Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 aprile 2018, n. 9899

Positivo superamento della prova - Mancata stipula del contratto di lavoro - Piena discrezionalità del datore di lavoro sul se addivenire o meno alla stipula del contratto di lavoro

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda risarcitoria di M. L. fondata sulla mancata stipula da parte della convenuta società E. s.r.l. del contratto di lavoro, nonostante il positivo superamento della prova.

1.1. Il giudice di appello, per quel che ancora rileva, ha escluso la configurabilità di un obbligo a contrarre a carico della E. s.r.l. riconoscendo la piena discrezionalità di quest'ultima nella scelta sul se addivenire o meno alla stipula del contratto di lavoro con il L.; in questa prospettiva ha ritenuto prive di rilievo le deduzioni dell'appellante in ordine al carattere discriminatorio della condotta della società (in quanto asseritamente fondata sulla esistenza di un procedimento penale a carico del L. e su una sentenza di condanna in primo grado non ancora passata in giudicato), alla connessa violazione del principio di cui all'art. 27, comma 2, Cost. relativo alla presunzione di innocenza e delle previsioni degli artt. 164, comma 1, e 166, comma 2, cod. pen.; la richiesta del certificato dei carichi pendenti da parte della società era, infine, da ritenersi del tutto legittima, tant' è che alcuna critica era stata a riguardo avanzata con il ricorso in appello. Secondo la sentenza impugnata, inoltre, la responsabilità risarcitoria neppure poteva farsi derivare dall'allegato affidamento riposto dal L. sulla conclusione del contratto e sulla conseguente rinunzia, nelle more, al reperimento di altra occupazione lavorativa essendo rimasta priva di riscontro probatorio l'allegazione del ricorrente circa le rassicurazioni a riguardo ricevute da C. N., dipendente della E. s.r.l. , il quale, peraltro, non aveva alcun potere di impegnare la società.

1.2. Il giudice di appello ha ritenuto che, in ogni caso, la domanda risarcitoria doveva essere respinta in assenza di allegazione e prova del pregiudizio asseritamente sofferto (danno o morale, economico ed esistenziale) solo genericamente enunciato.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso M. L. sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso

2.1. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 27 Cost., dell’art.164 comma 1 cod. pen., dell'art. 166 comma 2 cod. pen., censurando la decisione per avere escluso rilievo al fatto che la scelta della società di non stipulare il contratto con il L. era stata determinata dalla esistenza di un procedimento penale a carico di questi; ciò in violazione della presunzione di innocenza sancita dall'art. 27 Cost. e delle previsioni di cui alle richiamate disposizioni del codice penale.

Corte di Casi e - copia non ufficiale

2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 comma primo n. 5 cod. proc. civ., omessa motivazione in ordine alla condotta discriminatoria posta in essere dalla società, censurando, in sintesi, la sentenza per non fornire una rappresentazione chiara dell'iter logico seguito nel pervenire al rigetto della domanda. Assume che non era in discussione la libertà contrattuale della E. s.r.l. ma l'esercizio di siffatta libertà in modo discriminatorio, in violazione di diritti fondamentali della persona riconosciuti da norme comunitarie e sovranazionali ( art. 14 CEDU e art. 21 Carta di Nizza) .

3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 27 comma 2 Cost., dell'art. 164 comma 1 cod. pen., dell'art. 166 comma 2 cod. pen.. Censura la decisione per avere, in sintesi, ritenuto legittima la condotta datoriale, omettendo di valorizzare la circostanza, rilevante ai fini dell'esclusione della pericolosità sociale, che il L. aveva ottenuto la sospensione condizionale della pena, con prognosi quindi positiva per il futuro, e che, in particolare, l'art. 166 cod. pen. non consentiva che la condanna a pena sospesa costituisse di per sé sola impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblico o privato.

4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione dell'art. 3 Cost., dell'art. 2059 cod. civ. in relazione all'art. 2729 cod. civ., e dell'art. 4 comma 3 d. Igs n. 215 /2003, censurando, in sintesi, la sentenza di appello con riferimento al principio di parità di trattamento tra individui. Sostiene che la relativa violazione configurava in re ipsa un danno con onere di controparte di provarne l'insussistenza; il pregiudizio allegato, attenendo ad un bene immateriale, rendeva di particolare rilievo la prova presuntiva. Assume, inoltre, sulla base di una serie di riferimenti normativi - art. 44 comma 9 d Igs n. 286/1998, artt. 8 Direttiva 2000/43/CE e 10 direttiva 200/78/CE, art. 4 L n. 125 /1991-, la cui applicazione invoca in via analogica, la necessità di un alleggerimento dell’onere relativo alla dimostrazione della discriminazione.

5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 Cost. e 4 d.lgs n. 215 del 2003, affermando I'error in procedendo della sentenza impugnata per avere omesso di porre al centro dell'iter logico deduttivo la condotta discriminatoria posta in essere dalla E. s.r.l. . In questa prospettiva si duole, tra l'altro, della mancata nomina da parte del giudice di appello di un consulente tecnico d'ufficio, come richiesto.

6. Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 Cost. e dell'art. 4 comma 3 d. Igs n. 215 /20036 , censurando la decisione per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

7. Esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, valorizzate dall'art. 111 Cost., impongono, in applicazione del principio della cd. ragione più liquida (Cass. 21/06/2017 n. 15350; Cass. 19/08/2016 n. 17214; Cass. 28/05/2014 n. 12002), di esaminare per primo il quarto motivo, inteso a censurare la statuizione con la quale il giudice di appello ha ritenuto la domanda risarcitoria non sorretta dalla allegazione e prova del dedotto danno non patrimoniale. Invero, l'accertamento dell'inadempimento della società dell'obbligo a contrarre con il L., oggetto degli altri motivi, non potrebbe, in ogni caso, condurre ad un esito del giudizio favorevole per l'odierno ricorrente ove, come nella fattispecie in esame, dovesse rivelarsi infondato il motivo con il quale viene investita la ritenuta carenza di allegazione e prova del danno, configurante autonoma ratio decidendi alla base della sentenza impugnata.

7.1. L'assunto dal quale muove il motivo in esame in ordine alla configurabilità di un danno in re ipsa (con onere della prova del contrario a carico del danneggiante), conseguente alla lesione di diritti fondamentali della persona, anche di rilievo costituzionale e comunitario, risulta, infatti, destituito di fondamento alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte la quale ha costantemente affermato che il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici (Cass. 24/09/2013, n. 21865; Cass. 14/05/2012, n. 7471 ). In particolare, è stato precisato che il danno non patrimoniale è risarcibile solo ove sussista da parte del richiedente la allegazione degli elementi di fatto dai quali desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio (Cass. 16/02/ 2009, n. 3677) e che tale onere di allegazione va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Cass. 13/05/2011, n. 10527; Cass. 21/06/ 2011, n. 13614). Parte ricorrente, in violazione dell'onere su di essa ricadente al fine della valida censura della sentenza di appello, non ha indicato, prima ancora che dimostrato mediante riproduzione delle pertinenti parti della originaria domanda, quali erano gli specifici e circostanziati elementi di fatto ritualmente allegati i quali, ove provati, avrebbero potuto giustificare, anche solo in via presuntiva, il riconoscimento del dedotto pregiudizio non patrimoniale; ha preferito, infatti, affidarsi a considerazioni sulla sofferenza interiore del L. per lo "sconvolgimento esistenziale" scaturito dalla mancata stipula del contratto, le quali per la loro assoluta genericità non inficiano in alcun modo il decisum di secondo grado.

7.2. La violazione dell'art. 2729 cod. civ., denunziata nel motivo in esame, oltre ad essere, anch'essa, inammissibilmente, affidata a considerazioni di ordine generale senza alcuna evidenziazioni delle circostanze di fatto, ritualmente acquisite al giudizio, che avrebbero potuto fondare, in via presuntiva, l'accertamento del pregiudizio non patrimoniale sofferto dal L., è comunque da respingere in quanto, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi, tuttavia, rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all'utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo ( Cass. 08/01/2015, n. 101; Cass. 02/04/2009, n. 8023; Cass. 21/10/2003, n. 15737).

7.3. Quanto sopra osservato rende ultroneo, per il suo rilievo dirimente, l'esame delle ulteriori deduzioni formulate nella illustrazione del motivo in esame che non investono la mancata allegazione e prova del danno denunziato ma il diverso profilo della prova della violazione del principio di parità di trattamento in relazione al quale si

invoca, in via analogica, il ricorso a strumenti previsti da discipline speciali - art.4 comma 3 d. Igs n. 215/2003 vigente all'epoca dei fatti e poi abrogato dall’art. 34 comma 33 d. Igs n. 150/2011 e art. 4 Legge n. 125/1991.

8. A tanto consegue, assorbito l'esame dei motivi primo, secondo, terzo e quinto attinenti, come detto, alla verifica dell'accertamento di una condotta contra ius imputabile alla società e rilevata la inammissibilità del sesto motivo per assoluta genericità dello stesso in quanto parte ricorrente, pur denunziando omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ne omette la concreta individuazione, il rigetto del ricorso.

9. Le spese del giudizio sono liquidate secondo soccombenza.

10. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.