Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 gennaio 2018, n. 996

Tributi - IVA - Spese per consulenze commerciali - Genericità della fattura - Indetraibilità

Rilevato che

- V. Spa impugna per cassazione la decisione della CTR in epigrafe che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento per Iva, Irpeg ed Irap per gli anni di imposta 2002 e 2003, con cui erano stati recuperati a tassazione costi non deducibili, non inerenti o non determinabili, assumendo con cinque motivi:

- (1) nullità del procedimento ex art. 156, secondo comma, c.p.c., per contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo, per aver la CTR ritenuto, da un lato, che la CTP avesse confermato per intero l'accertamento per il 2003, mentre nel dispositivo aveva statuito integralmente su entrambi (2002 e 2003) gli avvisi, doglianza che reitera specificamente (2) con riferimento al rilievo per "lavori vari cava S.G.", non oggetto di censura da parte dell'Ufficio; - (3) violazione e falsa applicazione dell'art. 329 c.p.c. avendo la CTR erroneamente dedotto il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado per l'avviso di rettifica per il 2003, nonostante l'appello proposto dall'Agenzia sul punto;

- (4) violazione e falsa applicazione dell'art. 75, comma 5, TUIR, per aver la CTR ritenuto indeducibili i costi per consulenze commerciali per euro 106.804,33 per la mancata indicazione in fattura (n. 8536 del 2002) degli elementi dell'accordo 23 gennaio 2001, venendo in rilievo attività strumentali per il conseguimento delle finalità tipiche dell'impresa, censura che reitera (5) per violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21, d.P.R. n. 633 del 1972 per aver escluso la detraibilità dell'Iva;

 

Considerato che

 

- va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dall'Agenzia delle entrate, per violazione dell'art. 366 bis c.p.c., norma nella specie inapplicabile ratione temporis trattandosi di sentenza pubblicata in data 15 ottobre 2009;

- passando al ricorso, il primo ed il secondo motivo, il cui esame va operato unitariamente in quanto strettamente connessi, ancorché ritualmente formulati, sono infondati;

- secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione è causa di nullità della sentenza, «quando il provvedimento risulti inidoneo a consentire l'individuazione del concreto comando giudiziale e, conseguentemente, del diritto o bene riconosciuto» (Cass. n. 26077 del 2015; Cass. n. 16014 del 2017);

- orbene, nella vicenda in esame, il comando giudiziale desumibile è sempre ed univocamente il medesimo: nella motivazione, infatti, la CTR ha ritenuto, da un lato, la definitività della sentenza di primo grado "nella parte in cui ha confermato l'accertamento per il 2003 e in parte quello per il 2002" e, dall'altra, quanto ai recuperi annullati dal primo giudice, ha accolto le doglianze dell'ufficio (che comprendevano i rilievi sia per il 2002 che per il 2003), sicché ha giudicato legittimi e fondati entrambi di accertamenti, conclusione poi esattamente trasfusa nel dispositivo, ove ha affermato "in parziale riforma dell'impugnata sentenza, conferma integralmente gli avvisi di accertamento";

- non rileva, poi, che la decisione della CTP evidenziasse, invece, un divario tra motivazione e dispositivo, la prima orientata in senso favorevole alla contribuente anche con riguardo all'accertamento per l'anno 2003, mentre il secondo delimitava la declaratoria di illegittimità ad una parte di quello per il 2002, trattandosi di vizio non dedotto in appello e, dunque, ormai privo di incidenza;

- quanto allo specifica doglianza riferita al costo di euro 666,00 per "lavori cava S.G.", la censura è infondata anche perché la contestata statuizione del giudice d'appello non consegue all'asserito "insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo" ma, eventualmente, ad un vizio di ultrapetizione in violazione dell'art. 112 c.p.c. per aver la CTR deciso la questione in assenza di specifico gravame da parte dell'Agenzia delle entrate, vizio che, peraltro, non è stato dedotto con il ricorso per cassazione;

 - il terzo motivo, al di là dell'erroneo riferimento all'art. 360, n. 5, c.p.c., è inammissibile;

- la ricorrente, invero, lamenta che la CTR ha erroneamente interpretato la sentenza di primo grado, deducendone il passaggio in giudicato quanto all'accertamento per l'anno 2003, nonostante la stessa Agenzia delle entrate avesse impugnato i relativi capi della sentenza secondo quanto desumibile dalla motivazione della CTP;

- la CTR, peraltro, nel prendere atto della definitività della sentenza di primo grado "nella parte in cui ha confermato integralmente l'accertamento per il 2003", ha ugualmente esaminato e deciso il motivo di gravame proposto dall'Ufficio relativamente ai costi indeducibili per il 2003, affermando la fondatezza della doglianza poiché "indeducibilità delle fatture" emesse dalla M.C. Srl "deriva dall'assoluta genericità delle fatture e dalla mancanza della prova stessa dello svolgimento dell'attività di consulenza", sicché la decisione si fonda su una duplice ratio;

- l'uso del plurale ("fatture" emesse dalla M.C. Srl) e il riferimento ai motivi di gravame dell'Ufficio rende poi indubbio che la valutazione abbia incluso sia la fattura n. 8536 del 6 luglio 2002 di euro 106.804,33 sia la fattura n. 12120 del 31 luglio 2003 di euro 166.535,00;

- tale secondo fondamento, logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, non è stato in alcun modo autonomamente censurato (in ordine alla fattura 31 luglio 2003), sicché la sua omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa all'altra, che, in quanto definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l'annullamento della sentenza (v. da ultimo Cass. n. 3633 del 2017; Cass. n. 4293 del 2016);

- il quarto ed il quinto motivo, da esaminare unitariamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili per difetto di autosufficienza;

- il ricorrente, infatti, non ha specificamente indicato e riprodotto nel ricorso la documentazione posta a fondamento della dedotta strumentalità dell'attività ed asseritamente valutata dalla CTR in termini inadeguati (quali le fatture e l'accordo del 23 gennaio 2001, ad eccezione, per quest'ultimo, di un limitato frammento), tanto più necessaria avendo la CTR escluso l'inerenza dei costi portati nella fattura n. 8536 del 2002 per "l'assoluta genericità delle fatture" e la mancanza di ogni prova in ordine allo "stesso svolgimento dell'attività di consulenza", valutando altresì, quanto alla citata scrittura del 23 gennaio 2001, che essa "neppure aveva ad oggetto l'attività di consulenza, ma soltanto un rapporto di somministrazione riguardante la commercializzazione dei prodotti";

- il ricorso va rigettato e le spese regolate per soccombenza;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento a favore dell'Agenzia delle entrate delle spese di questo giudizio, che liquida in euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.