Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 novembre 2018, n. 28029

Rapporto di lavoro - Sottoscrizione buste paga - Carattere di quietanza - Accertamento

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato l'opposizione proposta da M.G. avverso il decreto ingiuntivo con il quale T.T. aveva intimato il pagamento della somma di € 20.622,10 per retribuzioni relative al periodo gennaio 2003/giugno 2004 (€ 15.589,80) e trattamento di fine rapporto (€ 5.032,30).

2. La Corte territoriale ha accertato che la sottoscrizione apposta dal lavoratore in calce alle buste paga non aveva valore di quietanza ma attestasse solo la ricezione delle stesse e che, perciò, era onere del datore di lavoro, che non vi aveva adempiuto, dimostrare l'effettiva erogazione delle somme ivi riepilogate. Quanto al TFR la Corte di merito ha escluso che le cifre indicate in due fogli di agenda prodotti dal datore di lavoro prive di specificazione di una causale potessero essere riferite ad anticipi erogati al T.

3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso M.G. affidato a due motivi al quale resiste T.T. con tempestivo controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell'art. 2697 cod. civ. in combinato disposto con gli artt. 111 Cost. e 2729 cod. civ. e 99 e 100 cod. proc. civ.. Sostiene il ricorrente che gravava sul lavoratore dimostrare il fondamento del proprio credito e, nello specifico, che le somme a lui erogate non corrispondevano a quelle riportate nelle buste paga depositate e ciò a maggior ragione ove le stesse siano state sottoscritte dal lavoratore all'atto della consegna. Perciò depositando in giudizio le buste paga il datore di lavoro aveva assolto all'onere probatorio che su di lui incombeva. Ed infatti il lavoratore le aveva genericamente contestate e le modalità di compilazione delle buste paga doveva convincere del fatto che, in mancanza di prova del contrario, erano state sottoscritte per quietanza. Sottolinea che la testimonianza del teste indotto dal lavoratore era priva di valenza probatoria in quanto riportava una ricostruzione dei fatti appresa dallo stesso lavoratore.

5. La censura, per taluni aspetti inammissibile, è comunque infondata. Va premesso che il motivo di ricorso è generico nella parte In cui, invocando un'errata distribuzione degli oneri probatori ed una non corretta valorizzazione del materiale probatorio, trascura di riportare il contenuto della prova testimoniale e delle buste paga, di cui si denuncia una non corretta valorizzazione nella ricostruzione della prova offerta in giudizio. Ma la censura è del pari infondata alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato che le buste paga, ancorché sottoscritte dal lavoratore con la formula "per ricevuta" (e nello specifico non è dato sapere neppure se tale formula fosse presente), costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna ma non anche dell'effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore di lavoro, attesa l'assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore, il quale può provare l'insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni eventualmente apposte (cfr. tra le tante Cass. 27/04/2018 n. 10306, 26/10/2017 n. 25463 e 24/06/2016 n. 13150). Premesso che la sottoscrizione "per ricevuta" apposta dal lavoratore alla busta paga non implica, in maniera univoca, l'effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento, e pertanto la suddetta espressione non è tale da potersi interpretare alla stregua del solo riscontro letterale, imponendo invece il ricorso anche agli ulteriori criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e seguenti cod. civ. (cfr. Cass. 24/06/1998 n. 6267) va qui ribadito che non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga ed è sempre possibile l'accertamento della insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle busta paga (cfr. Cass. 14/07/2001 n. 9588).

6. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di analizzare le dichiarazioni rese dal teste C. che aveva riferito che il T. quando veniva a ritirare il denaro "firmava qualcosa nell'ufficio che io vedevo attraverso il vetro". Inoltre ha riferito di fatti appresi dallo stesso attore che comprovavano il pagamento di tutto quanto dovuto in relazione al rapporto di lavoro.

7. La censura è inammissibile atteso che la Corte territoriale ben lungi dal trascurare le circostanze riferite dal teste C., nell'esercizio del potere discrezionale di valutazione delle prove acquisite al processo a lei riservato, ne ha apprezzato la rilevanza e l'attendibilità nel contesto delle prove complessivamente acquisite sicché non è incorsa nella denunciata violazione. Va qui ribadito che l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass. s.u. 07/04/2014 n. 8053).

8. In conclusione, per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, distratte in favore dell'Avv. D.M. anticipatario, sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell'art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R..

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 3500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori di legge. Spese da distrarsi in favore dell'Avv. F.D.M. che se ne è dichiarato antistatario.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell'art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R..