Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 gennaio 2017, n. 1915

Lavoro - Dirigente scolastico - Esito negativo della prova - Recesso  - Onere probatorio

 

Svolgimento del processo

 

1 - La Corte di Appello di Salerno, in riforma della sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore, ha respinto la domanda proposta da E. V., la quale aveva adito l'autorità giudiziaria chiedendo la disapplicazione dell'atto con il quale il 24 luglio 2012 il Dirigente scolastico dell'Istituto Comprensivo "C. B." di Cogliate, all'esito dell'anno di prova e previo giudizio espresso dal Comitato di Valutazione, l'aveva dispensata dal servizio. La ricorrente aveva domandato, inoltre, l'accertamento del diritto ad effettuare un ulteriore anno di prova e la condanna dell’amministrazione alla adozione di ogni provvedimento necessario a tal fine, nonché al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

2 - La Corte territoriale ha escluso che il provvedimento dovesse essere adottato previa acquisizione del parere obbligatorio del Consiglio Scolastico Provinciale, previsto dall'art. 439 del d.lgs. n. 297 del 1994, ed ha rilevato che la disposizione in parola era stata implicitamente abrogata, per incompatibilità con la disciplina generale desumibile dal combinato disposto dell'art. 14 del d.p.r. n. 275 del 1999 e dell'art. 25 bis, comma 4, del d.lgs. n. 29 del 1993.

3 - Ciò premesso il giudice di appello ha anche rilevato che nell'impiego pubblico contrattualizzato valgono gli stessi principi affermati per il rapporto di lavoro privatistico in tema di recesso per esito negativo della prova, per cui la valutazione espressa non può essere sindacata nel merito né il datore di lavoro ha l'onere di provare le ragioni di detta valutazione negativa. Nel caso di specie la documentazione prodotta era sufficiente per dimostrare l'osservanza formale e sostanziale delle disposizioni che nell'ambito scolastico regolano il periodo di prova, poiché tutti gli atti convergevano verso una omogenea valutazione non positiva.

4 - Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso E. V. sulla base di tre motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. Il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca Scientifica e l'Istituto Comprensivo Statale C. B. di Cogliate sono rimasti intimati.

 

Motivi della decisione

 

1.1 - Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 n. 3 c.p.c., violazione dell'art. 439 del d.lgs. n. 297 del 1994, dell'art. 14 del d.p.r. n. 275 del 1999, dell'art. 25 del d.lgs. n. 165 del 2001. Sostiene che nell'impiego pubblico contrattualizzato la regolamentazione del periodo di prova è stabilita dalla legge, in quanto la contrattazione collettiva può solo incidere sulla determinazione della durata dello stesso. Nell'ambito scolastico la disciplina è tuttora dettata dall'art. 439 del d.lgs. n. 297 del 1994, che prevede uno speciale procedimento con l'intervento di un organo terzo, individuato nel Consiglio Scolastico Provinciale, e stabilisce, inoltre, che possa essere concessa al docente la proroga di un altro anno scolastico, finalizzata ad acquisire ulteriori elementi di valutazione. Nel caso di specie, pertanto, il Dirigente avrebbe dovuto trasmettere gli atti all'organo competente a rendere il parere, anche perché in tal modo sarebbe stata assicurata la partecipazione della docente al procedimento.

1.2 - Il secondo motivo censura la sentenza impugnata denunciando, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione delle disposizioni di legge sopra richiamate nonché degli artt. 437 e 438 del d.lgs. n. 297 del 1994. Rileva che erroneamente la Corte territoriale ha richiamato principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione a fattispecie non assimilabili a quella oggetto di causa. Ribadito che per il personale scolastico le modalità di espletamento della prova sono disciplinate dalla legge, sostiene che la scelta fra la dispensa del docente e la concessione della proroga deve essere espressamente motivata, tanto più che le modalità di reclutamento del personale fanno sì che la immissione in ruolo segua ad un lungo periodo di precariato. Richiama l'art. 1, comma 119, della legge 13 luglio 2015 n. 107 che, appunto, prevede che in caso di valutazione negativa il docente debba essere sottoposto ad un secondo periodo di formazione di prova, non rinnovabile.

1.3 -Con il terzo motivo la ricorrente si duole, sotto altro profilo, della violazione delle norme di legge sopra richiamate e rileva che nella specie il Dirigente Scolastico avrebbe violato la circolare dell'11 aprile 2012, con la quale sono state disciplinate le attività inerenti l'effettuazione della prova. Sostiene che sarebbero stati omessi gli incontri periodici con la docente e che il tutor non avrebbe mai effettuato visite in classe, né visionato i programmi ed i registri, omettendo, altresì, di svolgere le funzioni di ausilio al lei affidate. Aggiunge che il Comitato di Valutazione, mai riunitosi durante l'anno scolastico, nella seduta del 29 giugno 2012 era formato da soli quattro docenti, di cui due non conoscevano neppure la ricorrente perché assegnati ad altre sedi.

2 - Il primo motivo è infondato perché la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto affermato da questa Corte che, nel respingere il ricorso proposto avverso la sentenza di appello richiamata nella decisione qui impugnata,

ha statuito che " la dispensa dal servizio per esito sfavorevole della prova del personale scolastico, in quanto atto gestionale del rapporto di lavoro, appartiene alla competenza del dirigente scolastico ai sensi dell'art. 25 del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché dell'art. 14 del d.P.R. n. 275 del 1999, non rientrando tra le competenze escluse dall'art. 15 del predetto d.P.R. o "da altre disposizioni" che esplicitamente riservino l'attribuzione di funzioni all'amministrazione centrale o periferica" ( Cass. 13.9.2016 n. 17967).

A dette conclusioni la Corte è giunta all'esito di un approfondito esame degli interventi normativi succedutesi nel tempo, che hanno comportato, quanto alla competenza ed al procedimento, la abrogazione implicita della disciplina dettata dall'art. 439 del d.lgs. n. 297 del 1994, invocato dalla difesa della ricorrente.

Il principio di diritto, condiviso dal Collegio, deve essere ribadito, perché fondato su ragioni, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., che non vengono scalfite dagli argomenti sviluppati nel ricorso per sostenere la perdurante vigenza della disposizione e, quindi, della competenza del Consiglio Scolastico Provinciale a rendere, prima dell'adozione della dispensa, il parere non vincolante ma obbligatorio.

2.1 - Né si può sostenere che la attribuzione del potere di adozione dell'atto al dirigente scolastico avrebbe lasciato inalterate per il resto le regole del procedimento fissate dal richiamato art. 439 del d.lgs., posto che l'intervento di un organo consultivo provinciale o nazionale ( il T.U. prevede, infatti, l'intervento del Consiglio Nazionale per i docenti degli istituti di istruzione secondaria superiore) è strettamente correlato alla originaria competenza della amministrazione statale periferica e risulta priva di giustificazione nel momento in cui alle istituzioni scolastiche è stata attribuita autonomia funzionale, della quale è espressione il potere del dirigente di gestione delle risorse e del personale.

Dette conclusioni non contrastano con quanto affermato, in motivazione, da Cass. 27 giugno 2013 n. 16224, poiché in quel giudizio non erano state prospettate le questioni che qui vengono in rilievo e si discuteva unicamente della tempestività della proroga, intervenuta dopo la scadenza dell'anno di servizio, che la sentenza ha ritenuto sussistente in considerazione della complessità del procedimento che, in quel caso, era stato ( erroneamente) attivato.

Si deve, poi, aggiungere che la avvenuta abrogazione, per incompatibilità, delle competenze originariamente assegnate al Provveditore agli Studi ed al Consiglio Scolastico Provinciale non è smentita dal tenore dell'art. 1 della legge 13 luglio 2015 n. 107 che, dopo aver previsto al comma 117 "Il personale docente ed educativo in periodo di formazione e di prova è sottoposto a valutazione da parte del dirigente scolastico, sentito il comitato per la valutazione istituito ai sensi dell'articolo 11 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297", al comma 120 aggiunge "Continuano ad applicarsi, in quanto compatibili con i commi da 115 a 119 del presente articolo, gli articoli da 437 a 440 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297".

Il comma 117, quanto alla questione della competenza alla adozione dell'atto e del parere endoprocedimentale, pur provvedendo solo per il futuro, conferma indirettamente la tesi della avvenuta abrogazione implicita per incompatibilità, poiché assegna la valutazione al dirigente scolastico e la funzione consultiva al solo comitato per la valutazione, istituito all'interno dell'istituto.

Il rinvio all'intera disciplina del periodo di prova dettata dal Testo Unico opera, pertanto, con riferimento ai precetti di carattere sostanziale contenuti nelle richiamate disposizioni ed in particolare, con riferimento all'art. 439, al principio, che è l'unico che sopravvive alla abrogazione implicita di cui si è detto ed alla diversa disciplina della proroga dettata dalla legge n. 107 del 2015, in forza del quale per il personale proveniente da altro ruolo l'esito negativo della prova comporta "la restituzione al ruolo di provenienza, nel quale il personale interessato assume la posizione giuridica ed economica che gli sarebbe derivata dalla permanenza nel ruolo stesso".

2.2 - Il motivo è infondato anche nella parte in cui rileva che l'omessa richiesta del parere del Consiglio Scolastico Provinciale avrebbe impedito alla docente di partecipare al procedimento, attraverso l'audizione, di solito disposta dal Consiglio.

La norma invocata dalla ricorrente, come si è detto abrogata in parte qua, non prevede l'adempimento procedimentale che sarebbe stato omesso né può parlarsi nella fattispecie di un diritto di difesa dell'insegnante, del quale l'amministrazione dovrebbe consentire l'esercizio prima della adozione dell'atto. Invero la dispensa dal servizio per esito negativo della prova non ha natura disciplinare perché, come accade nell'impiego privato, il recesso del datore di lavoro ha carattere discrezionale, non richiede che venga data la prova delle ragioni per le quali la valutazione negativa è stata espressa, e non può essere sindacato dal giudice se non nei casi in cui si assuma una divergenza dell'atto rispetto alle finalità della sperimentazione o una non corretta conduzione della prova medesima.

3 - Il secondo motivo è inammissibile, nella parte in cui asserisce che la mancata concessione della proroga del periodo di prova doveva essere giustificata attraverso puntuale ed adeguata motivazione, ed è infondato per il resto.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare che "qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità della censura per novità della questione, ha l'onere non solo di allegare la sua avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di specificità del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa" (Cass. n. 17967/2016).

La sentenza impugnata non contiene alcuna pronuncia sull'obbligo per il dirigente di motivare la mancata concessione della proroga, poiché affronta solo la questione, diversa da quella posta nel motivo, della motivazione dell'atto di recesso, quanto alla valutazione negativa del servizio prestato nell'anno di formazione.

E' utile sottolineare al riguardo che la decisione, nella parte in cui sintetizza le ragioni poste nell'originario atto introduttivo a fondamento della domanda, sottolinea che la ricorrente aveva lamentato la "mancata attivazione del potere di concedere la proroga", non già l'omessa motivazione circa la non necessità della proroga stessa.

Era, pertanto, onere della ricorrente allegare di avere inserito sin dal primo grado la questione nel thema decidendum del giudizio e di averla riproposta in appello al fine di evitare le preclusioni che discendono dall'art. 346 c.p.c.

3.1 - Il motivo è, poi, infondato nella parte in cui invoca l'art. 1, comma 119, della legge n. 107 del 2015 ( la norma dispone: "In caso di valutazione negativa del periodo di formazione e di prova, il personale docente ed educativo è sottoposto ad un secondo periodo di formazione e di prova non rinnovabile") per sostenere che la proroga dovrebbe costituire la normalità, in considerazione delle conseguenze che la dispensa produce.

La disposizione invocata ha carattere innovativo rispetto alla precedente disciplina, che consentiva la proroga stessa nei casi in cui fosse stata ritenuta necessaria la acquisizione di ulteriori elementi di valutazione.

Detta necessità è stata evidentemente esclusa nella fattispecie perché, come si sottolinea nella sentenza impugnata con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, tutta la documentazione esprimeva una "omogenea valutazione non positiva del periodo di prova".

4 - Inammissibile è anche il terzo motivo con il quale si sostiene che la prova e la successiva valutazione della stessa sarebbero state effettuate senza il necessario rispetto degli adempimenti imposti dalla circolare n. 2761 dell'11.4.2012 e senza che il tutor avesse affiancato la ricorrente ed effettuato una attenta osservazione della attività didattica dalla stessa resa.

Le circolari della Pubblica Amministrazione sono atti interni destinati ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l'attività degli organi inferiori e, quindi, hanno natura non normativa, ma di atti amministrativi ( Cass. 10.8.2015 n. 16644) con la conseguenza che la loro violazione non può essere ricondotta al vizio di cui all'art. 360 n. 3 c.p.c..

La Corte territoriale, inoltre, ha ampiamente motivato sulla "osservanza formale e sostanziale delle disposizioni che regolano il periodo di prova" ed in particolare ha esaminato la documentazione prodotta, rilevando che la stessa smentiva le doglianze della V. relative alla mancanza di attività di formazione, all'omessa segnalazione degli aspetti dell'attività didattica poi ritenuti manchevoli, all'assenza di una funzione di guida del neo assunto.

Ha aggiunto che non poteva pervenirsi a diverse conclusioni sulla base delle dichiarazioni della teste D. P., poiché quest'ultima era rimasta coinvolta in una vicenda analoga a quella oggetto di causa.

Il motivo sollecita una revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, inammissibile perché si risolverebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità, ed esorbitando dai limiti posti dalla nuova formulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c..

5 - La mancata costituzione degli intimati esime dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dalla ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.