Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 maggio 2017, n. 11018

Imprese gestite da società di un medesimo gruppo - Aspettativa per funzioni pubbliche elettive - Reintegrazione nel posto di lavoro - Risarcimento danni

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda, proposta da E.P. nei confronti di F. s.p.a. e di V.R. e C.A., volta ad ottenere l'accertamento e la declaratoria: a) dell'esistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 1 luglio 1987 con la società convenuta; b) dell'illegittimità del collocamento d'ufficio in aspettativa per funzioni pubbliche elettive con condanna dei convenuti C. e V. al risarcimento dei danni subiti; c) dell'inesistenza del licenziamento intimato in data 30.10.2007 dalla A.I. s.p.a. e la sussistenza del rapporto di lavoro con F. s.p.a. con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e condanna dei convenuti al risarcimento dei danni dal collocamento in aspettativa alla effettiva reintegrazione ovvero, in subordine, previo accertamento della illegittimità del recesso per carente specificazione dei motivi la condanna dei convenuti e dei liquidatori della A. in solido tra loro al pagamento dell'indennità supplementare prevista dall'art. 19 del c.c.n.I. di categoria o, in ulteriore subordine, dell'indennità prevista dall'accordo 27 aprile 1995 allegato al contratto per i dirigenti delle aziende industriali.

2. La Corte territoriale ha accertato che:

2.1. il rapporto di lavoro del P., originariamente dirigente della A. s.p.a. venne successivamente trasferito alla F. s.p.a. e quindi alla A.E. s.p.a., alla A. I. s.p.a. ed infine alla A.I. s.p.a. tanto per effetto di cessioni, trasferimenti ed in ultimo della fusione della A. I. con l'A.I..

2.2. Che dalla documentazione allegata agli atti emergeva che il P. aveva accettato il trasferimento prima all'A.E. e poi alla A. I. e che, successivamente al 30.6.1998, il rapporto con F. s.p.a. era cessato.

2.3. Che, infine, ai fini della individuazione della titolarità dello stesso, era irrilevante la circostanza che le due società appartenessero entrambe al gruppo F..

2.4. Che il fatto che il P., dirigente di alto livello, si rapportasse anche ai vertici della società capogruppo, non era di per sé significativo per poter riconoscere, in assenza di altre circostanze neppure allegate, l'esistenza di un rapporto di lavoro con la F. s.p.a..

2.5. Che del pari la circostanza dell'utilizzazione di personale di segreteria dipendente da F. e di una autovettura di proprietà della società, non era di per sé significativa dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la capogruppo ma era piuttosto espressione dell'adozione di soluzioni organizzative volte ad ottimizzare l'uso di persone e cose.

2.6. Che lo stesso ricorrente aveva dimostrato di essere ben a conoscenza che il suo rapporto di lavoro era costituito con la società A. I. s.p.a. e non con la F. quando aveva chiesto l'anticipazione del t.f.r. alla sola A. senza inoltrare la richiesta, neppure per conoscenza, alla capogruppo.

2.7. Preso atto quindi del fatto che il P. non aveva impugnato il capo della sentenza di primo grado che aveva escluso la legittimazione passiva dei due liquidatori di A.I. s.p.a., convenuti in giudizio al pari di F. s.p.a., per il periodo antecedente il 19.11.2004 osservava che gli stessi potevano essere chiamati a rispondere solo con riguardo al periodo successivo a tale data.

2.8. Osservava inoltre che, a norma dell'art. 2495 cod.civ., questi rispondevano nei confronti dei creditori sociali, dopo l'estinzione della società, solo nel caso in cui il mancato pagamento fosse dipeso da un loro comportamento e che il credito non poteva essere ritenuto sussistente sulla base di trattative di cui non vi era prova della conoscenza da parte degli stessi.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre E.P. che articola tre motivi cui resistono con controricorsi la F. s.p.a., A.C. ed R.V. Tutte le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 2094 c.c. e del principio di effettività.

4.1. Deduce il ricorrente di aver chiesto di provare che sin dal 1.7.1987 e fino al suo collocamento in aspettativa aveva sempre lavorato alle dipendenze di F. s.p.a. rapportandosi con i vertici della società e, dal 1990, svolgendo mansioni di responsabile delle relazioni istituzionali nel settore dei trasporti. Che in tale veste aveva curato i rapporti tra la capogruppo ed alcune società controllate e del gruppo con le Istituzioni (governo, parlamento, enti locali e/o pubblici).

Che il giudice di appello come già quello di primo grado non aveva dato ingresso alla prova ritenendo che era incontestato il passaggio da una società all'altra e che non vi erano elementi per ritenere che il rapporto di lavoro fosse imputabile alla capogruppo. Osserva al contrario il ricorrente che la dislocazione presso le società controllate costituiva lo strumento per garantire l'efficacia dell'azione di orientamento e controllo della capogruppo sulle controllate. Che l'inserimento nelle società controllate era limitato al ruolo di centro di imputazione di costi e non a quello di datore di lavoro che restava in capo alla controllante. Che non era contestata la natura subordinata del rapporto e che in presenza di una discrasia tra la formalizzazione del contratto e le sue modalità esecutive erano queste ultime a dover prevalere in ragione del principio di effettività che permea il diritto del lavoro.

4.2. La censura è infondata.

4.3. Il collegamento economico - funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell'autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta, alle quali continuano a fare capo i rapporti di lavoro del personale in servizio presso le distinte e rispettive imprese; tale collegamento, pertanto, non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, intercorso tra un lavoratore e una di tali società, si estendano ad altre dello stesso gruppo. Resta salva, peraltro, la possibilità di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra vari soggetti (cfr. Cass. 06/04/2004 n. 6707).

4.4. Tale situazione deve essere accertata in modo adeguato dal giudice di merito attraverso l'esame delle attività di ciascuna delle imprese gestite formalmente da soggetti diversi, e deve rivelare l'esistenza dei seguenti requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico e amministrativo - finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (cfr. recentemente Cass. 04/10/2016 n. 26346 ed ivi le richiamate Cass. n. 3136 del 01/04/1999, n. 11033 del 23/08/2000, n. 14609 del 20/11/2001, v. anche Cass. sez. VI-L 12/02/2013 n. 3482).

4.5. Del pari è sulla base di una "concezione realistica" che deve essere individuata l'impresa ed il datore di lavoro nel soggetto che effettivamente utilizza la prestazione di lavoro ed è titolare dell'organizzazione produttiva in cui la prestazione stessa è destinata ad inserirsi. Ciò impone al giudice una attenta valutazione degli indici utilizzabili al fine di distinguere fra la fisiologia e la patologia del fenomeno delle imprese a struttura complessa dove la direzione ed il coordinamento che compete alla società capogruppo, e che qualifica, ora anche in sede normativa (art. 2497 e ss. cod. civ.), il fenomeno dell'integrazione societaria, può evolversi in forme molteplici, che possono riflettere una ingerenza talmente pervasiva da annullare l'autonomia organizzativa delle singole società operative (accreditando un uso puramente strumentale o, in altri termini, puramente "opportunistico" della struttura di gruppo), ovvero un rilevante, ma fisiologico, livello di integrazione (che può costituire il presupposto per una valutazione differenziata che la rilevanza dell'interesse unitario di gruppo manifesta rispetto all'adempimento dell'obbligazioni che risultano funzionali alla realizzazione di tale interesse).

4.6. Orbene, nel caso in esame il giudice di appello ha esattamente compiuto l'operazione suggerita dalla giurisprudenza sopra richiamata verificando che per il periodo ancora in contestazione, successivamente al 30.6.1998, era provato documentalmente che il rapporto era intercorso con soggetti diversi dalla società F., capogruppo, (oggi denominata L.F. s.p.a.) posto che accanto alle cessioni del contratto regolarmente accettate dal P. prima ad A.E. s.p.a (dal 7.10.1998) e poi ad A. I. (dal 31.12.1999) era risultato che le retribuzioni erano state sempre erogate dalle società che anche formalmente risultavano essere le datrici di lavoro e che a tali società (nello specifico ad A. I. s.p.a.) era stata avanzata la richiesta di anticipazione del t.f.r. ai sensi della legge 297 del 29 maggio 1982, neppure inoltrata per conoscenza a F. s.p.a., e che la A. I. aveva provveduto a liquidare gli importi spettanti. Si tratta di elementi che il giudice di merito nel suo apprezzamento discrezionale in questa sede non censurabile ha ritenuto decisivi rispetto ad altri più equivoci e meno significativi (quali l'utilizzazione di servizi centralizzati di segreteria o l'assegnazione di una autovettura della società capogruppo).

4.7. In conclusione e per tale aspetto la sentenza non è incorsa nella violazione di legge denunciata e deve essere confermata.

5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 329 cod. proc. civ.. Sostiene il ricorrente che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, la statuizione della sentenza di primo grado relativa alla responsabilità dei liquidatori di A.I. s.p.a. in liquidazione era stata impugnata. In particolare era stata censurata l'affermazione del giudice di primo grado che aveva escluso ogni responsabilità dei liquidatori e la loro legittimazione passiva per il periodo antecedente il 19.11.2004. In particolare nel gravame era stato sottolineato che alla data di cancellazione dal registro delle imprese della A.I. s.p.a. e, prima ancora, alla data di trasferimento del rapporto ad A.I. s.p.a., esistevano delle trattative, poi non andate a buon fine, delle quali i liquidatori erano ben consapevoli, da cui era poi scaturita la controversia in esame. Conseguentemente non solo non era ravvisabile alcuna acquiescenza alla sentenza di primo grado ma inoltre era provata la legittimazione dei liquidatori convenuti e la loro responsabilità.

6. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata poi la violazione e falsa applicazione degli artt. 2495 e 2697 cod. civ.. Sostiene il ricorrente che nel momento in cui A. I. s.p.a. era stata posta in liquidazione i suoi liquidatori, V. e C., non potevano non essere a conoscenza dei crediti, seppur futuri, poi azionati in giudizio atteso che il licenziamento era di 44 giorni precedente la data di cancellazione della società (intervenuta prima che scadesse il termine per impugnare il licenziamento), che i legali del P. avevano scritto alla società in liquidazione e non ne è contestata la conoscenza da parte dei liquidatori, che le trattative scaturivano da una contestata collocazione in aspettativa, mai né chiesta né accettata, illegittimamente disposta d'ufficio.

7. Le due censure possono essere esaminate congiuntamente e sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

7.1. Dalla lettura del motivo di ricorso non è possibile evincere l'esistenza di una specifica censura, che la Corte di appello ha accertato che non era stata proposta, avverso la statuizione del giudice di primo grado che per il periodo fino al 19.11.2004 ha escluso che i due liquidatori, V. e C., fossero legittimati passivamente. Al contrario se ne acquisisce la positiva conferma che una specifica censura non era stata in tal senso avanzata posto che a tal fine non è sufficiente il richiamo, che è riferito essere contenuto nelle conclusioni del ricorso in appello, a tutte le domande formulate nelle conclusioni del ricorso introduttivo. Peraltro, onde valutare la sufficienza di tale richiamo per rimettere in discussione il contenuto della sentenza di primo grado sarebbe stato necessario riprodurre i passaggi di quella decisione che si assumono censurati onde consentire alla Corte di verificare se il contenuto di quella decisione poteva essere inciso da tale generico rinvio.

7.2. Quanto alla responsabilità dei liquidatori, come è noto, l'art. 2495 cod. civ. prevede che per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese questa si estingue ed «i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi» Il P. agisce nei confronti dei liquidatori assumendo che questi ben conoscevano o avrebbero dovuto conoscere, al momento in cui avevano proceduto alla cancellazione della società, dell'esistenza dei crediti poi azionati in giudizio connessi a condotte lesive della società che prima lo aveva collocato forzosamente in aspettativa e poi lo aveva licenziato.

7.3. La Corte di appello, al contrario, ha accertato che al momento della cancellazione della società A.I. s.p.a., il 14 dicembre 2007, non sussisteva alcun credito non soddisfatto ed ha escluso che si potesse evincere l'esistenza di una posizione creditoria dalle trattative intercorse tra le parti, di cui neppure era stata allegata la conoscenza da parte dei liquidatori. In sostanza, facendo un corretto uso delle disposizioni in tema di onere della prova che nello specifico gravano la parte che denuncia l'esistenza di una condotta colposa quale fonte dell'inadempimento dell'obbligazione azionata dell'onere dì provare tale colpevole comportamento, la Corte territoriale ha escluso che i liquidatori potessero avere contezza dell'esistenza di futuri crediti da parte del P. tenuto conto del fatto che questi, pur cessato il rapporto nel dicembre 2007, adi il giudice per far valere le sue pretese a distanza di anni, nel 2011.

7.4. Si tratta di accertamento di fatto che, conforme ai principi dettati dall'art. 2495 e 2697 cod. civ. citati, non è suscettibile di essere rivalutato davanti al giudice di legittimità.

8. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di ciascuno dei controricorrenti liquidate quanto alla società controricorrente in € 8000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie ed accessori dovuti per legge. Quanto a ciascuno degli altri controricorrenti, C. e V., in € 6000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie ed accessori dovuti per legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell'art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R..