Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 settembre 2017, n. 21876

Pubblico impiego - Contratti a tempo determinato - Illegittimità - Conversione dei contratti di lavoro in tempo indeterminato - Esclusione - Risarcimento del danno

 

Rilevato che:

 

Il Tribunale di Urbino, in parziale accoglimento della domanda proposta dalle odierne parti intimate, assunte con reiterati contratti a tempo determinato alle dipendenze del MIUR, ha condannato il Ministero al risarcimento del danno subito dalle lavoratrici per l'illegittimità dei contratti a termine stipulati, commisurato alle differenze stipendiali derivanti dall'applicazione nei loro confronti degli scatti di anzianità, alla retribuzione dei mesi di luglio e agosto per tutti gli anni lavorativi, nonché a varie mensilità della retribuzione mensile di fatto; ha invece escluso la conversione dei contratti di lavoro in contratti a tempo indeterminato;

la Corte d'appello di Ancona ha accolto in parte l'appello del Ministero, riconoscendo ai lavoratori solo le differenze stipendiali derivanti dal riconoscimento della anzianità di servizio in misura pari al trattamento spettante ai dipendenti a tempo indeterminato; ha invece rigettato gli appelli incidentali, aventi ad oggetto la domanda di conversione;

la Corte territoriale ha ritenuto che, prescindendo dalla questione inerente alla illegittimità dei contratti a termine, la domanda dei ricorrenti fosse fondata alla luce dell'art. 4 dell'Accordo Quadro attuato con Direttiva 1999/70/CE (oltre che con l'art. 6 del d.lgs. n. 368/2001), il quale consente un trattamento differenziato tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato sulla base di ragioni oggettive, che non possono essere ravvisate nella mera circostanza che un impiego sia qualificato di ruolo in base all'ordinamento interno e presenti alcuni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego;

per la cassazione ha proposto ricorso il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca;

le parti intimate non hanno svolto attività difensiva;

la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata;

il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

 

Considerato che:

 

1. il MIUR denuncia la violazione dell'art. 53 L. 11/7/1980, n. 312; dell'art. 142 C.C.N.L. 24/7/2003 e art. 146 C.C.N.L. Comparto scuola 29/11/2007; dell'art. 3 d.p.r. 23/8/1988, n. 399; dell'art. 9, comma 18, D. L. n. 70/2011, come convertito dalla L. n. 106/2011; dell'art. 4 della L. 3/5/1999 n. 124, e della direttiva 99-70-CE.

1.1. sostiene, in sintesi, il Ministero ricorrente che le supplenze stipulate per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo sulla base della normativa di settore non violano la direttiva comunitaria, che ha come finalità solo quella di coniugare le esigenze di flessibilità del lavoro e di sicurezza dei lavoratori, per cui attribuisce rilievo alle esigenze di specifici settori, che giustificano il ricorso alla tipologia contrattuale e le differenziazioni fra lavoratori a tempo determinato ed indeterminato;

1.2. con riferimento all'art. 53 L. n. 312/1980, che disciplina gli aumenti periodici per ogni biennio di servizio prestato a partire dal 1 giugno 1977, in ragione del 2,50% calcolati sulla base dello stipendio iniziale, ne rileva l'inapplicabilità ai supplenti annuali, poiché non titolari di un rapporto stabile di impiego; aggiunge che gli scatti biennali sono stati superati con la privatizzazione e la conclusione del primo C.C.N.L. del 1995, che ha invece introdotto il nuovo sistema per scaglioni, permanendo l'operatività degli scatti biennali solo per gli insegnanti di religione;

1.3. infine, censura la sentenza per la violazione dell'art. 2948, n. 4, codice civile, nella parte in cui ha respinto l'eccezione di prescrizione in quanto tardivamente formulata, e assume che la prescrizione del diritto non rileva nel giudizio di accertamento, sicché non può farsi questione di decadenza;

2. i motivi sono nella loro complessiva articolazione infondati;

2.1. l'infondatezza va ravvisata nella parte in cui il Ministero insiste sulla legittimità dei contratti a termine, sulla specialità del sistema di reclutamento scolastico, sulla esistenza di ragioni oggettive legate alla necessità di assicurare la continuità didattica, sovrapponendo e confondendo il principio di non discriminazione, previsto dalla clausola 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale - CES, CEEP e UNICE - e recepito dalla Direttiva 99/70/CE), con il divieto di abusare della reiterazione del contratto a termine, oggetto della disciplina dettata dalla clausola 5 dello stesso Accordo;

2.2. il motivo è infondato, in quanto la sentenza impugnata, nel riconoscere l'anzianità di servizio ai fini retributivi, si pone in linea con il principio di diritto recentemente affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868 del 2016, con le quali si è statuito che «nel settore scolastico, la clausola 4 dell'Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicché vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato»;

2.3. a dette conclusioni, ribadite da ultimo da Cass. ord. 12/7/2017, n. 17168, la Corte è pervenuta valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla interpretazione della clausola 4 dell'Accordo Quadro ed evidenziando che l'obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato "condizioni di impiego" che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all'assunto a tempo indeterminato "comparabile", sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto;

2.4. il ricorso del MIUR non prospetta argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poiché le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio;

2.5. il motivo è invece inammissibile nella parte in cui denuncia la violazione dell'art. 53 della legge n. 312/1980, atteso che la sentenza impugnata ha confermato il riconoscimento del diritto all'adeguamento della retribuzione tenendo conto dell'anzianità maturata nello svolgimento dei rapporti di lavoro a termine e della retribuzione spettante al dipendente con un contratto a tempo indeterminato, cui anche quello a termine deve essere equiparato sotto il profilo stipendiale, alla luce del principio di non discriminazione, mentre esula dall'oggetto della domanda, quale accolta dai giudici di merito, il diritto a percepire gli scatti biennali previsti dall'art. 53 cit.;

2.6. quanto alla questione della prescrizione, si palesa anch’essa inammissibile innanzitutto perché della questione non vi è cenno nella sentenza impugnata e la parte non deduce in che termini, in quale atto e in quale momento processuale essa sarebbe stata sollevata (cfr. Cass. 18/10/2013, n. 23675; Cass. 26/3/2012, n. 4787); inoltre, l'Amministrazione ricorrente non indica in che termini la questione prospettata nel motivo potrebbe incidere nella fattispecie concreta, ossia se e in quale misura la pretesa delle controricorrenti potrebbe essere paralizzata dalla eccepita prescrizione quinquennale; nel giudizio di cassazione l'interesse alla impugnazione va valutato in relazione ad ogni singolo motivo e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata, bensì deve essere apprezzato in relazione all'utilità concreta derivabile dall'eventuale accoglimento del gravame alla parte (Cass. nn. 13373/2008 e 15353/2010), utilità che deve potere essere desunta dagli elementi che la parte è tenuta ad indicare nel ricorso (da ultimo, Cass. ord., 12/7/2017, n. 23675);

3. in conclusione, il ricorso va respinto;

4. nessun provvedimento sulle spese deve essere adottato, in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva da parte delle intimate;

5. non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato l'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 1778/2016).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.