Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 maggio 2017, n. 13476

Licenziamento per giusta causa - Direttore dei lavori - Controllo sulla buona e puntuale esecuzione dell'opera - Omissione

Fatti di causa

1. La Corte di appello di Roma, confermando la sentenza del Tribunale del medesimo luogo, ha - con sentenza depositata il 22.10.2014 - respinto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato dalla Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., in data 4.8.2010, a C.L. per omessa verifica e controllo - in qualità di Direttore dei lavori - delle opere realizzate negli anni 2005-2006 da ditte appaltatrici per "restyling" e rifacimento marciapiedi della stazione di Anguillara, con conseguente indebite contabilizzazioni e liquidazioni di compensi non dovuti, per significativi importi.

2. La Corte respingeva l'appello proposto dal lavoratore confermando la declaratoria di legittimità del licenziamento rilevando: 1) quanto alla tempestività della contestazione disciplinare, che risultava documentalmente provato la conclusione, in data 8.7.2010, della complessa e ponderosa istruttoria conclusa dalla Commissione di inchiesta appositamente nominata (a seguito del decreto di perquisizione inoltrato dalla Procura della Repubblica di Civitavecchia il 27.1.2010 in relazione al reato di corruzione); 2) quanto alla sussistenza dei fatti addebitati ed alla proporzionalità della sanzione, che l'art. 13 delle Condizioni generali di contratto per gli appalti di opere, lavori e forniture, imponeva al Direttore dei lavori i compiti di "controllo sulla buona e puntuale esecuzione dell'opera, verifica dei materiali impiegati, accertamenti in corso d'opera, misurazione e contabilizzazione delle parti di opera eseguiti..." e prevedeva la possibilità, del Direttore dei lavori e dei suoi coadiutori, di accedere ai cantieri con la frequenza ritenuta necessaria ed opportuna. Il ruolo assunto dal C. non escludeva, pertanto, la responsabilità a lui riconnessa quale Direttore dei lavori, anche per l'operato dei suoi subalterni, tanto più che si era trattato di una congerie di gravi violazioni ripetute e perdurate nel tempo per almeno due anni, che integravano la nozione legale di giusta causa e, altresì, potevano venir sussunte nell'ambito delle violazioni di leggi, regolamenti, doveri che arrecano forte pregiudizio all'azienda previste dall'art. 59, lettere c) ed m) del c.c.n.l. di settore.

3. Per la cassazione di tale sentenza il C. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. La società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod.proc.civ.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 1375, 2119 cod. civ., 7, commi 2, 3 e 4, della legge n. 300 del 1970 (in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare effettuata a distanza di diversi anni dai fatti addebitati, non potendo ritenersi credibile che la società non avesse attivato i suoi sistemi di controllo ed avesse avuto cognizione della contabilità solo dopo l'intervento della Polfer e della Procura della Repubblica di Civitavecchia e della Commissione interna.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 2119 e 2697 cod.civ. (in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto che - in base all'art. 13 delle Condizioni generali di contratto per gli appalti di opere, lavori e fornitura in opera delle società del gruppo Ferrovie dello Stato - il C., in quanto Direttore dei lavori, dovesse assumere una responsabilità oggettiva anche in relazione all'opera dei suoi subalterni (nella specie, il geometra A., anche esso licenziato) ed avendo trascurato l'effettivo contenuto delle mansioni e delle responsabilità del C. stesso. Inoltre, una delle ditte appaltatrici (L.) già operava, da oltre un decennio, per il gruppo Ferrovie dello Stato e pertanto difficilmente poteva creare sospetti di esecuzione irregolare di lavori.

3. Con il terzo motivo si denunzia vizio di motivazione (in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ricondotto al C., quale Direttore dei lavori, l'opera del suo sottoposto, esclusivamente sulla base dei compiti descritti dalle Condizioni generali di contratto, senza verificare le mansioni effettivamente disimpegnate.

4. Con il quarto motivo si denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 2106 cod. civ. e 30 della legge n. 183 del 2010 nonché di clausole del contratto collettivo (in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) non essendo stati integrati gli elementi essenziali dettati dal c.c.n.l. di settore, e, in particolare, dall'art. 59, lett. c) che richiede l'intenzionalità della condotta tenuta dal dipendente, elemento mancante nel caso di specie trattandosi di omissione.

5. Il primo motivo del ricorso non è fondato.

Come questa Corte ha già avuto occasione di affermare (Cass. 1 luglio 2010, n. 15649), "In tema di licenziamento per giusta causa, l'immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore; peraltro, il requisito della immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustifichi o meno il ritardo." (in senso conforme Cass. 6 maggio 2015 n. 9102; Cass. 10 settembre 2013, n. 20719).

Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha applicato correttamente tali principi nel momento in cui, con motivazione adeguata ed esente da vizi di carattere logico-giuridico, ha spiegato che: 1) il primo impulso all'accertamento dei fatti era pervenuto all'azienda solamente il 27.1.2010 (in seguito alla comunicazione del decreto di perquisizione degli uffici aziendali da parte della Procura della Repubblica di Civitavecchia, decreto che - peraltro - non evidenziava alcuna delle condotte poi contestate al C., evidenziandosi la redazione di verbali falsi al fine di ricevere somme di denaro, con riferimento all'art. 319 cod. pen.); 2) la società aveva provveduto, lo stesso 27.1.2010, a sospendere cautelarmente il C. dal lavoro; 3) la società, anche con riguardo all'operato di altri sei dipendenti, aveva nominato una Commissione di inchiesta in data 8.3.2010; 4) la Commissione interna aveva proceduto ad una complessa ed articolata indagine, anche con richiesta alla Procura della Repubblica di estrazione di copie degli atti sequestrati, aveva sentito il C. nelle date 11.5.2010 e 30.6.2010, aveva esaminato una ponderosa documentazione relativa a tutta una serie di lavori eseguiti presso la stazione di Anguillara, concludendo i lavori in data 8.7.2010 e trasmettendo la relazione, in pari data, al Direttore della Direzione produzione e al Direttore della Direzione personale ed organizzazione della società; 5) la contestazione disciplinare era stata inoltrata al lavoratore il 15.7.2010. Non era risultato, quindi, che la condotta aziendale avesse subito indebiti rallentamenti, per cui risultava proporzionato alla complessità degli episodi lo spazio temporale maturato sino alla contestazione degli addebiti.

In definitiva, la Corte territoriale ha dimostrato di aver correttamente applicato il principio dell'immediatezza, rapportandolo alle diverse circostanze di fatto adeguatamente scrutinate e rilevando che lo spazio temporale intercorso tra la conoscenza dei fatti e la loro contestazione non era risultato di ostacolo al pieno esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore (censura peraltro non sollevata dal lavoratore che si limita a rilievi del tutto generici), essendo, viceversa, del tutto compatibile con l'esigenza di pervenire ad un completo accertamento della verità dei fatti.

6. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili.

Va, preliminarmente, rilevato che il controllo di logicità del giudizio di fatto è, nella presente fattispecie, consentito alla luce dell'art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ., nella formulazione successiva alla novella introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012, trattandosi di sentenza depositata dopo il giorno 11 settembre 2012. Come precisato dalle Sezioni Unite (n. 8053/2014) è, in tal caso, denunciabile in Cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. E tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione.

La Corte distrettuale ha rilevato che l'art. 13 delle Condizioni generali di contratto per gli appalti di opere, lavori e fornitura, richiamato nella lettera di contestazione disciplinare, riconduce al Direttore dei lavori i compiti di "controllo sulla buona e puntuale esecuzione dell'opera, verifica dei materiali impiegati, accertamenti in corso d'opera, misurazione e contabilizzazione delle parti di opera eseguiti, emissione delle situazioni di acconto e di quella finale, accesso nei cantieri e nei luoghi dove si svolgono i lavori nei momenti e con la frequenza ritenuta necessaria od opportuna per lo svolgimento delle proprie incombenze". Ha aggiunto che la circostanza che il C. fosse stato coadiuvato da un assistente ai lavori (anch'egli licenziato per gli stessi addebiti) e fosse impegnato in altri "molteplici compiti" non escludeva la "responsabilità facente complessivamente e direttamente capo quale Direttore dei lavori medesimi anche in riferimento all'operato dei suoi subalterni, tanto più rispetto non ad un singolo episodio ma ad una congerie di gravi violazioni ripetute e perdurate nel tempo per almeno 2 anni concernenti l'esecuzione delle opere appaltate e relative indebite contabilizzazioni e liquidazioni di compensi non dovuti, per significativi importi e con ingente danno finale per la datrice di lavoro"

Non è, quindi, ravvisabile alcuna lacuna o contraddizione motivazionale, avendo, la Corte distrettuale, proceduto ad analizzare la condotta tenuta dal C. alla luce delle responsabilità e degli obblighi che incombevano allo stesso dipendente in quanto Direttore dei lavori, tenuto, fra l'altro, al controllo dei dipendenti sottordinati (sia in riguardo al ruolo rivestito di Direttore dei lavori sia in riferimento all'inquadramento attribuito).

Nel medesimo senso e rispetto a vicenda del tutto sovrapponibile a quella esaminata da questo Collegio, si è già espressa questa Corte con sentenza n. 4314/2017 (mentre appare ininfluente la sentenza di questa Corte, n. 17090/2016, prodotta nel corso della discussione dalla difesa del lavoratore, attenendo a fattispecie distinta da quella in esame).

7. Il quarto motivo di ricorso non è fondato.

In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, denotando scarsa inclinazione all'attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell'addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all'assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo (cfr. Cass. 13.2.2012 n. 2013 e, precedentemente, in senso analogo, tra le tante, Cass. 21.6.2011 n. 13574; Cass. 7.4.2011 n. 7948; Cass. 2.3.2011 n. 5095; Cass. 18.2.2011 n. 4060). In particolare, la giusta causa di licenziamento è nozione legale ed il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo onde lo stesso può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore e, per altro verso, può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (cfr. Cass 4060/2011 cit.).

Il licenziamento, nel caso di specie, è stato irrogato ai sensi dell'art. 2119 cod.civ. (senza richiamo di specifiche clausole del contratto collettivo), disposizione "elastica" che - come innanzi rammentato - consente al giudice di compiere una valutazione della gravità della condotta anche differente rispetto alla elencazione contenuta nel contratto di settore.

Nella fattispecie, la Corte di merito ha rilevato che, in base all'art. 13 delle Condizioni generali di contratto richiamato dallo stesso lavoratore, la responsabilità dei lavori eseguiti dalle ditte appaltatrici e dell'operato dei subalterni, competeva complessivamente e direttamente in capo al Direttore dei lavori e che le gravi violazioni dei doveri facenti capo al C. (che aveva omesso i controlli sulla buona e puntuale esecuzione delle opere, le verifiche dei materiali impiegati, gli accertamenti in corso d'opera, le misurazioni e le indebite contabilizzazioni) si erano protratte per un apprezzabile periodo di tempo.

Tale motivazione, incentrata su tutti gli elementi oggettivi e soggettivi emersi, risulta conforme ai principi sopra richiamati, nonché congrua e priva di vizi logici e resiste alle censure del ricorrente.

8. In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese di lite sono liquidate secondo il criterio della soccombenza dettato dall'art. 91 cod.proc.civ.

9. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: "Quando l'impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso". Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.