Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 luglio 2017, n. 18692

Contratto di agenzia - Indennità suppletiva di clientela - Ammissione al passivo fallimentare come crediti privilegiati - Esclusione - Natura risarcitoria dell’indennità

 

Rilevato che

 

M.M., già agente della C.M.C. S.p.a. in liquidazione, ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso il decreto del 23 giugno 2016, con cui il Tribunale di Perugia ha rigettato l'opposizione da lui proposta avverso lo stato passivo del fallimento della società, avente ad oggetto, tra l'altro, l'ammissione al passivo, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751 - bis n. 3 cod. civ., di un credito di Euro 68.232,58 per indennità suppletiva di clientela, già ammesso al passivo in via chirografaria;

che il curatore del fallimento ha resistito con controricorso; che il Collegio ha deliberato, ai sensi del decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016, che la motivazione dell'ordinanza sia redatta in forma semplificata.

Considerato che con il primo motivo d'impugnazione il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1751 e 2751 -bis n. 3 cod. civ. e dell'art. 10 dell'Accordo economico collettivo 20 marzo 2002, censurando il decreto impugnato per aver escluso l'applicabilità del privilegio, senza tener conto del tenore letterale dell'art. 2751-bis n. 3, che si riferisce a tutte le indennità dovute per la cessazione del rapporto di agenzia, e della natura retributiva e non già risarcitoria dell'indennità suppletiva di clientela, calcolata in percentuale sull'ammontare globale delle provvigioni corrisposte ed avente come funzione quella di compensare la perdita delle provvigioni determinata dalla cessazione del rapporto di agenzia;

che, com'è noto, l'indennità suppletiva di clientela costituisce un istituto di origine contrattuale, in quanto introdotta dall'Accordo economico collettivo 18 dicembre 1974 e conservata negli accordi successivi, applicabile agli agenti il cui rapporto sia regolato, direttamente o per relationem, da detti accordi e per la sola ipotesi che il contratto si sciolga per iniziativa del mandante, oppure nell'ipotesi di dimissioni dell'agente dovute a sopravvenuta inabilità permanente o totale o successiva al conseguimento della pensione di vecchiaia;

che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, tale emolumento non ha natura retributiva, in quanto, pur avendo come base di calcolo l'ammontare globale delle provvigioni corrisposte nel corso del rapporto, non svolge una funzione sostitutiva delle stesse o risarcitoria della relativa perdita, configurandosi piuttosto come un compenso indennitario volto a ristorare l'agente del particolare pregiudizio, diverso da quello della mancata percezione delle provvigioni durante il periodo di virtuale preavviso, derivante dalla perdita della clientela procurata al preponente nell'ambito del rapporto di agenzia (cfr. Cass., Sez. lav., 25/02/2012, n. 8295; 10/09/2009, n. 19508; Cass., Sez. II, 16/12/2004, n. 23455);

che, pertanto, anche a voler interpretare estensivamente l'art. 2751 - bis n. 3 cod. civ., attribuendo il significato più ampio possibile alla nozione di «indennità dovute per la cessazione del rapporto», adoperata in tale disposizione, deve escludersi la possibilità di ricondurre alla predetta espressione anche l'indennità in questione, non ricorrendo, in riferimento a tale istituto, la ratio del privilegio accordato dalla norma in esame, consistente nel rafforzare la tutela dei crediti derivanti dalla prestazione di lavoro autonomo o parasubordinato, attraverso il riconoscimento della medesima collocazione privilegiata prevista per quelli retributivi derivanti da rapporti di lavoro subordinato, in quanto destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore e della sua famiglia (cfr. Cass., Sez. I, 10/11/2011, n. 23491; 26/08/2005, n. 17396; nel medesimo senso, Corte cost., sent. n. 1 del 2000);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., censurando il decreto impugnato per aver immotivatamente disposto la compensazione delle spese processuali, nonostante l'accoglimento della domanda;

che, in quanto instaurato in data successiva al trentesimo giorno dalla entrata in vigore dell'art. 13 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, che ha sostituito il secondo comma dell'art. 92 cod. proc. civ., il presente giudizio è assoggettato alla disciplina dettata dal testo vigente di quest'ultima disposizione, che ammette la compensazione totale o parziale delle spese processuali, oltre che nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, anche se vi è soccombenza reciproca;

che nella specie, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il decreto impugnato non ha accolto integralmente l'opposizione allo stato passivo, avendo disposto l'ammissione al passivo del credito per interessi moratori sulle somme complessivamente ammesse al passivo, ed avendo invece rigettato la domanda di riconoscimento del privilegio sui crediti ammessi al passivo per indennità suppletiva di clientela, fondo indennità di risoluzione rapporto e provvigioni maturate entro l'anno dal fallimento in virtù di prestazioni rese in epoca anteriore;

che correttamente, pertanto, il decreto impugnato ha richiamato la nozione di soccombenza reciproca, ricorrente non solo nell'ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, ma anche nell'ipotesi di accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, tanto allorché, come nella specie, quest'ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti soltanto alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (cfr. Cass., Sez. IlI, 22/02/2016, n. 3438; 21/10/2009, n. 22381; Cass., Sez. VI, 23/09/2013, n. 21684);

che il ricorso va dunque rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 - quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.