Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 ottobre 2016, n. 20965

Lavoro - Mansioni e qualifica - Inquadramento come dirigente - Tardivo riconoscimento - Risarcimento

 

Svolgimento del processo

 

Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda proposta da S.A. volta ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al tardivo riconoscimento del diritto dello stesso all’inquadramento come dirigente, limitando il risarcimento al periodo successivo al 30 giugno 1998 e dichiarando il difetto di giurisdizione per il periodo antecedente a tale data.

La sentenza è stata impugnata con appello principale dalla Regione Lazio relativamente al riconoscimento del diritto al risarcimento per il periodo successivo al 30 giugno 1998 e, con appello incidentale, dal S. che ha contestato la dichiarazione del difetto di giurisdizione per il periodo antecedente. La Corte territoriale di Roma ha accolto l’appello incidentale proposto dal S., dichiarando la giurisdizione del G.O. anche per il periodo precedente al 30/6/1998 ed ha rimesso la causa davanti al primo giudice, compensando interamente le spese dei due gradi di giudizio.

La Corte territoriale osservava, per ciò che qui ancora rileva, che secondo il condivisibile orientamento giurisprudenziale espresso dal Supremo Collegio, l’art. 69, comma settimo, del D.L.gvo 30 marzo 2001, n. 165 (cui corrispondeva, precedentemente, l’art. 45, comma diciassettesimo, del D L.gvo 31 marzo 1998, n. 80), nel trasferire al giudice ordinario le controversie in materia di pubblico impiego privatizzato, pone il discrimine temporale, individuato in relazione alla data del 30 giugno 1998, tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa con riferimento non ad un atto giuridico o al momento dell’instaurazione della controversia, bensì al dato storico costituito dall’avverarsi delle circostanze e dei fatti materiali posti a base della pretesa avanzata; che la Cassazione ha così statuito che se la lesione del diritto del lavoratore è prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento all’epoca della sua emanazione, mentre laddove la pretesa abbia origine da un comportamento illecito permanente del datore di lavoro, sì deve avere riguardo al momento della realizzazione del fatto dannoso e, perciò, al momento della cessazione della permanenza; che nella vicenda dedotta in giudizio l’oggetto della controversia concerne un’ipotesi di responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligo di attribuzione della qualifica dirigenziale derivante da precedenti pronunzie emesse dal giudice amministrativo; che il comportamento inadempiente della Regione non si è realizzato e compiuto con il rifiuto dell’attribuzione della qualifica dirigenziale, ma si è protratto sino alla adozione della determinazione n. 2480 del 5 agosto 2002, con la quale è stato disposto l’inquadramento del S. nella qualifica dirigenziale con decorrenza giuridica ed economica dal 21.4.1990.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Regione Lazio articolando un motivo contenente due censure.

Il S. ha resistito con controricorso ed ha spiegato ricorso incidentale condizionato.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 del codice di rito.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il motivo articolato la parte ricorrente, denuncia, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 353 c.p.c., deducendo che la sentenza oggetto del ricorso di legittimità era stata appellata, in via principale, dalla Regione (che, con due diversi motivi, aveva contestato il riconoscimento del risarcimento per il periodo successivo al 30 giugno 1998) e, in via incidentale, dal S. (che aveva contestato la declaratoria di difetto di giurisdizione per il periodo antecedente a tale data) e lamentando che la Corte di merito ha completamente omesso di pronunciare sull’appello proposto dalla Regione che riguardava le somme riconosciute a titolo di risarcimento danni per il periodo successivo al 30 giugno 1998. Per la qual cosa, la parte ricorrente reputa che si sia in presenza di una omessa pronuncia, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c. e, pertanto, pur avendo la Corte di Appello correttamente disposto la rimessione al giudice di primo grado per la decisione sulla domanda risarcitoria oggetto dell’appello incidentale, ha errato non avendo deciso sui motivi di appello proposti dalla Regione, atteso che, quando il procedimento abbia ad oggetto una pluralità di domande, la rimessione al primo giudice è limitata alla domanda per la quale sia affermata la giurisdizione ed al riguardo deve ravvisarsi anche la violazione dell’art. 353 c.p.c., poiché la Corte avrebbe dovuto applicare la nonna citata in relazione alla sola domanda sulla quale il giudice di primo grado aveva erroneamente dichiarato il proprio difetto di giurisdizione e non anche in relazione alla domanda su cui il giudice di primo grado si era invece già pronunciato nel merito.

2. Con il motivo articolato nel ricorso incidentale condizionato, il S. denuncia, a sua volta, la violazione degli artt. 112 e 353 del codice di rito, a causa dell’omesso esame, da parte della Corte di Appello del secondo motivo di appello incidentale, con il quale il S. lamentava il mancato accoglimento della domanda tendente ad ottenere il risarcimento dei danni da lucro cessante che il Tribunale aveva negato in base alla considerazione che esso costituisse una semplice duplicazione del danno da perdita di chances, non ancorata a voci ulteriori rispetto a quelle già in precedenza esaminate; deduceva, altresì, che la rimessione della causa al primo giudice non avrebbe potuto essere estesa a quella parte della domanda dell’attore che in primo grado era stata accolta nel merito.

3. Il motivo articolato nel ricorso principale è infondato relativamente ad entrambe le censure.

Va premesso che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, risolvendo un contrasto formatosi nella materia, con la sentenza n. 25774 del 2015, hanno enunciato il principio dì diritto in base al quale "è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione la sentenza con cui il giudice di appello, nei casi previsti dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., riforma o annulla la sentenza di primo grado, rimettendo al causa al giudice a quo. Trattandosi di sentenza definitiva, essa non ricade nel campo di applicazione del divieto, dettato dal terzo comma del novellato art. 360 cod. proc. civ., di separata impugnazione in cassazione delle sentenze non definitive su mere questioni, per tali intendendosi le sentenze su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito che non chiudono il processo davanti al giudice che le ha pronunciate, essendo la trattazione della causa destinata a proseguire dinanzi allo stesso giudice in vista della decisione definitiva". Ed alla stregua di tale principio, quindi, la sentenza della Corte di merito di cui si tratta è da considerare sentenza definitiva e, dunque, correttamente oggetto di ricorso di legittimità.

Venendo ora ad esaminare le censure sollevate con il ricorso principale, deve, innanzitutto, osservarsi che il caso all’esame ha riguardo ad una fattispecie unitaria articolata in due periodi: uno precedente al 30 giugno 1998 e l’altro successivo. Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda del ricorrente, dipendente della Regione Lazio, relativa al richiesto risarcimento dei danni conseguenti al riconoscimento tardivo del suo diritto all’inquadramento quale dirigente, per il periodo successivo al 30 giugno 1998, dichiarando il difetto di giurisdizione per il periodo antecedente. La Corte territoriale di Roma, ritenuto che la lesione del diritto del dipendente abbia avuto origine da un comportamento illecito permanente della Regione Lazio e rilevato che, pertanto, deve aversi riguardo - per stabilire alla giurisdizione di quale giudice la controversia appartenga - al momento di realizzazione del fatto dannoso, coincidente con il tempo di cessazione della permanenza della condotta inadempiente, ha reputato, in conformità con l’indirizzo giurisprudenziale della Corte di legittimità espresso, tra le altre, dalle sentenze nn. 15340 del 2006 (S.U.) e 14129 del 2010, che l’intera controversia debba considerarsi attinente al periodo successivo al 30 giugno 1998 ed ha, pertanto, dichiarato la giurisdizione dell’AGO in relazione a tutte le domande proposte dal S., rimettendo la causa al primo giudice.

La matrice unitaria che giustifica la soluzione di questi diversi casi, tra i quali, all’evidenza, si iscrive quello oggetto della odierna decisione, "e fornita dai principi espressi dalla stessa giurisprudenza di legittimità, in riferimento al valore di concentrazione della tutela giurisdizionale, nel segno della sua effettività, nel quadro del principio costituzionale del giusto processo e come premessa di un più impegnativo corollario che è rappresentato dal principio di tendenziale unicità della giurisdizione al fine di non rendere difficile la tutela dei diritti" (così Cass., S.U., n. 6102 del 2012; Cass. n. 24087 del 2011; n. 23731 del 2007; n. 15660 del 2005).

La pronunzia oggetto del presente giudizio (che ha disposto la rimessione della causa davanti al giudice di primo grado, tenendo conto dei principi innanzi enunciati)- che, nella sostanza, "anticipa" quanto affermato dalle S.U. della Corte di Cassazione con la innovativa sentenza n. 3183 del 2012 (da ultimo S.U. 14799 del 2016) - appare sostanzialmente in linea con la pronunzia sopra menzionata (S.U. n. 6102 del 2012), con la quale il rinvio della causa è stato disposto dinanzi al giudice di secondo grado in un caso in cui, però, la pronunzia era stata resa nel merito.

Ma, nella fattispecie, la Corte di Appello di Roma non ha esaminato le censure della Regione avverso la decisione del giudice di prime cure (afferenti l’an ed il quantum del risarcimento da perdita di chances), perché ha in limine, e pregiudizialmente, riformato del tutto detta decisione (come risulta assai eloquentemente dalla lettera del dispositivo), facendo corretta applicazione dell’art. 353 del codice di rito: la riforma totale nella specie adottata è stata cioè intesa non già come frutto del dissenso sul merito della decisione condannatoria del primo giudice bensì come conseguenza obbligata della rimessione per indebita declinatoria dì giurisdizione, alla luce delle ragioni stesse della affermazione della giurisdizione ordinaria.

Il Giudice di appello, dopo aver dissentito dalla declinatoria parziale e dopo aver affermato che essa era errata in ragione della unitarietà del dispiegarsi del rapporto ante e post 30.06.1998, unitarietà non intesa dal Tribunale (che ebbe a provvedere solo sul secondo segmento) ma da riaffermarsi in sede di gravame (con la motivazione del completamento della fattispecie di inadempienza solo nell’anno 2002), ha quindi necessariamente riformato la pronunzia nel suo intero sull’assunto che la cognizione dovesse essere necessariamente ricomposta nel suo contesto unitario. Rettamente, quindi, la Corte di Appello ha devoluto tutta la questione al primo grado, perché ha consapevolmente reputato che, in osservanza della stessa ragione per affermarne la giurisdizione, unica e nuova dovesse essere la cognizione.

Non può dunque ravvisarsi violazione dell’art. 353 c.p.c. per tutto quanto innanzi esplicitato.

Conseguentemente, nessuna violazione dell’art. 112 c.p.c. - per non avere pronunziato sull’appello proposto dalla Regione negli anzidetti termini - può poi ravvisarsi in tale decisione, perché, anche se implicitamente, si comprende, dall'iter argomentativo della stessa Corte che il Collegio ha avuto presente, nella decisione presa, oltre che la lettera dell’art. 353 c.p.c., i principi di speditezza e concentrazione che costituiscono la ratio del trattamento di questi "diversi casi", cui la sentenza delle S.U. n. 6102 del 2012 si riferisce.

La doglianza relativa al fatto che la Corte di Appello non abbia trattenuto tutta la decisione presso di sé non è stata dedotta come motivo di ricorso e, quindi, non può prendersi in considerazione.

Deve, dunque, affermarsi, per tutte le considerazioni che precedono, che le censure sollevate dalla Regione non sono idonee a scalfire le argomentazioni cui è pervenuta la Corte di merito. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Dal rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

La peculiarità della questione giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale; compensa le spese.