Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 gennaio 2018, n. 989

Tributi - IVA, IRPEG ed IRAP attività di pulizie e manutenzioni - Acquisto immobile adibito a casa di cura - Non inerente

 

Rilevato

 

- che con sentenza n. 78 del 27 agosto 2009 la Commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna rigettava l'appello proposto dalla COPMA s.c.a r.l., esercente attività di pulizie e manutenzioni, avverso l'avviso di accertamento ai fini IVA, IRPEG ed IRAP per l'anno di imposta 2002, con cui l'Agenzia delle Entrate, ritenuta, sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione della G.d.F. del 9/11/2004, non inerente all'attività della società contribuente l'acquisto di un immobile adibito a casa di cura, recuperava a tassazione l'IVA assolta per tale acquisizione, nonché i costi per imposte di registro, spese di bollo, legali e notarili, per erronea imputazione nell'esercizio di competenza;

- che i giudici di appello, per quanto ancora qui di interesse,

escludevano l'inerenza dell'acquisto dell'immobile perché finalizzato ad agevolare l'attività della Casa di Cura Q. s.r.l., partecipata dalla società contribuente nella misura del 42 per cento e precedente proprietaria del bene cui, immediatamente dopo l'acquisto, era stato ceduto in comodato, e che i costi per imposte di registro, spese di bollo, legali e notarili, andavano assoggettati alla disciplina di cui all'art. 64 d.P.R. n. 917 del 1986 e, quindi, erano deducibili nell'esercizio dell'anno 2003 in cui erano stati sostenuti;

- che avverso tale statuizione ricorre per cassazione la società contribuente sulla base di tre motivi, illustrati con memoria, cui replica l'intimata con controricorso;

 

Considerato

 

- che, in relazione al fatto decisivo e controverso costituito dall'indetraibilità dell'IVA sull'acquisto immobiliare effettuato dalla società contribuente, che la CTR, confermando l'avviso di accertamento, ha ritenuto non inerente all'attività da quella espletata, la ricorrente deduce, con il primo motivo, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l'insufficiente motivazione della sentenza impugnata per essere i giudici di appello pervenuti alla conclusione che l'acquisizione di quell’immobile venne effettuata dalla società cooperativa «per agevolare l'attività della società collegata Q. s.r.l.», che hanno desunto «dall'effettivo utilizzo dell'immobile, che appena venduto è stato ceduto in comodato dalla società acquirente COPMA s.c.a.r.l., alla società venditrice» e dal contenuto della relazione del consiglio di amministrazione sulla gestione al bilancio del 31/12/2002, in cui si affermava la necessità di «incrementare considerevolmente in tal modo il volume di attività» della società partecipata, ma del tutto ignorando una serie di circostanze emergenti dalla documentazione prodotta che, ove considerate - e da qui la loro decisività - avrebbero condotto a diversa soluzione;

- che la ricorrente individua le circostanze emergenti dai documenti prodotti in giudizio (riprodotte per autosufficienza nel motivo nelle loro parti essenziali), pretermesse dai giudici di appello, nelle seguenti:

a) la concessione in comodato dell'immobile alla società partecipata per una durata di soli dieci mesi, di poi cessata in data 30/09/2004;

b) la richiesta di cambio di destinazione d'uso dell'immobile, con eliminazione del vincolo di destinazione ad attività sanitarie, avanzata alla competente autorità amministrativa e da questa accolta con delibera del 28/04/2003;

c) il contenuto della delibera n. 2/2003 del C.d.A. di COPMA, sostanzialmente identico a quello della relazione sulla gestione al bilancio 31/12/2002, in cui si dava esplicitamente atto dell'intento della società cooperativa «di alienare questo immobile in tempi molto rapidi se non individueremo prima condizioni di utilizzo per scopi legati allo sviluppo di eventuali nuove attività» nonché della richiesta avanzata «nel frattempo [...] alle autorità competenti» per ottenere «il cambio di destinazione d'uso da attività di casa di cura a civile abitazione»;

d) il contenuto del verbale del C.d.A. n. 2/2004 in cui il Consiglio, su proposta del vicepresidente, «delibera la realizzazione di mini appartamenti in zona protetta», «attrezzati per persone anziane»;

e) il contenuto della relazione sulla gestione al bilancio 31/12/2004, in cui si affermava che l'intento della società cooperativa con l'acquisto dell'immobile de quo era quello «di sviluppare nell'ambito dello stesso, un'attività di assistenza residenziale da offrire a persone anziane ed autosufficienti, coerentemente con quanto già realizzato a suo tempo a favore di utenti anziani ma non autosufficienti», ma che il «troppo elevato rischio» dell'operazione commerciale aveva indotto la società a cedere l'immobile ad altra società partecipata;

- che il motivo è infondato e va rigettato;

- che, in via preliminare, pare necessario ricordare che, con orientamento assolutamente consolidato (rinvenibile già in Cass., Sez. U., n. 5802 del 1998, e da ultimo ribadito da Cass. n. 18665 del 2017), formatosi con riguardo al vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente alla novella di cui all'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. in I. n. 134 del 2012, tale vizio sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perché la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, giacché, a norma dell'art. 116 c.p.c., rientra nel potere discrezionale - come tale insindacabile - del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, con l'unico limite di supportare con adeguata e congrua motivazione l'esito del procedimento accertativo e valutativo seguito;

- che l'applicazione di tale principio al caso di specie comporta l'infondatezza del motivo giacché dalle argomentazioni addotte dalla CTR a sostegno del conseguito convincimento di estraneità dell'operazione commerciale rispetto all'attività formalmente e concretamente svolta dalla società contribuente, si evince chiaramente che la stessa non ha affatto pretermesso gli elementi circostanziali indicati dalla ricorrente, avendo preso in considerazione:

1) il contratto di comodato stipulato con la casa di cura, rilevando che la comodataria «per circa due anni ha potuto svolgere la propria attività nella struttura sanitaria acquistata dalla Copma s.c.a.r.l.», quindi ben oltre il termine di durata in esso indicato (dieci mesi);

2) la relazione del C.d.A., il cui contenuto è assolutamente inequivocabile nell'indicare nella «necessità di individuare una strategia in grado di incrementare considerevolmente il volume di attività» della società partecipata, la finalità di quell'acquisizione immobiliare, risultando l'intento, pure in esso manifestato, «di alienare l'immobile in tempi molto rapidi», come ulteriore conferma che la finalità unica ed esclusiva di quell'acquisizione consisteva proprio nell'«agevolare l'attività della società collegata», restando del tutto generico l'intento di conservare la proprietà nell'ipotesi di individuazione «di condizioni di utilizzo per scopi legati allo sviluppo di eventuali nuove attività», mentre l'assenza di «elementi che consentano di ritenere l'inerenza di tale operazione di acquisto», espressamente affermata dalla CTR nella sentenza impugnata, induce a ritenere che non vi è stata, da parte dei giudici di merito, alcuna pretermissione nella valutazione delle altre circostanze emergenti dal complessivo compendio probatorio, di cui neanche è apprezzabile la decisività, posto che, anche a voler prescindere dal considerare che la richiesta di cambio di destinazione d'uso è stata avanzata dopo l'acquisizione dell'immobile, il verbale del C.d.A. e la relazione al bilancio 2004, indicate alle precedenti lettere d) ed e), sono addirittura successive al rilascio dell’immobile da parte della comodata ria;

- che con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, 9, 167, 168 e 176 della direttiva 2006/112/CE, sostenendo che i giudici di merito, «nel respingere l'appello rilevando che "non vi sono elementi che consentano di ritenere l'inerenza di tale operazione di acquisto, ristrutturazione e vendita di immobile, all'attività ordinaria svolta dalla COMPA s.c.a.r.l." che "si esplica nel settore dei servizi (pulizie e manutenzioni)"» (ricorso, pagg. 33 e 34), avrebbe violato le disposizioni censurate aderendo ad un orientamento giurisprudenziale - propugnato da Cass. n. 3706 del 2010, che, a dire della ricorrente, pretenderebbe che l'inerenza del bene acquistato all'attività imprenditoriale va valutata con riferimento «all'oggetto sociale quale risulta dai documenti che la contribuente deve aver cura di allegare e provare» - che deve essere superato anche alla stregua del diverso orientamento giurisprudenziale comunitario, di cui si è fatta portatrice questa Corte in altre pronunce, tra le quali la sentenza n. 5753 del 2010, in cui si è affermato che ai fini della detraibilità dell'imposta assolta sugli acquisti, la relazione di inerenza deve sussistere tra il bene e l'attività imprenditoriale «effettivamente svolta, anche se non espressamente prevista nell'oggetto sociale, spettando il diritto alla detrazione dell'imposta, secondo l'art. 17, n. 6, della Sesta direttiva IVA 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, come interpretato dalla Corte di Giustizia CE, nella misura in cui beni e servizi dell'impresa sono impiegati a fini di operazioni soggette ad imposta, a prescindere dalla conformità o meno delle singole operazioni all'oggetto sociale»;

- che il motivo è infondato;

- che pare opportuno preliminarmente rilevare che la ricorrente muove dall'erroneo presupposto che la CTR si è adeguata ad un orientamento giurisprudenziale contrario a quello unionale, come tale non condivisibile e da superare, rinvenibile in Cass. n. 3706 del 2010, che, invece, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, si pone in assoluta consonanza con esso, affermando che «in base alla disciplina dettata dall'art. 4, comma 2, n. 1, e art. 19, comma 1, infatti, mentre le cessioni di beni da parte di società commerciali sono da considerare in ogni caso, cioè senza eccezioni, effettuate nell'esercizio di impresa, in ordine agli acquisti di beni da parte delle stesse società, l'inerenza all'esercizio dell'impresa di tali operazioni passive, ai fini della detraibilità dell'imposta, non può essere ritenuta in virtù della semplice qualità di imprenditore societario dell'acquirente, ma occorre accertare che le operazioni medesime siano effettivamente compiute nell'esercizio d'impresa, cioè in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, con onere della prova a carico di chi invochi la detrazione (Cass. n. 5599 del 2003). Pertanto, un tale accertamento deve essere compiuto in concreto e non già, come nella specie, in astratto, e va rapportato all'oggetto sociale quale risulta dai documenti che la contribuente deve aver cura di allegare e provare»;

- che l'accertamento compiuto dai giudici di appello non si discosta affatto dai principi invocati dalla ricorrente (che richiama Cass. 5753 del 2010, poi seguita da numerose pronunce conformi, tra cui, Cass. n. 5860 del 2016, n. 4157 del 2013, n. 25777 del 2014, n. 8628 del 2015, che ha ribadito che «in tema di IVA, ai fini della detrazione dell'imposta, ai sensi degli artt. 19 e 19 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in coerenza con quanto prescritto dagli artt. 4 e 17 della sesta Direttiva del Consiglio CE n. 77/388, così come interpretati dalla Corte di giustizia CE (sentenza 11 luglio 1991, causa C-97/90 e sentenza 18 dicembre 2008, causa C- 488/07), la valutazione della strumentalità di un acquisto rispetto all'attività imprenditoriale va effettuata in concreto, tenendo conto dell'effettiva natura del bene, in correlazione agli scopi dell'impresa», mentre «la compatibilità dell'operazione con l'oggetto sociale costituisce mero indizio della inerenza all'effettivo esercizio dell'impresa, della cui dimostrazione è onerato il contribuente»); difatti, la verifica effettuata dai giudici di appello ha riguardato proprio l'aspetto della connessione del bene acquistato con la specifica attività imprenditoriale in concreto compiuta, o anche solo programmata, da parte della società acquirente, pervenendo alla sua esclusione con ragionamento che, come detto esaminando il primo motivo, non si presta a censure di sorta;

- che, a ben vedere, neppure la ricorrente nega l'assenza del requisito in esame con riferimento alla finalità di agevolazione dell'attività della società collegata, che l'amministrazione finanziaria, prima, e la CTR, dopo, hanno ritenuto essere stata l'unica ragione dell'acquisto del bene, giacché nella censura in esame l'inerenza viene individuata soltanto con riferimento ad una programmata operazione di acquisto, ristrutturazione e vendita dell'immobile, invece, esclusa dalla CTR;

- che quanto sopra detto rende all'evidenza inaccoglibile la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia su questione in relazione alla quale non è dato riscontrare contrasto, posto che la giurisprudenza domestica in materia di detrazione IVA si pone nel solco tracciato sia dalla normativa che dalla giurisprudenza unionale, secondo la quale il diritto di detrarre l'IVA dovuta o assolta dal soggetto passivo sugli acquisti di beni d'investimento spetta se il soggetto passivo «agisce ai fini della sua attività economica ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva IVA» (Corte giustizia, sent. 22/03/2012, C-153/11; Klub OOD), «ossia per le esigenze delle sue attività economiche ai sensi dell’art. 4 della sesta direttiva» (Corte giustizia, sent. 8/03/2001, C-415/98, Bakcsi, punto 29)», e che «determinare se un soggetto passivo agisca in quanto tale è una questione di fatto che dev'essere valutata tenendo conto di tutti gli elementi della fattispecie» (sent. Klub ODD citata, punto 41), quindi anche dell'oggetto sociale dell'impresa, al fine di evitare condotte frodatone o abusive, quale ad esempio quella di creare l'apparenza della destinazione del bene allo svolgimento di un'attività economica specifica, per destinarlo, invece, ad altre finalità, se non addirittura al patrimonio privato dello stesso soggetto passivo, al solo scopo di usufruire della detrazione o del rimborso dell'IVA assolta sull'acquisto; infatti, «in tale contesto, le autorità e i giudici nazionali sono tenuti a negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che tale diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente (v. sentenze del 6 luglio 2006, Kittei e Recolta Recycling, C-439/04 e C-440/04, Racc. pag. I 6161, punto 55; del 21 giugno 2012, Mahagében e David, C-80/11 e C-142/11, punto 42; Bonik, cit., punto 37, nonché LVK - 56, cit., punto 59)» (Corte giustizia, sent. 18/07/2013 in C-78/12, Evita-K EOOD), potendo, in tal caso, l'amministrazione finanziaria «chiedere, con effetto retroattivo, il rimborso delle somme detratte poiché queste detrazioni sono state concesse sulla base di false dichiarazioni (sentenze sopra citate Rompelmann, punto 24, INZO, punti 23 e 24, e Gabalfrisa e a., punto 46)» (Corte giustizia, 8 giugno 2000, in C-400/98, Finanzamt Goslar e a.; v. anche sent. 22/03/2012, in C-153/11, Klub ODD, sent. 20/06/2013, in C-219/12, Fuchs);

- che, in piena adesione ai principi di matrice unionale, questa Corte ha affermato che «deve considerarsi inerente all'esercizio dell'impresa anche l'acquisito di beni e servizi destinati alla costituzione delle condizioni necessarie perché l'attività tipica possa concretamente iniziare, essendo quindi suscettibili di rientrare nella nozione di strumentalità, ai fini del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, anche le attività meramente preparatorie che per definizione vengono poste in essere in una fase in cui non vi è ancora produzione di ricavi (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8583 del 12/04/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 11765 del 12/05/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 23400 del 19/11/2010), essendo rimesso in ogni caso al Giudice di merito il necessario accertamento in fatto in ordine alla effettiva riferibilità in concreto - alla stregua degli elementi istruttori acquisiti al giudizio e della specifica situazione di fatto rilevata - dei beni e servizi acquistati all'esercizio della impresa o alle attività preparatorie alla futura produzione di ricavi [...] (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4157 del 20/02/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 16697 del 03/07/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 16853 del 05/07/2013)» (Cass. n. 18475 del 2016); in tale ottica, al fine di stabilire se sia detraibile, o meno un'attività di acquisto, di ristrutturazione o di costruzione«di un bene da adibire all'esercizio dell'impresa, deve aversi riguardo all'intenzione del soggetto passivo di imposta, confermata da elementi obiettivi, di utilizzare un bene o un servizio per fini aziendali; il che consente di determinare se, nel momento in cui procede all'operazione a monte, detto soggetto passivo agisca come tale, e debba dunque poter beneficiare del diritto a detrazione dell'IVA dovuta o assolta per i detti beni e servizi (sentenze C- 97/90 dell'11/07/1991, Lennartz, e C- 400/98 del 08/06/00, Breitshol; conf. C-334/10 del 19/07/2012)» (Cass. n. 11425 del 2015; conf. Cass. n. 3205 del 2015);

- che il terzo motivo di ricorso, con cui la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 64, comma 1, 75, comma 2, lett. a), e 76, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 546 del 1992 (nella numerazione anteriore a quella introdotta dal d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344), per avere i giudici di appello ritenuto indeducibili i costi per imposte di registro e di bollo, sostenuti in relazione all'acquisto dell'immobile, per difetto di competenza, è infondato in quanto, «in tema di determinazione del reddito d'impresa, ai sensi dell'art. 64, comma primo, del dPR 22 dicembre 1986, n. 917, l'imposta di bollo» - ma lo stesso è a dirsi per l'imposta di registro - «essendo diversa dalle imposte sui redditi e da quelle per le quali è prevista la rivalsa, è deducibile e il criterio per la deducibilità è quello della cassa e non quello della competenza, senza che rilevi in contrario che l'imposta stessa sia stata corrisposta con il metodo virtuale» (Cass. n. 10221 del 2003);

- che, conclusivamente, i motivi di ricorso vanno rigettati e la ricorrente condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Rigetta i motivi di ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.200,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.