Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 giugno 2017, n. 30809

Tributi - Accertamento - Dichiarazione dei redditi - Omesso versamento dell'imposta

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il tribunale di Gela, con sentenza del 2.4.2014, ha assolto A.R. dai reati di cui agli artt. 81 cpv. 4 e 10 D.lgs. n° 74 del 2000 di cui ai capi 1 e 2 della rubrica per non avere commesso il fatto.

In particolare era stato contestato all'imputata, quale legale rappresentante della A.R. Impianti S.r.l Unipersonale, di avere indicato nelle dichiarazioni annuali per i periodi di imposta relativi agli anni 2007-2008 elementi passivi fittizi al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto e, segnatamente: 1) di avere evaso nel Modello Unico 2008 l'imposta IRES per un importo pari ad € 293.081,29 superiore al tasso soglia di tolleranza stabilita dalla legge in € 103.291,38, mentre gli elementi passivi non documentati erano pari a € 2.012.872,38; 2) di avere evaso nel Modello Unico 2009 l'imposta IVA per un importo pari ad € 119.570,00 superiore al tasso soglia di tolleranza stabilita dalla legge in € 103.291,38, mentre gli elementi passivi non documentati erano pari ad € 757.114.00, sempre superiori al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione; 3) di avere occultato documenti e registri di cui era obbligatoria la conservazione ai fini fiscali, al fine di evadere le imposte e non consentire la ricostruzione completa dei redditi e del volume di affari (come accertato nel corso della verifica fiscale relativa agli anni 2007-2008 effettuata dal 26.5.2010 al 15.10.2010).

2. - A seguito dell'appello del Procuratore Generale presso la Corte di Appello, la Corte d'appello di Caltanissetta, con sentenza dell'8 novembre 2015, riformava la sentenza condannando l'imputata alla pena di un anno di reclusione oltre pene accessorie e sospensione della pena.

3. - Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione l'imputata, tramite il difensore, formulando un unico motivo, con il quale denunciava la violazione della legge sostanziale di cui agli artt. 111 Cost. ed art. 6 CEDU, e la correlata omessa, illogica e contraddittoria motivazione per aver riformato la sentenza assolutoria di primo grado, senza motivare circa la scelta di non operare alcuna rinnovazione dibattimentale.

 

Considerato in diritto

 

4. - Va preliminarmente considerato che l'art. 8 del d.lgs. 24/09/2015 n. 158, entrato in vigore in data 22/10/2015, ha modificato il predetto art. 10 ter cit. nel senso di attribuire rilevanza penale, elevando il precedente limite, unicamente alle condotte di omesso versamento dell'imposta per un ammontare superiore ad euro 250.000,00 per ciascun periodo di imposta; va aggiunto che tale modifica, in quanto comportante una disposizione più favorevole rispetto alla precedente, si applica, ex art. 2, comma 4, cod. pen., anche ai fatti posti in essere antecedentemente.

4.1. - Ciò posto, nella specie, l'ammontare non versato è, per l'anno 2008, come da contestazione, pari ad € 119.570,00 , importo inferiore al limite di legge di cui sopra.

5. - Conseguentemente, la sentenza impugnata va, sul punto, annullata senza rinvio con la formula «il fatto non sussiste» posto che la soglia di rilevanza penale suddetta deve ritenersi elemento costitutivo del fatto di reato, contribuendo la stessa a definirne il disvalore (in tal senso, tra le altre, oltre a Sez. U., n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, Rv. 250975, da ultimo, Sez. 3, n. 3098/16 del 05/11/2015, Vanni) e la relativa pena, di un mese e 15 giorni, eliminata (risultando tale la pena applicata dalla Corte di Appello, in relazione all'aumento in continuazione imputato a tale reato satellite, rispetto alla più grave fattispecie di cui all'art. 10 D.lgs. n° 74 del 2000).

6. - L'odierno ricorrente lamenta, altresì, la violazione di legge sostanziale penale con riferimento all'art. 111 Cost. ed art. 6 CEDU, per avere la Corte di Appello riformato la sentenza di assoluzione rinnovare l'istruzione dibattimentale, e senza fornire sul punto una motivazione adeguata volta a spiegare le ragioni della condanna sulla base di materiale probatorio ritenuto a ciò inidoneo in primo grado.

6. La sentenza di primo grado, integralmente riformata dalla sentenza qui impugnata, pur ritenendo sussistente la prova sul piano oggettivo degli addebiti, aveva ritenuto che la (pacifica) esistenza di una delega conferita dalla ricorrente ad un amministratore terzo comportasse l’esclusione della responsabilità della A., sul presupposto che l’art. 1 lett e) del D 74/2000 puniva soltanto chi amministrava di fatto la società.

6.2. - Sul punto, tuttavia, la Corte d'appello ha correttamente motivato le ragioni della condanna, applicando i principi elaborati da questa corte, in base ai quali risponde del reato (ex art. 4 del d.lgs. n.74/2000) l'amministratore di una società quand'anche abbia delegato ad altri soggetti, c.d. amministratori di fatto, la gestione societaria., contrariamente a quanto affermato dall'imputata nell'unico motivo di ricorso (ed essendo pacifica la sua natura di amministratore della società, sia pure con delega delle funzioni ad un amministratore di fatto).

Ed invero, la mera accettazione della carica di rappresentante legale di una società attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo sulla corretta gestione degli affari sociali, il cui mancato rispetto comporta responsabilità a titolo di dolo generico, nell'ipotesi di accertata consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, ovvero a titolo di dolo eventuale in caso di semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. III, n. 7770 del 5/12/2013, Todesco, Rv. 258850; Sez. III, n. 14432 del 19/9/2013, Carminati, Rv. 258689).

7. - Pertanto il ricorso deve essere sul punto dichiarato inammissibile non ravvisandosi ragioni per procedere ai sensi dell'art. 129 c.p.p. essendo i fatti non prescritti all'epoca della pronuncia della sentenza di appello (cfr. Sezioni Unite De Luca sent. n. 32 del 2000 secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p.)

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo A per l'anno di imposta 2008, perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di mesi uno e giorni 15 di reclusione.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.