Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 febbraio 2017, n. 5212

Licenziamento - Scarso rendimento - Secondo licenziamento - Per superamento del periodo di comporto - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso al Tribunale di Cosenza del 7.8.2009 C.F., dipendente della società A. spa - Azienda per la mobilità nell'area cosentina (in prosieguo, per brevità: A. spa) con mansioni di operatore di esercizio, impugnava il licenziamento intimatogli con nota del 16 dicembre 2008 per scarso rendimento - ex articolo 27 lett. d) dell'allegato A al RD 148/1931 - nonché il secondo licenziamento di cui alla lettera del 26.1.2009 per superamento del periodo di comporto frazionato, chiedendo dichiararsene la inesistenza, nullità, illegittimità e condannarsi la società datrice di lavoro alla sua reintegra in servizio ed al risarcimento del danno.

Con sentenza del 10.1.2012 il giudice del lavoro rigettava la domanda.

La Corte d'appello di Catanzaro, con sentenza del 5.12.2013-30.1.2014 (nr. 33/14), rigettava l'appello del C..

La Corte territoriale riteneva non necessario l'esame delle ragioni del licenziamento del 16.12.2008, in quanto con il licenziamento intimato il 26.1.2009, a distanza di poco più di un mese, il datore di lavoro aveva manifestato la volontà di revocare il primo atto.

Il licenziamento in causa era stato intimato sul presupposto che le assenze per malattia del dipendente avessero superato il periodo di comporto frazionato previsto dal CCNL di settore, pari a 18 mesi nell'arco dei 42 mesi precedenti.

Le contestazioni dell'appellante, concernenti la non computabilità nella determinazione del periodo di comporto di alcuni periodi di assenza per malattia, erano infondate, in quanto:

L'accordo cui fare riferimento non era il CCNL ANAV, come dedotto dal lavoratore ma il CCNL ASSTRA, sottoscritto dalla associazione cui il datore di lavoro aderiva, il cui periodo di validità decorreva dall' 1.1.2005; da ciò derivava la computabilità anche dei trenta giorni di malattia anteriori alla data di entrata in vigore del CCCNL ANAV.

Le assenze dal 24 luglio al 30 agosto 2007, a seguito di infortunio sul lavoro, erano computabili perché l'infortunio dal quale era derivata la malattia non era attribuibile a colpa del datore di lavoro; il medico aziendale non aveva certificato una inidoneità del C. alle mansioni di guida ma aveva consigliato di non adibirlo alla guida nonostante la sua idoneità. In ogni caso l'infortunio era derivato da una caduta rovinosa del C. ed il giudizio di responsabilità avrebbe richiesto la prova, a carico del lavoratore, che quello svenimento era causalmente riconducibile alle mansioni di autista, prova del tutto assente.

Il rilievo secondo cui non erano computabili i 42 giorni di malattia successivi al primo licenziamento era privo di fondamento, posto che gli effetti di quel licenziamento erano sospesi proprio in ragione dello stato di malattia del C..

Da ultimo, non poteva applicarsi il più lungo periodo di comporto di 30 mesi, previsto dal CCNL ASSTRA (e, comunque, in termini analoghi dal CCNL ANAV) solo in caso di donazione di organi, gravi malattie specificamente previste dalle parti collettive e di malattie riconosciute egualmente gravi dalla azienda, categorie in cui non rientrava il periodo di assenza dedotto dall'appellante.

Non vi era stato alcun riconoscimento da parte della azienda della gravità delle malattie e tanto bastava ad escludere la applicabilità della disposizione; la norma, così interpretata, non prevedeva una condizione meramente potestativa perché non rendeva più gravosa la posizione del lavoratore ma prevedeva un trattamento di miglior favore.

Per la cassazione della sentenza ricorre C.F., articolando quattro motivi erroneamente rubricati come cinque.

Resiste con controricorso la società A. spa.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato - ai sensi dell'articolo 360 co. 1 nr. 3 cpc - violazione e falsa applicazione degli articoli 2087, 2110 e 2697 cod.civ. nonché dell'articolo 32 Cost.

Il motivo ha ad oggetto la statuizione di computabilità delle assenze per malattia del periodo dal 24 luglio al 30 agosto 2007, per complessivi giorni 34 benché, per quanto il ricorrente ha assunto in questa sede, conseguenti all' infortunio sul lavoro del 14.7.2007, dipeso da responsabilità del datore di lavoro.

Il ricorrente ha dedotto che erroneamente la Corte di merito aveva escluso la responsabilità datoriale sul rilievo che il medico aziendale non aveva certificato la sua inidoneità alle mansioni. Nella fattispecie di causa, infatti, veniva in questione la violazione dell'articolo 2087 cod.civ. e non la idoneità alle mansioni; il datore di lavoro disattendendo la regola prudenziale indicata dal medico aziendale nel certificato del 9 luglio 2007, che suggeriva di non adibire il C. per ulteriori due mesi a mansioni di guida, lo aveva reintegrato nei compiti di operatore di esercizio sin dal 12 luglio 2007.

Inoltre, contrariamente a quanto statuito dal giudice dell'appello, nella fattispecie di causa era dimostrata la riconducibilità dell'infortunio alle mansioni illegittimamente assegnate, posto che egli era affetto da patologia uditiva che comportava rischio di vertigini e di erronea percezione di movimento dell'ambiente; in questa condizione le mansioni di guida erano caratterizzate da rischio specifico.

Il motivo è infondato.

Preliminare è l'accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito.

Sotto questo profilo il giudice dell'appello ha affermato che non era stata raggiunta la prova della riconducibilità dello svenimento e del conseguente infortunio alle mansioni di autista cui il lavoratore era stato adibito.

Tale statuizione avrebbe dovuto essere censurata deducendo il vizio della motivazione e non già la violazione di norme di diritto.

Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa mentre la allegazione - come prospettata nella specie da parte del ricorrente - di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge ed impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione.

Il motivo - pure ove riqualificato ai sensi dell' articolo 360 nr. 5 cpc - non sfugge al rilievo di inammissibilità.

Il nuovo testo del n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ., applicabile ratione temporis in ragione della data di pubblicazione delle sentenza impugnata, introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo; ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività".

Nella fattispecie il ricorrente assume che la caduta dipese da vertigini legate all'udito provocate dalle mansioni di guida, ma non specifica sulla base di quali atti processuali risultavano in causa, da un lato, tale patologia, dall'altro le circostanze della caduta onde consentire a questa Corte di verificare ex actis la effettività e la ritualità della acquisizione istruttoria e, di poi, la sua decisività.

Tale onere di specificità non è assolto dalla elencazione, in calce al presente ricorso, di tutti gli atti prodotti nel fascicolo del secondo grado.

La definitività della situazione di fatto accertata rende inammissibile per difetto di interesse la censura di violazione delle norme di diritto: il vizio di falsa applicazione dell’articolo 2087 c.c. resterebbe comunque ininfluente agli effetti della cassazione della sentenza, difettando la responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio sotto il profilo in fatto della assenza del rapporto di derivazione causale dell'infortunio dall'inadempimento del datore di lavoro.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunziato - ai sensi dell'articolo 360 co. 1 nr. 3 cpc - violazione e falsa applicazione degli articoli 7 e 18 L. 300/1970 nonché degli articoli 2 e 3 L. 604/1966.

La censura afferisce al computo da parte del giudice del merito delle assenze per malattia maturate dopo il primo licenziamento.

Il ricorrente ha dedotto che - anche a voler in astratto ammettere la possibilità di un secondo licenziamento - il primo atto di recesso aveva comunque idoneità ad estinguere il rapporto di lavoro.

Su questi principi non incideva la sospensione degli effetti del primo licenziamento conseguente al suo stato di malattia, essendosi il licenziamento comunque perfezionato seppure con efficacia differita.

Il motivo è infondato.

Il ricorrente non contesta la astratta configurabilità di più licenziamenti successivi nel tempo ma la computabilità nel comporto della malattia verificatasi medio tempore.

La questione avrebbe ragione di porsi nel sol caso in cui un precedente licenziamento, oltre ad essersi perfezionato con la comunicazione al lavoratore, abbia anche acquisito efficacia.

Il giudice del merito nella fattispecie di causa ha invece accertato, con statuizione non investita dai motivi di ricorso, che gli effetti del primo licenziamento erano sospesi, proprio in ragione della malattia poi computata nel comporto.

La sospensione della efficacia del licenziamento fa persistere tra le parti, fino al verificarsi dell'evento condizionante (nella specie la guarigione clinica del lavoratore), tutti gli effetti del rapporto di lavoro.

Pertanto correttamente la Corte di merito ha rilevato che le assenze maturate nel periodo in questione erano computabili ai fini del comporto, non avendo mai acquisito efficacia il primo licenziamento.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 cpc, violazione e falsa applicazione:

- dell'articolo 2110 cod.civ.;

- dell'accordo collettivo nazionale del 19.9.2005

- degli articoli 1355 cod.civ. e 2697 cod.civ.

- degli articoli 1362, 1363, 1365, 1355, 1418, 1358, 1359, 2697 cod.civ.

Con il motivo si censura la statuizione di inapplicabilità nella fattispecie di causa del più lungo periodo di comporto di trenta mesi previsto dall'articolo 1 co.4 del CCNL ASSTRA 19.9.2005 nei casi di «altri interventi operatori e malattie debitamente certificate e riconosciuti egualmente gravi dall'azienda».

Il ricorrente ha esposto di avere subito un intervento chirurgico grave - (frattura scomposta del malleolo peroneale con intervento chirurgico di osteosintesi effettuato con placche e viti metalliche) - ed ha dedotto che erroneamente la corte di merito aveva escluso la applicabilità del prolungamento del comporto per il fatto che non vi era stato il riconoscimento della gravità della malattia da parte della azienda.

Ha affermato che la interpretazione offerta in sentenza era in contrasto con il dato letterale e la ratio della norma collettiva e configurava il riconoscimento di gravità come condizione sospensiva meramente potestativa, che avrebbe reso la clausola nulla ai termini dell'articolo 1355 cod.civ. ed inoltre indeterminata nell'oggetto (con concorrente ragione di nullità ai sensi dell' articolo 1418 cod.civ.)

Ha aggiunto che anche a volere superare tale rilievo - configurando una volontà non arbitraria del datore di lavoro, perché orientata da parametri oggettivi desumibili dal codice civile, dalla contrattazione collettiva, dalle norme aziendali - nella fattispecie di causa vi sarebbe stata comunque violazione degli articoli 1358 e 1359 cod.civ.

Il datore di lavoro, infatti, non aveva mai contestato la gravità della malattia se non nella sede giudiziaria e per evidenti esigenze difensive. L'obbligo di buona fede di cui all'articolo 1358 cod.civ. andava interpretato nel senso di imporre alla parte dalla cui volontà dipendeva l'avveramento della condizione di porre in essere tutte le attività di sua pertinenza strumentali a tale avveramento; in assenza della prova di tale adempimento doveva trovare applicazione la fictio di avveramento della condizione di cui all'articolo 1359 cod.civ.

Il motivo è fondato.

Esso verte sulla interpretazione della previsione collettiva dell'articolo 1 co. 4 del CCNL ASSTRA, formulata nei seguenti termini:

«Nei casi di donazione di organi,di assenze dovute a malattie oncologiche, sclerosi multipla, distrofia muscolare, morbo di Cooley, periodi di degenza ospedaliera determinati da trapianti chirurgici, debitamente certificati ovvero altri interventi operatori e malattie debitamente certificati e riconosciuti egualmente gravi dall'azienda, il periodo di comporto sia secco che per sommatoria è elevato a 30 mesi [durante i quali al lavoratore sarà corrisposta una indennità computata sulla retribuzione di cui al punti 5. e 6 del presente articolo, nella misura del 100/% per i primi 18 mesi e senza retribuzione per gli ulteriori 12 mesi ...]».

Il giudice del merito ha interpretato il riconoscimento della gravità della malattia da parte del datore di lavoro come condizione sospensiva del diritto del lavoratore al comporto prolungato, concludendo che la mancanza del riconoscimento bastava ad escludere la applicabilità della disposizione.

Tale interpretazione non è conforme al canone della interpretazione letterale.

La norma collettiva non autorizza a configurare condizioni al diritto del lavoratore ma, secondo la sequenza testuale, configura diversi fatti costitutivi del diritto del lavoratore al comporto prolungato, dei quali alcuni individuati specificamente (donazione di organi, malattie oncologiche, sclerosi multipla etc.) altri individuati, per evidenti esigenze di elasticità del precetto, come «altri interventi operatori e malattie debitamente certificati e riconosciuti egualmente gravi dalla azienda».

La «eguale gravità» della malattia deve interpretarsi come fatto costitutivo del diritto e non come fatto esterno al diritto (id est: condizione di efficacia); diversamente, infatti, il fatto costitutivo resterebbe definito dalla sola espressione «altri interventi operatori e malattie » e dunque indeterminato, con conseguente nullità della pattuizione ex articoli 1346-1418 cod.civ.

Quanto al «riconoscimento» del datore di lavoro, le espressioni letterali non depongono nel senso di un elemento ulteriore rispetto al fatto costitutivo giacché non vi è una distinzione tra il fatto costitutivo/gravità della malattia ed il fatto esterno-condizione/riconoscimento del datore di lavoro (quale, ad esempio, sarebbe stata indicata dalle locuzioni «purché riconosciuti», «a condizione che siano riconosciuti», «se riconosciuti»).

Il riconoscimento è posto invece nel testo sullo stesso piano della certificazione della malattia («debitamente certificati e riconosciuti egualmente gravi») il che depone nel senso che non si tratti di una condizione ma piuttosto dell'accertamento dei fatti costitutivi, necessario per dare concretezza ad una previsione elastica. In sostanza la attività di certificazione - per iniziativa del lavoratore - e I' atto di riconoscimento del datore di lavoro configurano attività concorrenti ai fini della applicazione consensuale del precetto normativo.

In altri termini il «riconoscimento» non esprime un atto discrezionale condizionante la efficacia del diritto ma esprime il momento di adesione da parte del datore di lavoro alla richiesta del lavoratore di applicare la clausola di favore prevedente la «eguale gravità» della malattia.

A ciò si aggiunga, sul piano della comune intenzione delle parti, che l'oggetto del riconoscimento è una circostanze obiettiva (la gravità della malattia) che non ha alcuna attinenza con il generale potere di organizzazione della impresa, che sta a fondamento di tutti i poteri discrezionali del datore di lavoro.

Un decisivo argomento a conferma della interpretazione qui indicata deriva dal criterio suppletivo di interpretazione conservativa ex articolo 1367 c.c. giacché la disposizione collettiva, come interpretata dal giudice del merito, incorrerebbe nella nullità derivante, ex articolo 1355 cod.civ., dalla apposizione di una condizione meramente potestativa.

Il giudice dell'appello sul punto ha affermato che la condizione non ha natura meramente potestativa poiché «non si tratta di clausola che contiene disposizioni che prevedano ulteriori obblighi per il lavoratore o ne rendano più gravosa la prestazione» (così in sentenza).

La statuizione incorre nel denunziato vizio di falsa applicazione dell'articolo 1355 cod. civ.

A tenore della norma richiamata è nulla la assunzione di un obbligo condizionata sospensivamente alla mera volontà del debitore; la assunzione di un impegno è nulla se dipendente nella efficacia dalla stessa parte obbligata, per l'evidente difetto della attualità e serietà del vincolo giuridico.

Nella specie la parte obbligata è proprio il datore di lavoro - tenuto a conservare al lavoratore assente il posto di lavoro - da cui promanerebbe la volontà condizionante.

Non è dunque rilevante, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, il fatto che il lavoratore abbia una posizione di vantaggio e non di obbligo, perché non è il lavoratore il soggetto che esprime la volontà condizionante; sicché ove il riconoscimento della gravità della malattia proveniente dal datore di lavoro dipendesse dalla sua mera volontà la condizione - e la clausola di contratto cui essa è apposta - ricadrebbe nella previsione di nullità dell'articolo 1355.

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in applicazione del seguente principio di diritto:

«La norma dell'articolo 1 co. 4 CCNL ASTRA deve interpretarsi nel senso che: la « gravità» della malattia, nei sensi indicati dalla norma collettiva, è il fatto costitutivo del diritto del lavoratore al comporto prolungato;

il riconoscimento della predetta gravità da parte del datore di lavoro non costituisce evento condizionante il diritto del lavoratore ma esprime il momento di accertamento consensuale della ricorrenza nel caso concreto della fattispecie astratta prevista dalla norma.

Ne consegue ulteriormente che ove nel corso del rapporto di lavoro sia mancato tale accertamento - ovvero le parti non abbiano concordato sulla applicabilità nella fattispecie concreta della previsione collettiva- il giudizio di sussunzione della fattispecie concreta nella norma elastica dell'articolo 1 co. 4 del CCNL citato è rimesso al giudice del merito».

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha denunziato - ai sensi dell'articolo 360 nr. 4 cpc - violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 cpc in relazione all'articolo 360 nr. 4 cpc.

Ha censurato la omessa pronunzia sul motivo di appello con il quale si deduceva la erroneità del computo nel periodo di comporto di numero 54 assenze per malattia, che erano state disconosciute dal datore di lavoro e qualificate come assenze ingiustificate, come dai provvedimenti disciplinari richiamati nel motivo, posti anche a fondamento del primo licenziamento.

Sul punto la A. nella memoria di costituzione in appello aveva asserito trattarsi di un motivo nuovo e come tale inammissibile; tale deduzione era infondata, poiché si trattava della mera contestazione di un fatto - (la maturazione del comporto) - oggetto di giudizio ed il cui onere probatorio era a carico del datore di lavoro.

Il motivo è improcedibile.

Il ricorrente non adempie all'onere previsto dall'articolo 369 nr. 4 cpc di depositare in sede di legittimità l'atto di appello, sul quale la censura di omessa pronunzia è fondata ovvero di indicare la localizzazione di detto atto tra quelli depositati (Cass. civ. SU .sent. 07/11/2013, n. 25038).

Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere cassata in accoglimento del terzo motivo e gli atti rinviati ad altro giudice, che si individua nella Corte d'appello di Reggio Calabria, affinché provveda ad accertare la applicabilità ai fatti di causa della previsione dell'articolo 1 co 4 CCNL ASTRA emendando la sentenza dal vizio di erronea interpretazione della norma collettiva qui rilevato.

La sentenza impugnata ha del tutto omesso I' accertamento di gravità della malattia, ritenendo non avverata una condizione sospensiva del diritto («e tanto basta ad escludere la applicabilità della disposizione») per effetto di una erronea ricognizione della disciplina del contratto collettivo.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla disciplina delle spese del presente grado.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo motivo, rigetta il primo ed il secondo, dichiara improcedibile il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Reggio Calabria.