del relativo credo, la formazione degli aderenti e dei ministri religiosi" (Consiglio di Stato, Sez. I, n. 3417/2015). Non sembra possa ritenersi configurabile come "attività di culto", ai fini della individuazione dell’oggetto sociale dell’ente, una celebrazione occasionale; mentre al contrario sembrerebbero rientrare tra le attività di culto, ad esempio, le celebrazioni ricorrenti e sistematiche, quotidiane o in giorni fissi e orari predefiniti di Alla Regione Emilia Romagna funzioni religiose e a carattere confessionale.

Sulla base della definizione o elencazione delle "attività di culto" elaborata dal Consiglio di Stato, la collocazione delle stesse tra le attività diverse, ai sensi dell’articolo 6 del d.lgs. 117/2017 appare problematica, data la necessaria strumentalità di queste ultime rispetto alle attività di interesse generale di cui all’articolo 5.

Ciò anche alla luce del principio dell’irrinunciabile separazione tra la sfera statuale e quella religiosa, secondo cui "non è dato allo Stato di interferire, come che sia, in un ordine che non è il suo, se non ai fini e nei casi espressamente previsti dalla Costituzione" (ex multis, Corte Costituzionale, sentenza n. 334/1996).

In particolare, se le attività di culto caratterizzano gli enti religiosi civilmente riconosciuti, che sul territorio dello Stato svolgono le loro attività ai sensi delle leggi vigenti, il legislatore del Codice del Terzo settore, nel rispetto della citata separazione tra ambito civile e statuale e ambito religioso, ha fissato, con il comma 3 dell’articolo 4 un preciso criterio: a tali enti, infatti, "le norme del ... decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all’articolo 5", previa adozione di un apposito regolamento. Pertanto, le attività di culto (che costituiscono la principale ragion d’essere degli enti religiosi) sono "altro" rispetto a quelle disciplinate dal Codice e non sembrano sussumibili nella categoria delle attività diverse di cui all’articolo 6 del Codice, che comunque trovano precisi limiti (proprio con riferimento alle attività di interesse generale di cui al suddetto articolo 5, il già richiamato vincolo della strumentalità imposto dalla legge, nonché quei limiti e criteri definiti dall’emanando regolamento "tenendo conto dell’insieme delle risorse... impiegate in tali attività in rapporto all’insieme delle risorse... impiegate nelle attività di interesse generale").

Ciò detto, deve ritenersi, in definitiva, che l’ente religioso eserciterà le attività di culto nell’osservanza della disciplina propria degli enti religiosi; le stesse resteranno estranee all’ambito del Terzo settore e all’esercizio delle attività proprie degli ETS. Per altro verso, le norme del Codice del Terzo settore si applicheranno agli enti religiosi civilmente riconosciuti al verificarsi delle condizioni di cui al citato articolo 4, comma 3 del d.lgs. n. 117/2017.

Con riguardo al terzo quesito posto da codesto Servizio, se cioè l’esercizio delle attività cd. "di culto" possa o meno beneficiare, con riferimento ai locali in cui viene svolta, della misura di favore di cui all’articolo 71 del d.lgs. n. 117/2017, occorre aggiungere a quanto già detto alcune ulteriori osservazioni. Rispetto al precedente articolo 32 comma 4 della legge n. 383/2000 ("la sede delle APS ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee... indipendentemente dalla destinazione urbanistica"), già oggetto di parere del Consiglio di Stato (Sez. I, parere su ricorso straordinario al capo dello Stato n. 764/2018 del 26/03/2018) che aveva già chiarito come "tale disposizione" non fosse "certamente comprensiva di qualsiasi deroga alla sussistenza dei requisiti di agibilità... e alle misure minime di sicurezza", la nuova formulazione ricavabile dalla citata disposizione del Codice del terzo settore presenta differenze non trascurabili.

Se da un lato, infatti, amplia la platea dei potenziali beneficiari estendendola dalle sole APS agli Enti del Terzo settore, dall’altro sostituisce alla precedente definizione - che genericamente parlava di "attività" senza specificare se vi fosse distinzione tra quelle di promozione sociale e quelle "svolte in maniera ausiliaria e sussidiaria" di cui all’art. 4 comma 1 lett. f) - quella alquanto più ristretta di "attività istituzionali purché non di tipo produttivo", escludendone quindi oltre a queste ultime se a carattere produttivo, anche le attività "non istituzionali" (tra cui quindi quelle svolte ex art. 6), che pertanto non potranno beneficiarne anche qualora siano strumentali alle prime.

Per attività istituzionali degli ETS - e in particolare delle APS - devono intendersi infatti quelle previste dallo statuto come oggetto principale del rapporto sociale, attraverso le quali ciascun ente persegue le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che lo caratterizzano come Ente del Terzo settore. Tali attività sono quindi, da identificarsi nelle attività di interesse generale ex art. 5 del Codice del Terzo settore, che in quanto tali godono, purchè svolte senza fine di lucro e in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l’esercizio, del particolare "favor" del legislatore, da cui derivano, tra l’altro, le disposizioni agevolative di cui all’articolo 71.

Anche sulla base di quanto sopra, e in questo caso indipendentemente dall’ eventuale possibilità di ricomprendere le attività di culto tra quelle di cui all’articolo 6, sarà necessario, qualora un locale (fosse anche la sede di un’associazione di promozione sociale) venga adibito in maniera sistematica e organizzata allo svolgimento di celebrazioni religiose o altre attività di culto, che ciò avvenga in assenza di deroghe rispetto alla ordinaria normativa urbanistica in materia di destinazione d’uso.

Si segnala che recentemente il Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunciarsi in sede giurisdizionale (Sez. VI, n. 6176/2018) respingendo l’appello contro la precedente decisione cautelare del Tar Lombardia nei confronti di un’associazione destinataria da parte di un Comune di un provvedimento volto a ottenere la cessazione presso i locali sociali dell’attività di culto religioso e specificando che "la qualità dell’appellante come associazione di promozione sociale, per la quale l’art. 71 del d.lgs. 117/2017 ne consente l’insediamento della sede in edifici con qualunque destinazione d’uso, non l’autorizza ad insediare un luogo di culto non occasionale o precario in aree e territori comunali non vocati"; ciò anche "qualora le finalità religiose non siano contemplate nello statuto" , nel caso specifico, "lo scopo aggregativo tipico degli enti del terzo settore, e d’altronde svolto dall’Associazione in altri contesti, scolora rispetto ai dati di fatto che dimostrano anche il fine di culto da essa sì perseguito, ma in modo urbanisticamente scorretto".