Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 gennaio 2017, n. 1186

Rapporto di lavoro a tempo pieno - Coltivatore diretto - Esenzione dal pagamento dei contributi previdenziali - Rapporto di lavoro part-time

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso al Tribunale di Bolzano in data 22.1.2009 K. C. proponeva opposizione nei confronti dell'INPS e della SCCI spa avverso la cartella esattoriale 021 2008 00090123 85 per il recupero dei contributi maturati nel periodo da febbraio 2006 a gennaio 2008 e relativi al dipendente M. H.

Nell'assunto dell'INPS questi era un dipendente a tempo pieno e non a tempo parziale con la conseguenza che la sua assunzione non dava diritto alla esenzione contributiva di cui all'articolo 18 legge 97/1994, relativa all'impiego nei comuni montani di coltivatori diretti iscritti alla relativa cassa previdenziale.

Il Tribunale, con sentenza del 29.1.2010 (nr. 25/10), rigettava la opposizione ritenendola tardiva.

La Corte d'Appello di Trento - sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 27.10- 2.11.2010 (nr. 41/2010), in parziale accoglimento dell'appello del datore di lavoro, riteneva tempestiva la opposizione, confermava l'importo dei contributi posto in recupero e provvedeva alla riduzione delle somme aggiuntive.

Per quanto rileva in questa sede, osservava che la esenzione dal pagamento dei contributi previdenziali, ex articolo 18 comma 1 legge 97/1994, era legata alla costituzione di rapporti di lavoro part time mentre il rapporto di causa era a tempo pieno, come risultava al punto 8 del contratto di lavoro, nel quale si indicava un orario di lavoro settimanale di quaranta ore.

La dichiarazione di cui al punto 7 del contratto, secondo la quale il lavoratore era stato assunto nell'ambito della legge 97/1994 articolo 18, attestava unicamente la intenzione del datore di lavoro di non versare i contributi previdenziali.

Gli articoli 2 ed 8 del D.L.vo 61/2000 prevedevano per il rapporto di lavoro part time la forma scritta ad probationem ed il comma 1 dello stesso articolo 8 ammetteva la prova per testi nel solo caso di perdita incolpevole del documento.

Per queste ragioni non poteva essere ammessa la prova testimoniale articolata dall'opponente, anche nel grado di appello; né tale prova avrebbe potuto essere ammessa d'ufficio ex art. 421 c.p.c.., perché il potere-dovere del giudice del lavoro di ammettere i mezzi di prova anche fuori dai limiti del codice civile si riferiva ai limiti fissati in via generale per la prova testimoniale e non anche ai requisiti di forma fissati per specifici contratti, ad substantiam ovvero ad probationem.

Le somme aggiuntive dovevano essere ridotte, trattandosi di una ipotesi di omissione e non di evasione contributiva.

Per la cassazione della sentenza ricorre K. C., articolando quattro motivi.

Il difensore dell'INPS è della SCCI ha depositato procura alle liti.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in riferimento agli articoli 1362 e segg. cc. nonché omessa e contraddittoria motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo.

La censura attiene alla interpretazione del contratto di lavoro come contratto full time.

Il ricorrente ha esposto:

- che nel documento le parti si riferivano alla applicazione dell'articolo 18 della legge 97/1994, clausola essenziale del contratto;

- che nella comunicazione di assunzione all'ufficio del Lavoro, all'INPS ed INAIL si richiamava l'articolo 18 della legge suddetta;

- che nella esecuzione del rapporto l'orario di lavoro era stato inferiore di circa il 40% rispetto al tempo pieno, come risultava dal registro delle presenze.

La indicazione dell'orario di quaranta ore settimanali era frutto di un errore materiale.

Ha dedotto la violazione da parte del giudice del merito dei canoni interpretativi della comune intenzione delle parti, del significato complessivo delle clausole, della interpretazione del contratto secondo buona fede.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunziato:

- ai sensi dell'articolo 360 nr. 4 c.p.c.: la nullità della sentenza e/o del procedimento nonché

- ai sensi dell'articolo 360 nr. 5 c.p.c.: omessa motivazione su un punto decisivo e controverso

- violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2725 e 420 c.p.c. Il motivo attiene alla pronunzia di inammissibilità della prova del testi e di inapplicabilità dei poteri istruttori officiosi di cui all'articolo 421 c.p.c..

Il ricorrente ha dedotto che la prova per testi, come dai capitoli trascritti in ricorso, non verteva sul contratto ma sulla sua esecuzione, rispetto alla quale non operavano i limiti previsti dall'articolo 2725 cc.; per le stesse ragioni il giudice del merito avrebbe dovuto ammettere la prova anche nell'esercizio dei suoi poteri ex art. 421 c.p.c..

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha denunziato:

- ai sensi dell'articolo 360 nr. 4 c.p.c.: la nullità della sentenza e/o del procedimento nonché - violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2725 e 420 c.p.c.

- ai sensi dell'articolo 360 nr. 5 c.p.c.: omessa motivazione su un punto decisivo e controverso.

Il motivo attiene alla mancata acquisizione della consulenza tecnica d'ufficio, richiesta nell'atto di appello, onde accertare le ore effettivamente lavorate dal dipendente, che erano coerenti alla dedotta natura di rapporto a tempo parziale.

I prime tre motivi, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

Giova premettere che l'articolo 18 co. 1 L. 97/1994 (come modificato dalla L. 25 dicembre 1995, n. 213, art. 1), prevede che le imprese e i datori di lavoro aventi sedi ed operanti nei comuni montani, in deroga alle norme sul collocamento della mano d’opera, possono assumere senza oneri previdenziali, a tempo parziale, ai sensi dell'articolo 5 del decreto- legge 30 ottobre 1984, n. 726 o in forma stagionale, coltivatori diretti residenti in comuni montani iscritti allo SCAU.

L'articolo 5 DL 726/1984, richiamato dalla norma citata, prevedeva che il contratto di lavoro a tempo parziale dovesse stipularsi per iscritto e che in esso dovessero essere indicate le mansioni e la distribuzione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno; non individuava, invece, le conseguenze della violazione delle suddette prescrizioni formali, che sono state enucleate, pertanto, da consolidata giurisprudenza di questa Corte nel senso della nullità del contratto part time, quanto meno nel caso della mancata indicazione della durata oraria (da ultimo: Cass. sez. lav. 8.3.2016 nr. 4494).

La disciplina del DL 726/1984 è stata successivamente superata dal D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, recante attuazione della direttiva 97/81/CE, che, in punto di forma, ha riprodotto, con l'articolo 2, il previgente requisito orario.

L'articolo 8 ha invece espressamente disciplinato da un lato il regime della forma - prevedendo che la forma scritta è richiesta a fini di prova- dall'altro le conseguenze della sua violazione.

L’intera disciplina, dapprima integrata ed innovata dal D.lvo 276/2003, è stata poi abrogata dal D.Lgs. n. 81 del 2015.

Tanto premesso in ordine al quadro normativo di riferimento, deve puntualizzarsi che il rinvio contenuto nell'articolo 18 co.l L. 97/1994- ai fini della esenzione contributiva qui in esame- alle assunzioni a tempo parziale effettuate ai sensi dell’articolo 5 del decreto- legge 30 ottobre 1984, n. 726 deve intendersi come rinvio mobile o non recettizio; nello speciale regime previdenziale, cioè, rileva il tipo contrattuale- come nel tempo disciplinato- e non già la circostanza che la assunzione sia avvenuta nella vigenza di uno specifico testo normativo (il DL 726/1984).

Correttamente, dunque, il giudice del merito ha verificato la applicabilità del beneficio alla luce della normativa sopravvenuta del D.Lvo 61/2000.

La questione qui dibattuta consiste negli effetti sotto il profilo della esenzione contributiva della mancanza nel contratto scritto della durata e della articolazione oraria della prestazione part time (essendo anzi indicato - nell'assunto della parte ricorrente per errore materiale - un orario di lavoro full time).

Ritiene questa Corte che la violazione del requisito formale- (sia pure richiesto per il contratto di causa soltanto ad probationem e con le conseguenze sul rapporto di lavoro previste dall'articolo 8 D.Lvo 61/2000) - sia di per sé preclusiva nel rapporto previdenziale del riconoscimento del regime contributivo agevolato.

In tal senso è utile il richiamo alla giurisprudenza formatasi nella vigenza del

precedente regime generale nella materia previdenziale del part time, come disciplinato dall'art. 5, comma 5, del DL 726/1984 ( che prevedeva il minimale contributivo orario invece che il minimale giornaliero); si è al riguardo affermato, con indirizzo consolidato, che al contratto di lavoro parziale che abbia avuto esecuzione pur essendo nullo per difetto di forma non può applicarsi la disciplina della contribuzione previdenziale prevista dal predetto articolo 5, comma 5 ma deve applicarsi il regime ordinario di contribuzione (Cassazione civile, sez. lav., 30/09/2014, n. 20591; Cass. 11584/11; Cass. n. 52/09; Cass. n. 11011/08; Cass. n. 16670/04; Cass. 17271/204; Cass. S.U. n. 12269/04).

Tale conclusione, a partire da Cass. SU 12269/04, non è stata fondata sulla ritenuta nullità del contratto part time privo del requisito di forma ma piuttosto sul rilievo che il sistema contributivo regolato dall'articolo 5 c. 5 del DL 726/1984 è applicabile solo in presenza di tutti i presupposti formali previsti dai precedenti commi.

In tal senso si è evidenziato che per ragioni logico - sistematiche sarebbe privo di razionalità un eventuale sistema che imponesse ai soggetti rispettosi della legge l'osservanza del "principio minimale" - ( con l'applicazione per esigenze solidaristiche di minimali contributivi anche superiori alle retribuzioni corrisposte)- e nello stesso tempo assicurasse un trattamento privilegiato a quanti nello stipulare un contratto part - time si fossero sottratti alle prescrizioni di legge, così agevolando di fatto forme di lavoro irregolare.

Tale principio è stato applicato da questa Corte (Cassazione civile, sez. lav., 26/05/2011, n. 11584 e 30/09/2014 n. 20591) anche nelle fattispecie in cui il contratto a tempo parziale era stato pattuito in forma verbale validamente, giacché in epoca anteriore all'entrata in vigore del D.L. n. 726 del 1984, affermandosi che in tali casi il contratto a tempo parziale resta sì valido ma ai fini dell'ottenimento del regime contributivo ridotto è richiesto il requisito della forma scritta, con conseguente onere delle parti di riprodurre per iscritto il rapporto.

Si legge in Cass. 20591/2014 sopra citata: "al di là della validità o meno di tale contratto, permane la ragione di fondo del principio giurisprudenziale sopra ricordato, che è quella di consentire l'applicazione del minimale contributivo orario solo in presenza di validi contratti part time stipulati ai sensi del cit. D.L. n. 726 del 1984, poiché tale regime di favore in tanto si giustifica in quanto si sia in presenza d'un contratto stipulato per iscritto, che indichi le mansioni e la distribuzione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno, affinché gli organi amministrativi di controllo - cui deve essere inviata entro trenta giorni una copia del contratto medesimo - possano effettuare le dovute verifiche.

Tale ratio risulterebbe frustrata se il minimale contributivo orario si potesse applicare anche a contratti il cui contenuto, proprio perché non risultante da atto scritto, restasse di incerta individuazione".

La suddetta ratio, in quanto indipendente dalla validità della pattuizione del part time tra le parti del contratto di lavoro, resta riferibile anche ai casi in cui, nel regime di cui al D.Lvo 61/2000, la forma scritta sia richiesta soltanto ad probationem.

Resta da aggiungere che ciò che vale per il regime contributivo generale del tipo contrattuale del part time, a fortiori deve applicarsi nella fattispecie di causa, in cui la speciale norma agevolativa della legge 97/1994 prevede addirittura la totale esenzione del datore di lavoro dal pagamento dei contributi.

Dalla ricognizione sin qui compiuta deriva:

- la inammissibilità del primo motivo di ricorso, per difetto di interesse della parte, giacché un eventuale vizio di interpretazione da parte del giudice del merito della volontà delle parti del contratto di lavoro non rileverebbe comunque sul piano del rapporto previdenziale;

- il rigetto del secondo e terzo motivo di ricorso, in quanto esattamente il giudice dell'appello non ha dato ingresso ai mezzi istruttori, pur dovendo correggersi in punto di diritto le motivazioni della sentenza, ai sensi dell'articolo 384 u.c. c.p.c., con il richiamo ai principi sopra esposti.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto violazione e/o falsa applicazione degli artt. 97 e 1227 c.c. nonché omessa o contraddittoria motivazione in relazione a fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La censura afferisce alla statuizione di condanna al pagamento delle somme aggiuntive, in accoglimento soltanto parziale dell'appello sul punto.

Il ricorrente ha esposto di avere dedotto con l'atto di appello di non essere tenuto al pagamento delle somme aggiuntive giacché l'INPS avrebbe dovuto verificare il regime previdenziale applicabile subito dopo la comunicazione della assunzione; il controllo era stato eseguito soltanto dopo due anni sicché vi era concorso colposo del creditore nella produzione del danno.

Il motivo è infondato.

Le somme aggiuntive appartengono alla categoria delle sanzioni civili, vengono applicate automaticamente in caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi assicurativi e consistono in una somma ex lege predeterminata il cui credito sorge de iure alla scadenza del termine legale per il pagamento del debito contributivo, in relazione al periodo di contribuzione ( da ultimo : Cassazione civile, sez. un., 13/03/2015 n. 5076).

Alla sanzione civile non sono dunque riferibili, per i suoi caratteri di automatismo e di determinazione ex lege, i principi di diritto relativi alla liquidazione del danno derivante dall'inadempimento delle obbligazioni (ed in particolare l'articolo 1227 cc), di cui con il motivo si lamenta la mancata applicazione.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 100 per spese ed € 1.100 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.